A nove mesi dal referendum, è cominciata la procedura per portare il Regno Unito fuori dall’Unione Europea. La legge per dare al governo il mandato di contrattare le condizioni dell’exit sta procedendo tra la Camera dei Comuni e la Camera dei Lord. Nella prima parte di questo articolo, riassumiamo a che punto è la procedura e la situazione nel Partito laburista. Nella seconda parte si tratterà delle tendenza autonomista in Scozia e Irlanda del Nord e delle reazioni a livello europeo.
L’Articolo 50
Il governo conservatore di Theresa May era intenzionato a invocare direttamente l’Articolo 50, ma è stato costretto a passare dal Parlamento da una sentenza della Corte Suprema.
La Notifica di Ritiro dall’Unione Europea è stata quindi approvata dalla Camera dei Comuni ed è ora al vaglio della Camera dei Lord. Quest’ultima ha approvato alcuni emendamenti di rilievo, la legge dovrà quindi tornare alla Camera dei Comuni il 13 e 14 marzo.
I due emendamenti approvati dalla Camera della nobiltà inglese prevedono che:
- entro tre mesi dall’entrata in vigore della Notifica, il governo produca una proposta per assicurare ai cittadini dell’Unione Europea residenti nel Regno Unito la possibilità di rimanere nel Paese;
- l’accordo finale tra Regno Unito e Unione Europea sull’exit sia sottoposto al voto del Parlamento.
Entrambi gli emendamenti indeboliscono la posizione contrattuale di Theresa May che, da una parte, intendeva, cinicamente, scambiare i diritti dei cittadini europei in Inghilterra con quelli degli inglesi negli altri paesi europei. Dall’altra si ritroverebbe davanti alla prospettiva di poter essere smentita in ogni momento dal suo Parlamento. Il governo intende usare il passaggio ai Comuni, in cui ha una maggioranza autosufficiente, per respingere gli emendamenti dei Lord.
Il Labour nell’angolo
Jeremy Corbyn ha schierato il Labour a favore della Notifica di Ritiro dall’Unione Europea. Dopo aver fatto campagna per la permanenza nell’UE, il leader ha concluso che bisogna prendere atto della volontà degli elettori e provare a concludere un accordo di exit che garantisca le condizioni migliori per i lavoratori.
Nella votazione alla Camera dei Comuni, il Labour ha votato in maggioranza a favore della Notifica. Ma 47 “ribelli” hanno però votato contro sostenendo di rappresentare il voto “remain” della circoscrizione in cui sono stati eletti. Si tratta ovviamente di una scusa per continuare la guerra contro il gruppo dirigente del partito, dopo il tentativo fallito di golpe da parte della destra di Tony Blair.
Il Labour si trova in questo momento in un angolo da cui appare difficile uscire. Da una parte il governo conservatore sta impostando l’uscita chiaramente da destra, dall’altra la guerra interna da parte della destra laburista impedisce lo sviluppo di un’azione politica coerente.
La guerra dei blairiani ha assunto toni da farsa con le elezioni suppletive nelle circoscrizioni di Copeland e Stoke On Trent, due circoscrizioni storicamente laburiste. La sconfitta a Copeland ha provocato una nuova ondata di richiesta di dimissioni da parte dei blairiani e dai grandi giornali come il Guardian. Ovviamente queste richieste non tengono conto del fatto che l’elettorato laburista locale potesse avere dei problemi col deputato uscente- notoriamente anti Corbyn - e con le sue farsesche dimissioni, rassegnate in un momento di crisi politica generale per entrare nell’industria dell’energia nucleare.
Se il tentativo di golpe di Tony Blair è stata la tragedia che ha impedito che Corbyn potesse lanciare la sfida per un’uscita da sinistra dall’UE, il nuovo tentativo di disarcionare la dirigenza del partito è la farsa di marxiana memoria. La guerra interna al Labour in effetti è sempre andata avanti, specialmente sulle questioni di politica estera. La destra di Blair non si è vergognata neanche del creare un caso politico nazionale attorno alla guerra dell’Arabia Saudita in Yemen. Mentre Corbyn si schierava per l’interruzione delle forniture militari ai sauditi, i blairiani non trovavano di meglio che schierarsi con i sovrani medievali di Riyadh.
La farsa, d’altra parte, non risparmia neppure la sinistra internazionale che tanto si era entusiasmata per la prima vittoria di Corbyn. Basta guardare in Italia, dove il settimanale Left accusa Corbyn di inseguire la destra, perché dice che la libera circolazione della forza lavoro non è in sé un principio del socialismo. Andrebbe forse ricordato che una delle pochissime battaglie della sinistra a livello europeo è stata quella contro la direttiva Bolkenstein che prevedeva appunto la totale libertà di movimento della forza lavoro.
Una libertà che ovviamente significava libertà di essere sfruttati da un capo all’altro del continente, non certo un livellamento verso gli standard di diritti più alti. La farsa si manifesta d’altronde anche quando Bascetta sul Manifesto dice, nientemeno, che, votando a favore della Brexit, Corbyn vota (metaforicamente) i crediti di guerra. Un’accusa piuttosto curiosa, se lanciata contro un Corbyn che viene messo in croce proprio per aver messo in dubbio il dogma atlantista che ha dominato il Labour per decenni.