Xi Jinping governa la Cina da quasi cinque anni. Fin dall'inizio del suo mandato, ci sono state molte aspettative (o timori, a seconda dal punto di vista) sulla ripresa delle riforme economiche. In pratica, aspettative o timori di più mercato e meno stato.
Le aspettative riguardano i settori lasciati al di fuori delle riforme durante la presidenza di Hu Jintao (2003-2013): finanza, proprietà della terra, imprese statali. La transizione dalla presidenza di Hu a quella di Xi è stata segnata dallo scandalo di Bo Xilai, segretario del PCC nella megalopoli di Chongqing, forte sostenitore di politiche stataliste, aspirante alle massime cariche del Partito e dello stato. La condanna all'ergastolo di Bo per corruzione a abuso di potere (seguita poi da un altro ergastolo per il suo alleato Zhou Yongkang) è sembrata a molti il segno che le politiche della nuova amministrazione sarebbero andate nel segno opposto allo statalismo del “modello di Chongqing”.
Eppure, con Xi presidente del PCC da cinque anni e Presidente della Repubblica Popolare da quattro, l'attesa ondata di riforme pro mercato non c'è ancora stata.
Modello UNICOM?
China Unicom è uno dei tre più grandi operatori di telecomunicazioni della Cina continentale, con interessi anche a Hong Kong e in Spagna. È di fatto l'unica impresa statale strategica ad essere interessata da una riforma della proprietà. La riforma era stata annunciata ad Aprile come “proprietà mista”, alimentando le speranze/timori che si aprisse la via al controllo privato sull'azienda. I dettagli rivelati a inizio settembre hanno chiarito invece che, attraverso un sistema di partecipazioni, lo Stato rimane azionista di maggioranza.
Secondo quanto dichiarato al South China Morning Post (SCMP) da Sheng Hong – direttore della fondazione di ricerca pro-mercato Unirule Institute of Economics – l'ingresso in posizione di minoranza di capitalisti privati sarebbe di poco conto: “Non è utile ottenere due o tre posti nel consiglio d'amministrazione, perché tutte le grandi decisioni sono nelle mani del comitato del Partito Comunista”. È da notare che il SCMP – uno dei più noti quotidiani pro-mercato in Cina – è stato acquistato dal gruppo Alibaba nel 2015. Lo stesso gruppo Alibaba che entra ora in Unicom come azionista di minoranza.
È presto per sapere se Unicom sarà il modello per la riforma di altre imprese statali in difficoltà economica. Nel frattempo, c'è un altro movimento visibile nelle imprese statali, enorme ma poco riportato dai media internazionali: la ristrutturazione della SASAC – una commissione speciale controllata direttamente dal governo che detiene la proprietà delle imprese statali considerate strategiche, tra cui UNICOM. Nel suo insieme, la SASAC controlla circa il 40% degli asset industriali del paese. Negli ultimi anni, il numero di imprese di proprietà della SASAC è diminuito a 102 e si programma di scendere a una quarantina. Ma non attraverso la vendita a privati. Quello che sta accadendo è un lento processo di accorpamento delle imprese per creare grandi conglomerati in grado di essere tra i principali attori a livello mondiale, blindati dal rischio di fallimento.
A Ottobre si terrà il congresso del Partito Comunista Cinese. Mentre molti investitori stranieri si lamentano dei piani per imporre la presenza di sezioni del Partito all'interno delle imprese di proprietà straniera, fioriscono le previsioni, anche quelle più fantasiose. Restando cauti, si può dire che nell'immediato le riforme non sembrano minacciare la posizione delle grandi imprese strategiche statali.