Va detto con forza e senza timore di smentita: la mobilitazione del 25 Gennaio ha segnato la timida ripresa del movimento contro la guerra, ma al contempo ha palesato il non certo ottimale stato di salute dello stesso. I numeri nelle piazze non sono entusiasmanti. Del resto è sempre più difficile costruire mobilitazioni unitarie su parole d'ordine apparentemente scontate, come la lotta alle spese militari e alla militarizzazione dei territori, ma lontane anni luce dal sentire comune, costruito ad hoc dai media che sono agevolati dall’insufficienza, per usare un eufemismo, di altri presidi formativi, siano essi la scuola pubblica o quelli che furono un tempo i partiti della classe operaia.
Ma, nonostante divisioni e differenti letture e posizioni, siamo tornati a manifestare, e già questo fatto è di per sé apprezzabile. Prendiamo ad esempio la piazza pisana che abbiamo attraversato insieme a tanti compagni e compagne.
Al mattino, il corteo attorno alla base militare Usa di Camp Darby (in risposta all'appello dell'International Day of Action no War with Iran) ha riunito un centinaio di manifestanti, tante bandiere rosse dei partiti comunisti, lo striscione di apertura della Rete civica livornese contro la nuova normalità della guerra. Al pomeriggio un secondo corteo più partecipato (circa 400) nel centro di Pisa promosso da un ampio cartello di forze che va dall'Arci al Ponte per, dalla Cgil ai Cobas e a Sgb (presente anche al mattino) senza dimenticare Emergency e la Fiom Cgil della Piaggio.
Giornata di mobilitazione nazionale "spegniamo la guerra, accendiamo la pace" con numerose manifestazioni organizzate in tante città italiane, oltre una cinquantina di iniziative.
Ma a dircela tutta, l'appello lanciato per il 25 ha creato nel pisano malumori e critiche in molti settori del variegato movimento contro la guerra, tanto che gli organizzatori hanno ben pensato di redigere un appello diverso da quello nazionale e su contenuti decisamente più radicali. Motivo del contendere una posizione fin troppo tiepida verso la Nato e la militarizzazione del territorio, il mancato accenno alla cancellazione dei pacchetti sicurezza e soprattutto il riferimento al Peacekeeping senza dimenticare la mancata richiesta di ritiro delle truppe italiane da tutti gli scenari di guerra nel mondo.
Ma a dividere le due manifestazioni anche il giudizio verso le piazze arabe, nel manifesto nazionale leggiamo infatti: “Manifestiamo il nostro sostegno alle popolazioni, vere vittime delle guerre, a chi si rivolta da Baghdad a Teheran, da Beirut ad Algeri, da Damasco, al Cairo, a Gerusalemme, a Gaza”.
Di diverso avviso molti dei partecipanti al corteo contro Camp Darby. C'è chi considera le primavere arabe espressioni contraddittorie di istante popolari ma anche della ingerenza Usa e Nato per destabilizzare alcune nazioni giudicate ostili agli interessi occidentali, chi pensa che la questione palestinese sia erroneamente scomparsa dall'agenda politica della sinistra e del movimento contro la guerra, e lo stesso oblio riguarda anche la guerra condotta contro la Siria da parte della Turchia e dell'amministrazione americana. Poi c'è chi invoca l'articolo 11 della Costituzione e il ripudio della guerra e quanti ricordano che lo stesso articolo non è stato sufficiente a scongiurare la presenza italiana nelle guerre degli ultimi 30 anni, dal Golfo Persico alla Jugoslavia senza dimenticare la Libia.
Posizioni differenti e spesso inconciliabili che stanno alla base delle due distinte manifestazioni pisane nella giornata contro la guerra. E in questo clima di frammentazione, che purtroppo non riguarda solo il collocamento in politica estera, Potere al Popolo aveva organizzato in solitudine un presidio davanti all’ingresso di Camp Darby appena una settimana prima, senza aderire a quello odierno. Di positivo registriamo la rinnovata attenzione delle sigle sindacali e politiche verso le problematiche della guerra e della militarizzazione dei territori e l’aperta contestazione dell'aumento delle spese militari. Crediamo che questa rinnovata sensibilità sia un primo e importante risultato. E far emergere le differenze può essere di aiuto per costruire posizioni e letture della realtà non superficiali, in tempi nei quali i cosiddetti sovranisti, i padroni a casa loro per capirci, sostengono le guerre di Trump.
Il ricorso alla guerra degli Usa è una sorta di neokeynesismo “bastardo” per mantenere la supremazia mondiale. Le relazioni internazionali della superpotenza in declino sono tutte finalizzate ad attirare nella propria orbita paesi un tempo lontani e a punire invece quelle nazioni che ostacolano, per ragioni svariate, lo strapotere Usa e quello del dollaro. E' il caso dell'accordo con la Corea del Nord (che detiene la bomba atomica) per sottrarla all’influenza cinese e l'attacco ad un paese come l'Iran che invece aderisce al trattato di non proliferazione nucleare, vista come nemico per la sua influenza nell'area mediorientale (dalla lotta all'Isis fino al sostegno di Hezbollah in funzione anti israeliana).
La presenza di truppe Usa e Nato nel mondo è in aumento, ci sono oltre 7 mila soldati italiani ancora dislocati in varie missioni nelle zone nevralgiche del Globo. Solo tra il 2017 e la fine del 2019 i militari Usa all'estero sono passati a oltre 84 mila unità, ce ne sono 4 mila in più nell'area del Golfo, mille in più in Iraq, 3mila in più in Afghanistan, mille in più in Africa in funzione anticinese.
E nel caso delle basi militari Usa e Nato nel mondo, da alcuni anni è partito un loro potenziamento riorganizzandole in funzione degli interessi Usa e del trasporto veloce di truppe e mezzi nelle aree di guerra. E a questo triste destino non sfuggono neanche le basi presenti sul territorio italiano. Quella di Camp Darby, per esempio, è la struttura logistica più importante nel mediterraneo ed è connessa al porto nucleare di Livorno da un canale recentemente ampliato e da una linea ferroviaria in via di raddoppio, così come è collegata all’aeroporto militare di Pisa.
Bentornato allora movimento contro la guerra, ne sentivamo il bisogno in tempi nei quali si occulta anche la realtà come quella dei militari e dei civili morti per uranio impoverito. Ma non limitiamoci alle frasi ad effetto. Memori del recente passato evitiamo di ripetere gli stessi errori. Partiamo intanto dalla questione palestinese rimossa nell'agenda politica dei movimenti, farlo in fretta è doveroso.