I comunisti e le questioni internazionali

In nome del giusto richiamo alle contraddizioni interimperialiste, non si può arrivare a sostenere il proprio imperialismo nazionale e il polo imperialista europeo di cui si è parte, in quanto per i loro interessi non sempre convergenti con l’imperialismo statunitense favorirebbero il multipolarismo e la lotta per la pace.


I comunisti e le questioni internazionali

I comunisti non possono limitarsi alla pur necessaria solidarietà internazionale, tantomeno possono pensare di cavarsela facendo i meri “portatori d’acqua” nei confronti dei paesi antimperialisti o governati da partiti che si richiamano al socialismo. Al contrario, gli autentici comunisti debbono praticare l’internazionalismo proletario, ovvero prendere parte attivamente alla lotta di classe a livello internazionale e alla lotta globale per l’emancipazione di proletari, sfruttati, oppressi e discriminati.

Tanto più i sedicenti comunisti non possono giustificare il loro opportunistico diniego della indispensabile lotta contro – in primo luogo – il proprio imperialismo nazionale e la borghesia del proprio paese e – in secondo luogo – contro il polo imperialista continentale di cui si è parte, in quanto vi sono paesi antimperialisti o governati da partiti che si richiamano al socialismo che tendono a interpretare, secondo una prospettiva nazionalista, l’imperialismo statunitense come il nemico principale, o considerarlo l’unico reale imperialismo. Da questo punto di vista, in nome del giusto richiamo alle contraddizioni interimperialiste, non si può arrivare a sostenere il proprio imperialismo nazionale e il polo imperialista europeo di cui si è parte, in quanto per i loro interessi non sempre convergenti con l’imperialismo statunitense favorirebbero il multipolarismo e la lotta per la pace. Né tanto meno si può confondere l’essere comunisti con il giocare a rirsiko in una prospettiva meramente geopolitica, che non si pone dal punto di vista del materialismo storico e della lotta di classe anche a livello internazionale. Per cui si mira a isolare il presunto imperialismo maggiormente aggressivo, ovvero gli Stati Uniti, puntando a mantenere neutrali le potenze imperialiste europee, arrivando a considerare non imperialista l’Unione europea, sino a criticare l’opposizione all’Ue e all’euro in quanto potenzialmente in contraddizione con gli Stati Uniti, arrivando al punto di sostenere la costituzione di un esercito dell’Ue. Tali forze opportuniste sono arrivate a sostenere il proprio imperialismo nazionale e continentale in aggressioni a paesi antimperialisti, con l’intento di poter – in tal modo – accentuare le contraddizioni interimperialiste, pretendendo di interpretare le diverse aggressioni imperialiste a paesi, di fatto antimperialisti, come in realtà funzionali al conflitto interimperialista, ovvero come aventi quale presunto fine occulto la lotta dell’imperialismo statunitense contro l’Euro. Allo stesso modo, gli opportunisti tendono a darsi come obiettivo il sostegno del nazionalismo della propria borghesia con la pretesa di accentuare, in tal modo, le contraddizioni interimperialiste.

In tal modo, si finisce per abbandonare completamente, in modo più o meno consapevole, la stessa ragione di essere dei partiti comunisti, nati proprio per contrastare quei partiti socialimperialisti della Seconda internazionale pronti a schierarsi nella guerra imperialista con la propria borghesia nazionale con la scusa di contrastare l’imperialismo più pericoloso, reazionario e aggressivo che, guarda caso, è sempre l’imperialismo in concorrenza con il proprio. Perciò Lenin sottolineava, nei suoi decisivi studi sull’imperialismo, che la forma peggiore di opportunismo sul piano internazionale è individuare quale nemico principale l’imperialismo straniero che, dal punto di vista delle contraddizioni interimperialiste, si oppone al proprio imperialismo nazionale. Tanto è vero che tutti i padri nobili del movimento comunista internazionale, da Lenin a Karl Liebknecht, non si stancavano di sottolineare come per i comunisti di ogni paese il primo nemico da abbattere dovesse necessariamente essere il proprio imperialismo nazionale. Al punto che i fondatori del movimento comunista, a partire ancora da Lenin, consideravano essenziale il disfattismo rivoluzionario. In altri termini, sostenevano che, in caso di conflitto interimperialista, fosse necessario favorire in ogni modo la sconfitta del proprio imperialismo, per poter trasformare la guerra imperialista in guerra civile rivoluzionaria.

