Sulla Costituente Europea

Le danze della prossima campagna elettorale saranno accompagnate da un unico coro, in falsetto, che canterà le lodi di un’altra Europa: L’Europa dei popoli! Ma è realmente possibile riformare l’UE o addirittura lottare per una costituzione?


Sulla Costituente Europea Credits: Foto di Pasquale Vecchiarelli

Il professore di storia Contemporanea Giuseppe Aragno, tra i più stimati riferimenti teorici di Potere al Popolo, organizzazione alla quale sono iscritto, ha recentemente pubblicato sul suo blog uno scritto dal titolo “Europa solidale o barbarie” [1] nel quale espone la tesi della “Costituente Europea”. In questo articolo vorrei soffermarmi su questa tesi evidenziandone alcune criticità.

Aragno, partendo da una riflessione sulla genesi e sul divenire dell’Unione Europea, giunge a delineare una proposta politica, apparentemente molto chiara, per uscire dall’attuale pantano economico e politico in cui versa l’UE. La proposta consiste nell’apertura di una nuova fase costituente attraverso la quale rifondare le basi di questa struttura politica mediante una nuova costituzione che stravolga dalle radici gli attuali trattati europei in senso progressista.

“Dopo la seconda guerra mondiale”, scrive lo storico napoletano, “quel sogno, finito poi nelle mani dei sacerdoti del dogma neoliberista, è stato stravolto e l’unione politica dei popoli è diventata unione economica e monetaria”. Questa riflessione è importante perché ne sottende un’altra di ben più ampia portata cioè quella sulla natura del rapporto tra struttura economica e sovrastruttura politica all’interno di una determinata configurazione economico-sociale ed è su questa riflessione che voglio basare la mia critica alla proposta del professore.

Se infatti il sogno cui fa riferimento Aragno è il progetto di Spinelli, esposto nel famoso manifesto di Ventotene, c’è da chiedersi se esso non sia in realtà un incubo. Esso è certamente una buona lettera, dal tono epico e dal fascino utopista, studiato nei circoli liberali di sinistra che lo usano come principale programma politico, ma in realtà cela una supercazzola, antiscientifica e intrisa di peloso interclassismo. Provo a spiegare perché.

I principi (o per meglio dire i confini) di libertà e democrazia in cui una determinata formazione economico sociale si stabilizza storicamente [trattasi pur sempre di equilibrio mutevole] sono in ultima istanza una risultante complessa (ossia dialettica) della lotta di classe e quindi del dominio di una classe sull’altra.

È infatti la classe vincitrice che, a seconda di ciò che è meglio per il proprio dominio e in rapporto con il livello di opposizione sociale che si ritrova a combattere, [ri]disegna i confini dei rapporti sociali tra gli uomini e con essi l’intera sfera culturale. Lo stato nazionale, inteso come tutto il complesso di leggi e strutture burocratiche e coercitive che servono al funzionamento della società contemporanea, è la norma del dominio borghese perché ha rappresentato e rappresenta ancora, seppur in contrasto con forme superiori di aggregazioni politico economiche in sviluppo, la migliore configurazione per la sua conservazione.

Il dominio dunque consegue da una dualità inscindibile tra mondo economico e mondo sociale.

Esso è visibile con estrema nitidezza nella fabbrica lì dove è apposto il cartello “vietato l’ingresso ai non addetti”, lì dove si ferma qualsiasi velleità di autodeterminazione dei lavoratori essendo che il loro corpo [materia , prassi, sostanza..] è divenuto forza lavoro nelle mani del compratore, il quale la gestisce come meglio crede e la loro ombra [coscienza di sé nel mondo, teoria ] non può che seguirli nell’alienazione.

È la fabbrica, vero cuore pulsante dell’era contemporanea, il luogo dove il conflitto tra capitale e lavoro è perennemente presente, il punto dove risiede la funzione generatrice di ogni altra sfera del complesso mondo dell’organizzazione sociale, che nell’era borghese chiamiamo anche “società civile”.

