Dopo anni di retorica sulla necessità di difendere ed esportare, sino a riabilitare la guerra di aggressione, i diritti umani in tutto il mondo, finiamo con il dover constatare di esserne rimasti carenti. Non solo per la palese violazione dei diritti umani a causa della loro imposizione con la violenza della guerra, spesso condotta con i metodi terroristici dei bombardamenti sulla popolazione civile; non solo per le devastanti conseguenze delle guerre, che hanno favorito l’affermazione di forze che li violano in modo ancora più aperto, ma per aver trascurato l’esigenza prioritaria di farli rispettare al nostro interno.
A denunciarlo non è qualche incorreggibile disfattista comunista, ma la recentissima relazione della Commissione dei diritti umani dell’Onu emessa sull’Italia, a verifica del rispetto del “Patto dei diritti civili e politici” ratificato dal nostro paese. Non si tratta, purtroppo, di una pur grave trascuratezza, considerato che il rapporto è giunto con ben sei anni di ritardo a causa della reticenza del nostro Stato a consegnare all’organismo internazionale le informazioni indispensabile per redigerlo.
Negli “appena” 44 punti su cui si basa la denuncia della Commissione si spazia dalla carente libertà di stampa, messa ancora più a rischio dalla mancata depenalizzazione del reato di diffamazione e blasfemia, alla negazione del “libero e tempestivo accesso ai servizi di aborto legale sul territorio”, all’assenza di un reato di tortura, favorendo così le violenze delle forze dell’ordine. A questo proposito la Commissione denuncia “la prevalenza di impunità” per gli agenti "coinvolti in uso eccessivo della forza", anche per il rifiuto di introdurre identificativi sulle divise e “un codice di condotta specifico per i funzionari delle forze dell’ordine”.
La violazione di alcune delle più elementari libertà formali penalizzano proprio i soggetti più deboli e bisognosi, dalle discriminazioni delle persone LGBT, alle tragiche condizioni nelle carceri sovraffollate, sempre più riempite da poveri, soprattutto immigrati, cui è spesso negata la possibilità di guadagnarsi onestamente da vivere. Questi ultimi sono spesso i più colpiti dal mancato rispetto dei diritti umani, non solo per “la sovra rappresentazione degli stranieri in carcere”, ma per la “discriminazione degli stranieri nei procedimenti penali”, per la non persecuzione dell’incitamento all’odio e alle discriminazioni razziali, per le espulsioni collettive e i respingimenti privi di garanzie, persino per i minori non accompagnati, per gli abusi nei centri identificativi e le discriminazioni "in tutti i campi, compresa la sfera privata", per non parlare della segregazione e gli sgomberi forzati dei Rom (in particolare nella Roma governata dal M5S).
A ciò si aggiunge la denuncia da parte della Commissione dello “svolgimento di uno studio sulla discriminazione degli stranieri nei procedimenti penali” che, purtroppo, nel frattempo sta divenendo legge, ancora una volta con la forma antidemocratica del decreto legge su cui il governo imporrà nuovamente la fiducia. Si tratta del famigerato decreto Minniti-Orlando, anche se il nome di quest’ultimo è generalmente omesso, non solo perché il decreto proposto dal Ministro della giustizia è a forte rischio di incostituzionalità, ma perché si sta facendo del guardasigilli l’ennesima foglia di fico per coprire a sinistra il Pd, dopo l’ennesima fuoriuscita della “sinistra” interna.
La misura è stata duramente contestata dalle associazioni che si occupano di immigrazione, ma anche dall’Associazione nazionale magistrati e dal Consiglio superiore della magistratura che, in un parere inviato nei giorni scorsi al Guardasigilli, ha denunciato il rischio di una "diffusa compressione delle garanzie del richiedente". Tale arbitraria limitazione potrebbe aprire la strada a un possibile ricorso alla Corte costituzionale. Del resto persino due senatori del Pd hanno denunciato che il decreto Minniti-Orlando “configura per gli stranieri una giustizia minore e un ‘diritto diseguale’, se non una sorta di ‘diritto etnico’ connotati – spiegano – da significative deroghe alle garanzie processuali comuni”. Fortunatamente in Italia c’è una salda opposizione di massa a cinque stelle, subito pronta a incalzare il governo accusandolo di aver imposto delle norme che non risolveranno la questione dell’immigrazione, in quanto di difficile applicazione. Per tali campioni della democrazia il problema non è una legge per la quale è più tutelato chi subisce una contravvenzione, in quanto potrà ricorrere a tre gradi di giudizio, rispetto a chi è costretto ad abbandonare il proprio paese per non morire – sovente a causa delle guerre da noi portate avanti per il rispetto dei diritti umani – che avrà diritto a solo due gradi e non potrà nemmeno far valere direttamente le proprie ragioni in tribunale. Il problema per i pentastellati è piuttosto che tale legge non permetterà di sveltire le procedure di esame delle richieste di asilo, visto che i paesi di provenienza non accetteranno i rimpatri.
