Segue da I Quaderni del carcere
Dopo l’arresto, nonostante le difficoltà della vita carceraria, Gramsci svolge un enorme sforzo di elaborazione teorica, da cui emerge la sua creativa interpretazione del marxismo. Essa sarà conosciuta solo dopo la morte dell’autore, quando verranno pubblicati i Quaderni del carcere. Si tratta di appunti, saggi e frammenti, riordinati da Gramsci in quaderni tematici dedicati all’analisi del ruolo degli intellettuali, a questioni di filosofia politica, alla critica delle filosofie neoidealiste, a letteratura ed estetica, a problematiche pedagogiche e a questione economiche, in particolare affrontate nella rubrica “Americanismo e fordismo”. L’opera di sistemazione e rielaborazione, rimasta incompiuta a causa della malattia e poi della morte dell’autore, è stata ultimata dagli editori. Solo nel 1975 è uscita l’edizione critica, che riproduce in ordine cronologico i quaderni di Gramsci.
I Quaderni del carcere sono un’opera estremamente ampia e complessa su cui sono state scritte moltissime interpretazioni e riflessioni in tutto il mondo. Del resto, Gramsci è il pensatore italiano più studiato dopo Machiavelli a livello internazionale. Forse perché è stato il primo a interrogarsi su come tradurre la teoria rivoluzionaria di Lenin in un contesto diverso, ossia non più in un Paese arretrato dove aveva operato Lenin traducendo, a sua volta Marx che aveva pensato il processo rivoluzionario in relazione all’Inghilterra. Gramsci capisce che non aver tradotto Lenin, ma averlo applicato alla lettera ha portato alla sconfitta della Rivoluzione in occidente. Ritiene, quindi, indispensabile rideclinare la teoria rivoluzionaria nel contesto dei Paesi a capitalismo sviluppato.
Qual è la differenza essenziale tra il contesto russo, dove la rivoluzione ha trionfato, e il contesto dei Paesi a capitalismo avanzato, come Italia, Francia, Germania, Inghilterra, dove i tentativi rivoluzionari sono falliti o non sono nemmeno stati innescati? Sostanzialmente nei Paesi arretrati, dove dominava ancora l’ancien régime, in paesi pre-capitalisti (come la Russia), vige un regime autocratico, lo zarismo, perciò i partiti politici, in primo luogo quelli di opposizione, erano banditi o perseguitati e non si era nemmeno affermato il regime rappresentativo liberaldemocratico. Vi era un regime sotto diversi aspetti totalitario, che accentrava su di sé tutti i poteri e si imponeva ai sudditi essenzialmente grazie al monopolio della violenza esercitata dagli apparati repressivi di uno Stato decisamente autoritario. In una tale condizione, per la riuscita della rivoluzione era stato sufficiente spezzare questo potere centralizzato proprio di uno Stato dispotico e conquistare i principali organi del potere statuale. In Paesi arretrati come la Russia non si era ancora affermata una società civile sviluppata, al contrario dei Paesi a capitalismo avanzato dove si è affermato un regime liberal-democratico e dove tra i cittadini e lo Stato non vi è un rapporto di dominio diretto, ma mediato dallo sviluppo di un’ampia e articolata società civile.
La società civile
Da un punto di vista logico, la società civile, sviluppatasi nei paesi a capitalismo avanzato, costituisce uno scudo potentissimo posto a difesa dello Stato e, sostanzialmente, se non si è in grado di conquistare l’egemonia sulla società civile non sarà possibile aver ragione del potere dello Stato. Proprio per aver trascurato questo decisivo aspetto la rivoluzione in occidente è fallita e, anzi, nei paesi in cui si è invano cercato di realizzarla la classe dominante ha reagito utilizzando la forza contro-rivoluzionaria dei fascisti, che hanno finito per imporsi in tutti questi paesi: l’Italia e l’Ungheria in primis e, in seguito, l’Austria e la Germania.
La differenza essenziale fra mondo orientale e occidentale è, quindi, la presenza in quest’ultimo di un’ampia società civile, che è una componente decisiva dello Stato moderno. Secondo la concezione marxista dello Stato, che Gramsci riprende e approfondisce, lo Stato non è neutrale, super partes, ma è la forma attraverso cui una classe sociale, con l’appoggio di altre classi alleate in funzione subalterna, esercita il proprio dominio, la propria dittature sulle classi sociali subalterne. Quindi lo Stato è necessariamente, in quanto tale, uno strumento del potere, del dominio di classe.
La società civile è uno strumento dello Stato borghese attraverso cui esso domina i subalterni in una forma molto più efficace degli Stati dell’ancien régime. Questi dominavano con la forza, la violenza: quando questa forza e violenza si indebolivano, come nella Russia sconfitta militarmente durante la Prima Guerra Mondiale, è relativamente facile, se si ha il controllo di una sufficiente componente delle forze armate, conquistare il potere. Invece nei Paesi a capitalismo avanzato non è così “semplice”, perché il potere è difeso e nascosto da uno scudo potentissimo costituito appunta dalla società civile, che è funzionale all’egemonia della classe dominante, ovvero alla sua capacità di dominio con il consenso dei subalterni. Nel pensiero di Gramsci, perciò, la questione dell’egemonia è un nodo centrale che, per quanto lo riprende esplicitamente da Lenin, lo ricontestualizza nelle moderne società capitalista del mondo occidentale.
L’egemonia
Che cosa intende, dunque, Gramsci con questo concetto, così centrale nella sua riflessione degli anni della maturità, ossia con il concetto di egemonia?