Le relazioni tra gli uomini viste come l’intreccio tra la sfera culturale e politica e tutte le determinazioni storiche che ne conseguono e che volta a volta caratterizzano la società civile, come le leggi, gli usi, i costumi e persino la lingua, sono funzioni dipendenti, dialetticamente, dal sottostante mondo economico o , più correttamente, dal conflitto tra le classi che si sviluppa in questo mondo. Esse sono il frutto in ultima istanza dell’egemonia politica e culturale della classe dominante la quale se ne serve come scudo [2] per mantenere il proprio comando, permeando la coscienza del popolo allo scopo finale di naturalizzarne lo sfruttamento.

Dunque ad un determinato stadio di sviluppo del mondo economico cioè della struttura, corrisponde una specifica organizzazione sociale, cioè della sovrastruttura.

Nel manifesto di Ventotene di Spinelli questo rapporto non è considerato visto che si giunge a “sognare” un certo mondo, socialisteggiante, di relazioni sociali trascurando il piccolo dettaglio della rivoluzione economica nei rapporti di proprietà e potere politico. Ovviamente il rapporto dialettico tra struttura economica e sovrastruttura politica in quanto tale è complesso e non può in alcun modo essere ricondotto a superficiali dinamiche di causa ed effetto. È scorretto affermare, come fanno alcuni estremisti, che siccome domina la borghesia allora tutte le idee sono borghesi, e tutta la coscienza dei subalterni è falsa, ma certamente le idee dominanti sono le idee della classe dominante.

La classe dei lavoratori in particolare e degli operai soprattutto, è in grado di intravedere le problematiche sociali, di “percepirle”, perché il lavoro, per quanto semplificato e alienante sia, è pur sempre un’attività vivificante, scientifica, disciplinante e razionalizzante che, proprio per queste sue caratteristiche, attiva una tendenza alla classificazione e all’ordine cioè a passare dal senso comune al buon senso, ossia a porsi delle domande.

L’operaio intuisce la competizione salariale al ribasso imposta dall’immigrazione, sente la frustrazione di essere dominato dalle macchine che egli stesso ha creato, ma non è in grado, senza i propri intellettuali organici, di comprendere le ragioni profonde di tale alienazione e vedere chi sono i veri nemici. Egli rimane alla superficie dei problemi, a un quarto di coscienza, ed è proprio lì che agisce l’egemonia borghese esercitando il proprio dominio. Essa colpisce alla pancia, inventando falsi problemi, mettendo poveri contro poveri, persone contro macchine, sfruttando tutta la potenza ideologica e gli strumenti di cui dispone nella società civile che ha costruito. Solo attraverso la formazione di intellettuali organici alla classe operaia sarà possibile mettere in crisi le idee dominanti.

Il dominio dunque è duplice: nasce nella sfera economica con la proprietà privata e finisce per abbracciare l’intera organizzazione sociale.

In altri termini, in accordo con l’abc del marxismo, risulta utopistico pensare alla convivenza tra una struttura economica di un certo tipo [ad esempio quella capitalista basata sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo] e una sovrastruttura politica del tipo successivo basata sulla piena autodeterminazione dei popoli in accordo al più ampio significato di democrazia.

Alla luce di queste considerazioni come valutiamo la proposta di una costituente Europea?

Le costituzioni rappresentano la fotografia dei rapporti di forza in un dato momento storico e visto che questi mutano nel tempo accade che generalmente non sono mai pienamente realizzate: il caso italiano è paradigmatico.

Quest’ultimo punto in particolare è dirimente: scattando una foto della società contemporanea scopriamo che siamo ben lontani, nel caso italiano e in termini di rapporti di forza, dal 1948. Non a caso da anni si tentano modifiche costituzionali in senso neoliberista, alcune non riuscite solo per scarsa compattezza del campo avversario, che puntano a formalizzare ciò che già è consolidato nella prassi ossia un mutamento dei rapporti di forza in favore del progetto liberale. In questo quadro non solo la proposta di una nuova costituzione europea progressista, per le ragioni espresse in precedenza, sarebbe un’utopia ma rischierebbe addirittura di cristallizzare l’attuale arretramento.

Dunque come si risolve la questione Europea?