A ciò si aggiunge la criminalizzazione della stessa solidarietà nei confronti dei più deboli da parte di chi si sforza di sopperire alle lacune delle istituzioni. Così, ad esempio, le organizzazioni non governative, che si sforzano di mettere in salvo dai naufragi i disperati che cercano di attraversare il mediterraneo, sono posti sotto indagine con l’accusa di favorire l’immigrazione clandestina. Allo stesso modo i volontari che soccorrono coloro che sono costretti a bivaccare nei pressi di Ventimiglia, per la carenza di strutture di accoglienza, nella speranza i attraversare il confine, hanno cominciato a essere denunciati sulla base di una ordinanza del sindaco che vieta la distribuzione di alimenti. Anche in questo caso si distinguono i Cinque stelle con l’ordinanza della Raggi volta a criminalizzare i disperati costretti a cercare da vivere riciclando ciò che altri gettano nell’immondizia.
Tale accanimento verso i più poveri, coloro che sono costretti ad abbandonare tutto, ad affrontare viaggi pericolosissimi pur di poter trovare qualcuno che sfrutti la propria forza-lavoro, oltre a essere disumano, è, anche in ciò in linea con l’attuale modo di produzione, profondamente irrazionale. Si pensi, ad esempio, a come soltanto tali individui costretti a emigrare possano evitare il tracollo di paesi come l’Italia, in cui la guerra sociale ai subalterni e il pensiero unico ultra individualista hanno prodotto uno squilibrio sempre più insostenibile fra le persone ancora in grado di lavorare e chi non lo è più a causa dell’età.
Al contrario, la nostra società, improntata al dogma del profitto individuale, invece di favorire lo sfruttamento legalizzato della forza-lavoro immigrata, da cui prelevare i contribuiti pensionistici per gli autoctoni, mira ancora a ridurre il livello delle pensioni, destinate sempre più ad andare al di sotto del livello di sussistenza e ad aumentate l’età lavorativa, già fra le più alte, a discapito della sempre più esplosiva disoccupazione giovanile.
Tornando al decreto Orlando-Minniti, va ricordato che esso offre la possibilità ai Comuni di utilizzare i richiedenti asilo in lavori socialmente utili, senza compensi, favorendo ulteriormente la prassi del lavoro gratuito, sempre più cavallo di battaglia dell’ideologia dominante. Così, non solo nei grandi mezzi di comunicazione, ma persino sull’unico quotidiano “comunista”, si dà rilievo a tesi inquietanti come quella del sociologo De Masi, che ha trovato un’eccezionale soluzione al problema della disoccupazione, per altro strutturale nella società capitalista, nel lavoro gratuito. L’esimio professore, così, svela involontariamente la grande mistificazione dell’ideologia dominante, persino a “sinistra”, per cui il problema sarebbe la mancanza di lavoro e non piuttosto la difficoltà a trovare un livello di sfruttamento “dignitoso”, ovvero un salario in grado di garantire la riproduzione della forza-lavoro. Al contrario l’informazione mainstream e anche quella sedicente di sinistra ritiene molto significativa la proposta del sociologo di organizzare i disoccupati per convincerli a offrire lavoro gratuito agli imprenditori, quale arma di ricatto nei confronti degli occupati.
Ecco così che al solito, confondendo la radicalità con la radicalizzazione dell’esistente, si propone la distopia di portare alle estreme conseguenze il meccanismo di base del capitalismo, che crea un sempre crescente esercito di riserva per ricattare gli occupati, costringendoli a lavorare di più con uno stipendio ridotto all’osso. Se i disoccupati, infatti, non si limitassero a vendere la propria forza lavoro al di sotto del proprio valore, necessario alla propria stessa riproduzione, con orari di lavoro sempre più lunghi e ritmi più intensi, ma iniziasse a lavorare gratuitamente, non sarebbero più disoccupati. Elementare Watson!
Anzi, tale proposta realizzerebbe anche l’obiettivo del programma minimo dei marxisti, la riduzione generalizzata dell’orario di lavoro, non con la demodè lotta di classe dal basso, ma con la sempre più mainstream guerra fra poveri. In effetti, a ulteriore dimostrazione di come il marxismo sia considerato un ferro vecchio, si sostiene che la classe rivoluzionaria sarebbe formata appunto dai disoccupati che, una volta organizzatisi al fine di lavorare gratuitamente, sfruttando – ça va sans dire – il potenziale rivoluzionario del web, costringerebbero quei terribili egoisti dei lavoratori salariati, che pretenderebbero di tenere per sé tutto il lavoro, a dividerlo.
In tale scenario mitologico scompare completamente la realtà, ovvero il predominio del modo di produzione capitalista, che, per arginare la sua crisi strutturale, adottando il modello toyotista porta lo stipendio al di sotto della soglia di sussistenza, costringendo così i lavoratori salariati a entrare in concorrenza fra loro per poter accedere a quelle ore di straordinario, sempre più sottopagate, senza le quali diviene impossibile arrivare alla fine del mese.
Come appare evidente, soltanto recuperando strumenti ideologici in grado di comprendere la realtà, demistificando il pensiero unico, i subalterni potranno porre fine alla lotta fratricida cui costantemente li spinge l’ideologia dominante. Solo riscoprendo il portato critico del socialismo scientifico potranno recuperare quella coscienza di classe indispensabile alla loro riorganizzazione, in funzione di un’alternativa realmente progressista di sistema.