In Cile siamo all’inizio del terzo mese di lotta. Mentre proseguono quotidianamente le manifestazioni, ci sono state nelle ultime due settimane anche novità sul fronte della politica più “classica”.
Innanzitutto, si è votato per l’accusa costituzionale, presentata dal Partito Comunista e dalla coalizione Frente Amplio contro l’ex ministro dell’interno Andrés Chadwick e contro il presidente Piñera (attualmente ancora in carica) con l’accusa di violazioni ai diritti umani - sulle quali come ricorderete si sono pronunciate in maniera molto netta anche organizzazioni internazionali indipendenti.
Nel primo caso l’accusa è passata, concretizzandosi in un’interdizione ai pubblici uffici di 5 anni per il fratello del presidente dell’ENEL in Cile, ed aprendo anche la porta a futuri procedimenti civili e penali. Per il Presidente invece, la commissione preliminare della Camera dei Deputati ha giudicato come “non ammissibile” l’accusa, in base ai requisiti stabiliti dall’attuale Costituzione. Quindi, con una interpretazione conveniente delle regole della Carta del 1980 che il popolo sta chiedendo a gran voce di riscrivere, si è scelto di non dibattere nemmeno sull’argomento. Evitando così alla Camera una scelta scomoda: approvare il procedimento, o dover giustificare un voto sul Presidente difforme da quello già espresso per il suo ex braccio destro.
Sempre sul fronte legislativo, il parlamento ha provato a far passare il progetto per la terribile legge anti encapuchados, la quale prevedeva di sospendere molte garanzie democratiche, e contemplava pene fino ai 3 anni di carcere per chi tira una pietra, faccia una barricata o semplicemente blocchi il traffico. Un testo che non distingueva tra manifestazioni pacifiche o artistiche ed effettivi episodi di violenza e saccheggio. Fortunatamente, e nonostante un voto piuttosto ambiguo da parte delle opposizioni in Parlamento, al Senato la legge non è riuscita a superare lo scoglio della Commissione di Sicurezza, la quale ha respinto l’iniziativa con la motivazione di voler “criminalizzare le proteste”. La destra dovrà perciò riscrivere il progetto daccapo, probabilmente con un’impostazione più blanda.
Su un altro fronte, il 15 dicembre è culminata con il voto l’iniziativa – portata avanti da più di 200 quartieri e città riuniti nell’AChM (Associazione Cilena di Municipi) – di referendum consultivo su temi Costituzionali, sociali ma anche con quesiti riguardanti istanze associate alla vita ed alla politica di quartiere. La Consulta Ciudadana è senza dubbio un tentativo del potere costituito di incanalare la protesta verso porti più tranquilli ed istituzionali; costituisce uno spazio ristretto, con alcuni margini di manovra in cui sono riusciti a muoversi sia sindaci progressisti per proporre istanze del movimento sia la destra per provare a reprimere o a sviare il dibattito.
Per esempio, la scelta tra “Convenzione mista” e “Convenzione Costituente” contemplata dal cosiddetto “accordo per la pace” e proposta all’inizio del referendum, è stata modificata da sindaci di PC e Frente Amplio per includere anche l’opzione “Assemblea Costituente”; dall’altro lato, due rappresentanti di Renovación Nacional hanno invece omesso i due quesiti principali, quelli costituzionali, dalle votazioni dei quartieri di rispettiva influenza Las Condes e Vitacura.
Il movimento sociale ha partecipato al referendum – votando ed anche incentivando e facilitando la partecipazione di tutti i cittadini – ma ha, allo stesso tempo, lanciato la propria “Consulta”, organizzata dal basso e fissata per la settimana successiva. In questo processo storico del resto, è l'istituzione stessa che si vuole cambiare o conquistare e ciò genera inevitabilmente la necessità di dover agire su più fronti: quello di “rottura” per un rovesciamento delle regole, ed un altro in cui, seguendo gli attuali meccanismi, si prova ad avviare e ad egemonizzare il processo di cambiamento.
Al suffragio hanno partecipato – online o in persona – più di due milioni di cileni. I risultati del voto sono chiarissimi. Come era emerso anche da numerosi sondaggi, la stragrande maggioranza (circa il 90%) vuole una nuova Costituzione con Assemblea Costituente. Raccolgono percentuali bulgare anche il voto obbligatorio, con parità di genere, di orientamento sessuale ed indigena. Così come stravincono le richieste di aprire l’accesso delle candidature ai rappresentanti dei movimenti sociali, o di considerare come vincolanti le risoluzioni delle assemblee cittadine, i Cabildos. Le rivendicazioni sociali più votate sono risultate essere salute, pensioni ed istruzione.
Nonostante domande a volte capziose, tutte le risposte hanno fatto trasparire l’esigenza di un cambio di modello, che riesca veramente a migliorare le condizioni di vita del popolo cileno.
Purtroppo, il parlamento non sembra pensarla allo stesso modo. Il mercoledì, a soli tre giorni dalla Consulta, si è votata la riforma alla Costituzione sulla falsa riga dell’accordo per la pace. Non si è riuscito a raggiungere il quorum per nessuna delle istanze aggiuntive o correttive presentate dal movimento sociale. Non ci sarà parità di genere o indigena, né rappresentanza di candidati indipendenti, e neanche il nome “Assemblea Costituente”.
Matías Walker, deputato democristiano presidente della Commissione della Costituzione, ha dichiarato che: “La destra si è negata anche solo a discutere una Convenzione Costituente con parità di genere, rappresentanza indigena e candidati indipendenti; però continueremo ad insistere”.
Solo la mobilitazione salverà il Cile, ed il fine settimana si preannuncia abbastanza agitato, dopo un mercoledì ed un giovedì di proteste con rinnovata energia. Adelante!