Il potere su cui si fonda in ogni Stato il dominio del blocco sociale dominante sulle classi subalterne si articola essenzialmente in due aspetti fondamentali. Il primo, di essi, è la forza militare, il monopolio della violenza legalizzata, per cui solo gli apparati repressivi dello Stato sono legittimati a utilizzare in maniera legale la violenza. Così, ad esempio, se dei poliziotti colpiscono anche violentemente dei subalterni, che magari mettono in discussione la proprietà privata, non passano guai. Se, invece, questi ultimi provano a reagire sono condannati a pene anche molto pesanti. Gli apparati repressivi dello Stato, strumento di dominio della classe dirigente, hanno il monopolio della violenza legalizzata.
Il secondo aspetto su cui si fonda il potere è più complesso e sfaccettato, si tratta dell’egemonia, ossia della capacità di dirigere politicamente e di dominare socialmente ed economicamente con il consenso dei subalterni. A dominare, prima dell’affermazione delle società socialiste, è sempre una minoranza e, quindi, qual è il rischio che inevitabilmente corre tale minoranza di privilegiati se basa il proprio dominio esclusivamente sull’uso della violenza legalizzata? Nel momento in cui si distrae, in cui vive un momento difficile, la maggioranza oppressa potrebbe rovesciare il suo dominio, come era successo appunto in Russia. Per evitare che un tale rischio si riproduca nei Paesi a capitalismo avanzato lo Stato si è dotato di un potentissimo armamentario, la società civile, funzionale a svolgere la propria funzione direttiva con il consenso dei subalterni.
L’alta borghesia, quindi, domina generalmente con il consenso dei lavoratori salariati, che non mettono in discussione il potere borghese, fondato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione e sulla gestione del potere politico, anzi spesso lo sostengono politicamente in maniera attiva. Gramsci, perciò, ritiene che se i subalterni non saranno in grado di rompere con questa forma egemonica di dominio e di appropriarsi dei luoghi decisivi della società civile mediante i quali si manipola e controlla il consenso dei subalterni, i rivoluzionari saranno inevitabilmente condannati alla sconfitta o all’impotenza.
Se, infatti, tentassero di conquistare il potere politico e socializzare i mezzi di produzione sarebbero una ristretta minoranza, che non sarebbe in grado di mobilitare la parte più consapevole delle masse, mantenendo la parte meno cosciente in una posizione neutrale. Infatti, se oggi i rivoluzionari in Italia pretendessero di iniziare il processo insurrezionale si troverebbero a dover fare i conti con i potentissimi apparati dello Stato e sarebbero, in quanto isolati, facilmente sgominati. Ovviamente le cose cambierebbero nel momento in cui i rivoluzionari divenissero reali avanguardie in grado di mobilitare, o dirigere consapevolmente, la mobilitazione spontanea di consistenti componenti dei ceti sociali subalterni. In caso contrario, i rivoluzionari cadrebbero nell’avventurista opportunismo di sinistra, offrendo così non solo il fianco alle classi dominanti per schiacciarli, ma anche per imporre una dittatura aperta del blocco sociale dominante, come avvenne nella maggior parte dei paesi occidentali in cui era fallita la Rivoluzione in occidente.
Affinché ciò non avvenga, prima di passare all’azione le forze rivoluzionarie devono essere certe di poter mobilitare i settori più consapevoli delle classi dominate, mantenendo in uno Stato di neutralità le componenti più arretrate e i ceti intermedi. D’altra parte, affinché ciò avvenga, affinché si possa divenire reali avanguardie in grado di porsi alla guida delle masse degli oppressi nello scontro frontale e decisivo con gli oppressori, bisognerà prima aver acquisito la capacità di egemonia su questo strumento formidabile dello Stato moderno che è la società civile. In quanto, se l’egemonia su di essa rimane nelle mani delle classi dominanti, ogni tentativo di innescare il processo insurrezionale da parte dei rivoluzionari è necessariamente condannato alla sconfitta.
Del resto, se i rivoluzionari accettassero il terreno dello scontro diretto con la classe dominante, che ancora mantiene il controllo sugli apparati repressivi dello Stato, andrebbero avventuristicamente incontro a una sconfitta sicura. Si rischierebbe di ripetere la tragica esperienza degli abortiti tentativi di rivoluzione in occidente, generalmente conclusisi con la morte dei rivoluzionari, il loro arresto o, nel caso più fortunato, la loro fuga all’estero. Mentre nel loro paese si realizzano, in funzione controrivoluzionaria, forme aperte di dittatura della borghesia, come quelle realizzate dai regimi fascisti.
La guerra di posizione
Ma come si articola la moderna società civile, quali sono le sue caratteristiche principali e gli strumenti di egemonia indispensabili al controllo che essa esercita sui subalterni? Tali strumenti sono costituiti, in primo luogo, dai mezzi di comunicazione di massa. La classe dominante per difendere i propri privilegi controlla generalmente i mezzi di comunicazione pubblici per mezzo della classe dirigente al suo servizio e i mezzi privati grazie al suo dominio economico. In tal modo, il blocco sociale dominante è in grado di controllare l'opinione pubblica.
Così è in grado di far sì che gli stessi dominati pensino in modo da tale da non mettere nemmeno in discussione l’ordine costituito. Pensiamo, ad esempio, al ruolo che ha oggi la televisione in Italia. E non solo la televisione, ma in realtà tutti i principali giornali, le radio, ecc. Sono tutti strumenti del potere, o perché sono proprietà dello Stato, ovvero della classe in esso dominante, o perché sono direttamente proprietà di imprenditori e ricchi borghesi privati. In tal modo, tutti i grandi mezzi di comunicazione divengono strumenti attraverso cui chi detiene il potere è in grado di fare un vero e proprio lavaggio del cervello ai subalterni, per far sì che i dominati considerino come naturale la loro condizione di sottomissione, mirando ad adattarsi nel modo migliore a tale forma di oppressione.