Dunque, gli autentici comunisti – necessariamente internazionalisti e principali nemici di ogni forma di nazionalsocialismo – non possono che considerare a livello teorico e pratico il proprio imperialismo come il primo imperialismo da combattere. Inoltre, non si può, in nessun modo, confondere la contraddizione principale – ovvero la lotta dei comunisti, in quanto avanguardia del proletariato, in primo luogo contro il proprio imperialismo – con una contraddizione decisamente secondaria come la latente conflittualità interimperialista.

Tanto più che – come denunciava già Marx e con lui tutti i grandi dirigenti e teorici comunisti – i conflitti fra potenze imperialiste sono sempre scontri fra fratelli-coltelli. In altri termini, pur bisticciando fra loro quando si tratta di spartirsi il bottino strappato al proletariato sul piano internazionale, le potenze imperialiste sono sempre pronte a unirsi come un sol uomo quando si tratta di contrastare ogni forza antimperialista a livello internazionale.

Del resto, l’unico modo che hanno i comunisti per partecipare realmente alla lotta di classe internazionale e per sostenere le potenze antimperialiste e i paesi governati da partiti che si richiamano al socialismo, consiste nel tenere – mediante la lotta di classe – il proprio imperialismo il più possibile impegnato con i propri apparati repressivi in patria, per difendere il proprio dominio di classe, riducendo così al minimo la sua possibilità di prender parte alle aggressioni imperialiste sul piano internazionale. Così, per esempio, da diversi anni l’imperialismo italiano o statunitense possono impegnare forze nei più diversi scenari internazionali proprio perché possono ridurre al minimo gli apparati repressivi occupati in patria a reprimere gli sporadici e, per di più, divisi tentativi di reagire all’unilaterale lotta di classe dall’alto con un conflitto sociale che abbia per protagonisti oppressi e sfruttati.

Se non bisogna commettere l’errore di considerare la lotta all’imperialismo europeo più importante della lotta all’imperialismo italiano, tantomeno si può non opporsi al proprio polo imperialiste continentale, arrivando persino a negare la sua stessa esistenza, finendo così, inconsapevolmente, per assumere una posizione, di fatto, non distante dai nazionalsocialisti.

Peraltro i comunisti non possono che considerare le questioni di politica estera se non all’interno della prospettiva scientifica del materialismo storico. Da questo punto di vista è evidente che i paesi a capitalismo avanzato, i paesi imperialisti stanno vivendo la più lunga e ampia crisi di sovrapproduzione della loro storia, una crisi sviluppatasi, con alti e bassi, già a fine anni sessanta negli Stati Uniti, sino a colpire negli anni seguenti tutti i paesi tardocapitalisti. Naturalmente questa crisi – di cui non si vede in nessun paese imperialista del mondo la fine – crea oggettivamente le condizioni maggiormente propizie per una rivoluzione proletaria e socialista. D’altra parte, per un tragico paradosso, proprio nel momento in cui vi sono le più favorevoli condizioni oggettive per l’apertura di una fase rivoluzionaria, il movimento comunista internazionale è quanto mai debole e diviso, sino a essere di fatto quasi ininfluente proprio nei paesi a capitalismo avanzato. Dunque, dinanzi a una favorevolissima condizione oggettiva per le forze rivoluzionarie fa riscontro una spaventosa arretratezza dal punto di vista dello stesso soggetto rivoluzionario, proprio nei paesi in cui vi sarebbero le condizioni storiche, economiche e culturali per sperimentare la transizione al socialismo.