Partendo da quanto esposto in precedenza (che in buona sostanza è una ripetizione semplificata di concetti classici della cultura marxista) ritorniamo all’origine del problema cioè al processo di coesione europeo provando a mettere alcuni punti fermi:

  1. Tale processo di coesione non poteva che avvenire in primis sul piano economico. Da Marxisti non ci scandalizziamo di questo. E non può che essere direzionato, in assenza di lotta di classe, esclusivamente da un costante scontro inter-capitalistico volto alla spartizione del plusvalore quale processo indissolubilmente legato alla proprietà privata dei mezzi di produzione. Questo scontro, legandosi alla forza economica dei capitali in gioco, diventa, con essa, sempre più acuta e complessa.

  1. Se da un lato lo sviluppo capitalistico, puntando al mercato mondiale, tende ad abbattere tutte le barriere geografiche e doganali concentrandosi in trust transnazionali - che superano qualitativamente anche le multinazionali [3] finendo per necessitare di organismi politici sovranazionali - da un altro non elimina ma conserva (in opposizione) i capitali nazionali i quali, forti del proprio dominio basato sul consolidato sfruttamento e controllo dell’apparato coercitivo militare e ideologico nazionale, pretendono la loro fetta di plusvalore.

  1. L’Unione Europea esercita una forza disgregatrice degli stati. Gli stati nazionali, norma del dominio borghese, sono indeboliti da questo processo di forte centralizzazione transnazionale guidato dai capitali più forti. Questi esercitano una forza centripeta annessionista che punta ad unire le regioni forti staccandole da quelle deboli. Il regionalismo lombardo e catalano sono espressioni, tra le altre cose e con le dovute differenze, di questa tendenza.

  1. La pletora di capitali nazionali piccoli e medi hanno bisogno di legarsi al capitale transnazionale per la sopravvivenza nella competizione mondiale - in questa chiave leggiamo gli arretramenti di Salvini e Le Pen sulla parole d’ordine della rottura con l’UE - allo stesso tempo vengono sussunti, o per meglio dire sbranati, da essi.

In questo contesto gli Stati Uniti d’Europa, come alleanze utili a geometrie variabili, sono possibili in due casi: come un accordo per imperare su altre aree del mondo o per organizzare la reazione nei confronti di un eventuale focolaio di ribellione interno. [4]

Se dal punto di vista economico, dunque, parrebbe naturale pensare che, nell’attuale fase di espansione straordinaria del mercato mondiale, la produzione non possa che essere pianificata a livello globale (e in effetti razionalmente non può che essere così) ciò non implica affatto che la strada per arrivarci sia quella di passare attraverso un processo di riforma di strutture, come la UE, nate in seno e per le necessità dell’era borghese.

La possibilità di un ritorno all’economia nazionale è certamente uno scenario consolatorio per molti compagni che intenderebbero in tal modo riproporre le lezioni apprese dalla storia novecentesca della lotta di classe, ma esso come modello economico è decisamente fuori corso, e non è più proponibile con lo sviluppo attuale delle forze produttive. Allo stesso tempo non vi è nessuna possibilità di riformare in senso socialista le strutture sovranazionali borghesi nate e la lotta per tali riforme è solo un inganno per i lavoratori.

Combattere l’imperialismo europeo e combattere l’imperialismo nazionale. Un programma di rottura con il polo imperialista europeo ha lo scopo di indebolire l’alleanza transborghese ma non per favorire quella piccolo e medio borghese nazionale bensì in funzione del rafforzamento dell’alleanza internazionalista. Il ritorno ad una sovranità economica dello stato deve essere visto come un passaggio da superare il prima possibile in luogo dell’internazionalismo cioè di alleanze sia con i paesi socialisti che con i paesi antimperialisti, alleanze altrimenti difficili nell’attuale contesto, puntando all’apertura di processi simili in altri paesi occidentali.

 

Note

[1] https://giuseppearagno.wordpress.com/2019/01/20/europa-solidale-o-barbarie/

[2] Renato Caputo, “Quaderni del carcere - II parte

[3] (UE, BCE, FMI, Banca Mondiale) per la gestione del mercato, ossia del conflitto imperialista su più ampia scala, vedi anche: “Delle Fasi dell’imperialismo” di Gianfranco Pala

[4] Lenin, “Stati Uniti d’Europa”

23/03/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: Foto di Pasquale Vecchiarelli

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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