La logistica negli ultimi anni è stato il settore in cui più si è visto un grande protagonismo del lavoro migrante e, non a caso, quello che viene colpito direttamente anche dal primo decreto sicurezza: la penalizzazione del blocco stradale, metodo classico utilizzato in queste lotte, va proprio in questa direzione.
Dal 2008 è iniziata una stagione di lotte grazie anche all’organizzazione dei sindacati di base: ci si ricorderà dell’omicidio di Abd El Salam, ucciso da un padroncino italiano mentre partecipava al picchetto per i suoi colleghi licenziati alla GLS di Piacenza.
Il settore della logistica non solo è un punto di osservazione privilegiato per osservare le lotte sul lavoro portate avanti dai migranti ma è centrale per comprendere il funzionamento dell’attuale modo di produzione capitalistico e della catena di produzione globale, dove la circolazione delle merci e il loro stoccaggio diventano momenti cruciali in un momento storico in cui è sempre più frequente la pretesa di ricevere beni di consumo in modo sempre più rapido. Nell’inseguire il ritmo naturale del capitale, che mira soltanto alla massima estrazione di plusvalore, chi rimane schiacciato è il lavoratore e, in questo caso, gli operai che lavorano nel magazzino del corriere Bartolini a Gatteo.
Come è sempre più frequente soprattutto in questo settore, le cooperative e le agenzie interinali selezionano e gestiscono la forza-lavoro nella mancanza di tutele fondamentali: le ore lavorate raramente corrispondono a quelle contrattualizzate, i part-time non sono mai part-time e gli straordinari non vengono pagati come tali, per citare solo alcuni aspetti. La struttura è quella dei cosiddetti mini-hub per un totale di centoquaranta magazzini per non concentrare grandi numeri di lavoratori per prevenire e meglio gestire eventuali disordini.
Il due ottobre scorso a partire dalle ore diciassette è iniziato il blocco dei cancelli da parte di sedici lavoratori della BRT di Gatteo, di cui quattordici con licenziamento definitivo e due con preavviso di licenziamento.
Molti di questi lavoratori provengono dal Burkina Faso e da altri paesi africani e per questo sono particolarmente ricattabili per via del permesso di soggiorno. Nonostante ciò non arretrano nella lotta mostrando un grande coraggio.
A fondamento dei licenziamenti il padrone “lamenta” alcune mancanze, inadempimenti e segnalazioni circa un calo della produttività sulle medie delle prestazioni del singolo lavoratore. La situazione rischia di passare dal drammatico al ridicolo quando scopriamo che uno dei licenziati era in ferie, concordate, in Burkina Faso nel periodo in cui gli venivano contestate le presunte mancanze.
Ovviamente la reazione del padrone è stata quella classica: i lavoratori licenziati sono stati prontamente sostituiti con contratti a chiamata, mentre quelli rimasti all’interno continuano a ricevere pressioni. Il fatto che siano stati colpiti dai licenziamenti persone attive nello stesso sindacato SOL COBAS che porta avanti lotte da mesi e che in questo contesto è l’unico, anche fra i sindacati di base, a rifiutare di sedersi a tavoli di concertazione senza la presenza dei lavoratori delegati, dimostra quanto si tratti di licenziamenti esemplari.
Lotte di questo genere possono essere ricondotte alla definizione di atti di cittadinanza, quindi atti performativi che precedono lo status formale ma che ne sono un’espressione più che mai concreta, nel loro carattere di rivendicazioni pubbliche e dal carattere prettamente politico. Nel loro significato “gli atti di cittadinanza fanno un uso emancipativo del diritto in alternativa alla colonizzazione del sistema giuridico da parte degli interessi dominanti.”[1]
Sono la testimonianza di come questo sia il modo per restituire soggettività politica al migrante, al di là dei paradigmi securitari, utilitaristici o umanitari. Con lo scopo di definire cosa si intenda per lotte dei migranti, si deve puntualizzare che, quando si parla del potenziale sovversivo delle lotte dei migranti “ciò non significa proiettare sui migranti in lotta il profilo idealizzato e quasi eroico del militante antagonista, facendone l’avanguardia di un nuovo movimento operaio o di una società mondiale senza controlli alle frontiere: significa invece prendere sul serio l’attivismo dei migranti e la portata delle loro rivendicazioni, ritrovandovi gli elementi che anticipano un’alternativa sociale incentrata su una cittadinanza globale del basso” [2]
Allo stesso modo, è necessario dare attenzione alle lotte per la libertà di movimento, per il diritto alla residenza, per i diritti sociali, così come le mobilitazioni che mettono in discussione le contraddizioni insite nell’accoglienza: una su tutte, quell’abominio giuridico e retaggio del diritto coloniale che è la detenzione amministrativa.
Infine è necessario tenere sempre bene a mente che dobbiamo ragionare in termini di classe e in questo senso tutte le lotte sul lavoro devono espandersi ed essere comprese come lotte che riguardano l’intera classe. Dunque le lotte dei lavoratori immigrati, con tutte le peculiarità che le contraddistinguono, devono vivere e svilupparsi come lotte di classe che abbracciano anche i lavoratori autoctoni, solo insieme infatti possiamo durare un minuto in più del padrone.
Sulla base dell'appello degli operai BRT si è costituito un Comitato di Sostegno alla Lotta che chiama alla mobilitazione per rafforzare ed estendere la vertenza sul territorio con il chiaro obiettivo di ottenere il reintegro dei lavoratori licenziati.
Manifestazione 23 ottobre, ore 17 presso il magazzino BRT di Gatteo. Scarica qui il volantino.
Note:
[1]Olivieri F., Lotte dei migranti ai confini della cittadinanza: una proposta teorico-metodologica, in Omizzolo M, Sodano P (a cura di), Migranti e territori, Lavoro diritti accoglienza, Roma, Ediesse, 2015, p 145
[2] Ibidem, p 141