D’altra parte, dal punto di vista scientifico del marxismo e del leninismo i paesi imperialisti possono posticipare gli effetti più negativi della crisi – da loro stessi prodotta – proprio fomentando guerre distruttive di mezzi di produzione in tutti gli altri paesi, per poi vendere le armi e le altre merci necessarie ai belligeranti e impegnare nelle ricostruzioni i propri capitali sovraprodotti. Ecco, così, i paesi imperialisti impegnati in modo diretto e indiretto in un numero sempre più spaventoso di devastanti guerre per procura.

Dal momento che tali guerre sono ancora largamente insufficienti a superare la crisi di sovrapproduzione, non sono certo da escludere nuove guerre imperialiste di portata più o meno globali, anche per aggredire le forze antimperialiste. È evidente che i comunisti dovranno impegnarsi al massimo e con ogni mezzo necessario contro ogni forma di guerra imperialista, ma non dal punto di vista del pacifismo che, naturalmente, non mette in discussione il dominio imperialista, causa essenziale delle guerre sul piano internazionale. Si tratterà, al contrario, nel momento in cui la guerra alla guerra imperialista non fosse in grado di perseguire i propri obiettivi, di attrezzarsi per trasformare la guerra imperialista in guerra civile rivoluzionaria, dal momento che si tratta della trasformazione costitutiva – dal punto di vista storico – del movimento comunista. Peraltro quasi tutti i paesi in cui i partiti comunisti hanno conquistato il potere, tale conquista è stata resa possibile proprio da una guerra.

Da questo punto di vista diviene decisivo, per i comunisti o aspiranti tali, dotarsi dell’unico strumento indispensabile per poter portare a compimento la tragedia della guerra imperialista fino alla caratarsi di una guerra civile rivoluzionaria, ovvero costruire un autentico partito comunista, necessariamente internazionalista ed effettivamente rivoluzionario. Ogni forma di settarismo che, per difendere il proprio orticello diviene un oggettivo ostacolo alla ricostruzione del partito della rivoluzione deve essere considerato come parte del problema e non come un contributo, per quanto parziale, alla sua soluzione.

D’altra parte i sedicenti comunisti, che hanno sacrificato del tutto l’ottimismo rivoluzionario della volontà alla realpolitik di un unilaterale pessimismo della ragione, non tengono conto del fatto che la dinamica della crisi di sovrapproduzione fa sì che non sia possibile porsi nell’ottica della semplice difesa dello status quo. La dinamica necessaria della guerra imperialista porta, altrettanto necessariamente, con sé delle sempre più accentuate derive ispirate al più regressivo bonapartismo e cesarismo. Per cui sé con il progressivo precipitare della crisi non ci si attrezza per venirne fuori in senso rivoluzionario, il più probabile scenario è quello del riproporsi, in forme necessariamente inedite, di forme di fascismo. Da questo punto di vista è davvero insensato puntare tutto sulla lotta alla guerra imperialista, mirando essenzialmente a convincere ampi settori della propria borghesia nazionale che essa sarebbe per loro controproducente, o affidarsi alle presunte doti salvifiche della altrettanto presunta lettera della costituzione, dal momento che la sua necessaria interpretazione dipende dai rapporti di forza delle classi in lotta e se tu, sedicente comunista, non miri a implementare la lotta di classe – per non intralciare un corso del mondo che non potrebbe che, in quest’ottica positivista e fideista, rinforzare in multipolarismo – non acquisirai mai credibilità fra la classe operaia. Ma poco importa, in quanto l’opportunista di destra non si sporca le mani cercando di divenire avanguardia del proletariato, ma mira a convincere chi ha accesso ai grandi mezzi di comunicazione a partecipare, in modo naturalmente inconsapevole, alla grande strategia dell’uomo del corso del mondo tutto intento nel suo risiko geopolitico.

17/09/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

Condividi

L'Autore

Renato Caputo

Pin It

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

Newsletter

Iscrivi alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato sulle notizie.

Contattaci: