Parafrasando Massimo Troisi, potremmo dire che piuttosto che ripartire da zero, dopo l’ultimo tsunami elettorale che ci ha travolto, è preferibile ricominciare dai tre princìpi fondamentali del marxismo che possono servire da guida per i comunisti ovunque collocati, anche in funzione di un’unità di azione propedeutica a una progressiva ricomposizione. Il primo principio cardine è la necessità di un partito per poter organizzare la classe attraverso le sue avanguardie nel conflitto sociale. Come hanno di nuovo confermato i pessimi risultati per le forze comuniste ovunque collocate nelle ultime elezioni, al momento non è realisticamente all’ordine del giorno, purtroppo, in Italia la pur indispensabile ricostruzione di un partito realmente comunista (rivoluzionario). Allo stato attuale dei fatti ci troviamo, come insegnano i classici del marxismo, in una situazione di profonda arretratezza in cui non ci sono le condizioni per la costruzione di un partito comunista, di ricompattare i comunisti come frazione all’interno di un partito dei lavoratori salariati e, più in generale, dei subalterni anche su posizioni riformiste e socialdemocratiche. Il dramma è che attualmente in Italia questo partito semplicemente non esiste. Abbiamo da una parte il Partito Democratico sempre più su posizioni liberali di “sinistra” e sempre più incapace di rappresentare le istanze dei subalterni. Vi è poi Sinistra Italiana che sta puntando essenzialmente a fare da foglia di fico per coprire a sinistra il Pd, dimostrandosi così sempre più inadeguata a fare da ponte fra le forze della sinistra radicale e della sinistra piccolo borghese grillina.
Le più recenti elezioni hanno dimostrato nel modo più lampante come il Pd abbia definitivamente abiurato al ruolo di forza della sinistra moderata, rinunciando in partenza a ostacolare la resistibile conquista del potere da parte delle forze della destra sempre più spostate su posizioni radicali. La chiusura a qualsiasi possibile forma di alleanza, anche puramente tattica, con le forze della sinistra piccoloborghese dei Cinque Stelle per inseguire, peraltro in gran parte invano, le forze apologete del neoliberismo, ha una volta di più dimostrato che il Pd non ha nessuna possibilità di fare presa sui subalterni, se non rastrellando quanto resta del bacino di voti del Pci, negli ultimi anni sempre più socialdemocratico, cioè i suffragi di chi si ostina a non prendere atto del fatto che i democratici sono ormai da tempo passati armi e bagagli nello schieramento borghese.
Sinistra Italiana ha perso qualsiasi credibilità quando nel momento decisivo, in cui era possibile un’alleanza in grado di rilanciare la sinistra in Italia, unificando un arco di forze da Conte fino a Potere al Popolo, ha preferito puntare su un numero di poltrone garantite da un accordo, volto a coprire a sinistra il filo padronale Pd, in barba al proprio stesso statuto che prevedeva una consultazione degli iscritti, negata per il terrore che potesse sconfessare l’opportunismo di piccolo cabotaggio della maggioranza al vertice del partito. Anche i 5 stelle, per rafforzare la posizione di Conte e non metterla in difficoltà con le posizioni più radicali di Di Battista, ha rifiutato di schierarsi a sinistra, rivendicando il proprio qualunquismo opportunista e la piena fedeltà alla Nato. Dal resto i 5 stelle hanno da sempre come vocazione quella del partito populista della piccola borghesia non di destra.
Da parte sua Unione Popolare non è riuscita a uscire dal minoritarismo che caratterizza una parte significativa del suo gruppo dirigente, che riesce a essere al contempo opportunista di destra e di sinistra. Così, da una parte ha consentito a De Magistris di presentare un simbolo con il suo colore viola e il suo nome, disorientando l’elettorato di sinistra che avrebbe dovuto votare Unione Popolare, e al contempo una parte dei suoi dirigenti ha rifiutato la possibilità stessa di una intesa elettorale con Conte, dimostrando il proprio inguaribile infantilismo settario ed estremista.
Resta, quindi, la questione fondamentale dell’assenza in Italia di un partito della sinistra che rappresenti politicamente i subalterni e, in primo luogo, i lavoratori salariati. L’ultimo grande tentativo a questo proposito è stato quello che avrebbe dovuto avere Landini come protagonista, il quale alla fine ha preferito il piatto di lenticchie della direzione della Cgil che, per farsi perdonare il proprio passato di “sinistra”, è riuscito a spostare ancora più a destra rispetto alla precedente gestione della craxiana Camusso.
Dinanzi a questo obiettivo storico di primaria importanza acquistano meno rilievo i tentativi, per quanto comunque utili e generosi, di unificare alcuni frammenti della diaspora comunista. A meno di non voler essere idealisti, bisogna riconoscere che in condizioni storiche tanto arretrate dal punto di vista soggettivo, le forze comuniste potrebbero e dovrebbero ricomporsi come corrente interna, rivoluzionaria, di un potenziale partito dei subalterni anche se inizialmente egemonizzato dai socialdemocratici. In un tale partito dovrebbero in effetti confluire Sinistra Italiana, buona parte della Cgil, tranne quella meno collusa con il Pd, i militanti dell’Arci e una parte significativa della diaspora di sinistra e comunista, compresa una componente non minoritaria transitata per disperazione attraverso il Movimento Cinque Stelle.
La componente meno destra di Sinistra Italiana e una parte delle frattaglie che sinora hanno coperto da sinistra il Pd stanno aprendo un’interlocuzione con il Movimento Cinque Stelle, che se dovesse condurre a una pratica entrista nelle sue fila avrebbe effetti catastrofici per la ricostruzione di un partito volto a organizzare in modo autonomo i subalterni a partire dai lavoratori salariati. Al contrario, una volta realizzato quest’ultimo obiettivo diverrebbe essenziale provare a spostare, sulla base di mutati rapporti di forza, organizzazioni piccolo borghesi come i Cinque Stelle dal rappresentare la componente di sinistra e subalterna del blocco sociale dominante, al divenire la componente più moderata del blocco sociale di opposizione da sinistra al governo. Altrettanto importante sarà capire cosa faranno le componenti della maggioranza della Cgil che sono politicamente schierate con la maggioranza di Sinistra Italiana e con Articolo 1, sempre più orientato a fare entrismo nel Pd. Queste ultime forze continueranno a coprire a sinistra il Pd in cambio di una rappresentanza nelle istituzioni a tutti i livelli, a meno che i democratici non si spostino su posizioni ancora più centriste e tendenti a destra, se al loro interno dovesse prevalere Bonacini. In questo caso non sarebbe nemmeno da scartare l’ipotesi di una scissione dell’anima più laburista del Pd che potrebbe andare a costituire insieme alla maggioranza della Cgil l’asse portante del partito laburista di cui avrebbe in primo luogo bisogno l’Italia. Mentre nel caso, alquanto remoto, che dovesse prevalere la sinistra del Pd guidata da Orlando, difficilmente quest’ultima sarebbe in grado di riportare l’intero partito su posizioni socialdemocratiche. Se anche avesse la volontà e la forza di agire in tal senso ci sarebbe di certo una significativa scissione da destra volta a rilanciare la prospettiva del Partito della nazione con Renzi e Calenda.
Il secondo punto da cui è necessario ripartire è l’unità di azione fra i comunisti in modo da poter essere in grado di contendere per l’egemonia con le forze socialdemocratiche e piccoloborghesi all’interno di un fronte politico ampio in grado di mettere in difficoltà, attaccandolo da sinistra, sino a provocarne la caduta, l’attuale governo italiano. Tanto più che al momento il governo è sotto il controllo delle forze politiche più a destra dai tempi del fascismo di Mussolini. Senza contare che, dall’altra parte, abbiamo la “sinistra” parlamentare ridotta sempre più al lumicino e non in grado, né intenzionata realmente a mobilitare le masse e, in primis, i lavoratori salariati contro l’attuale governo. A tal proposito è del tutto da contrastare la posizione dell’opportunismo di sinistra che si ostina, anche nell’attuale nuovo e inedito scenario, a individuare nel Pd il primo nemico da contrastare e battere. Anche perché per mettere in difficoltà le forze della destra ci sarà bisogno di mobilitazioni di massa nelle quali chiunque è intenzionato a criticare da sinistra il governo deve essere bene accetto. Ciò naturalmente non deve impedire, al di là delle convergenze tattiche nelle lotte contro il governo delle destre, la necessità dei comunisti di continuare a denunciare dinanzi alle masse popolari tutti i limiti e le ambiguità tanto del Pd, quanto dei Cinque Stelle e della maggioranza della Cgil.
D’altra parte la piccola borghesia non di destra dei grillini, le frattaglie a sinistra del Pd e persino la corrente laburista dei democratici vicina alla Cgil dovrebbero poter far parte di questo fronte ampio dell’opposizione di sinistra all’attuale governo egemonizzato dalla destra radicale. Nel caso fortunato che ciò accadesse, sarebbe quanto mai importante la convergenza di più comunisti possibili nella frazione di sinistra di questo costituendo partito laburista a trazione essenzialmente moderata.
In terzo luogo bisogna contrastare l’inflazione che sta riducendo sempre di più in miseria i ceti medio-bassi del nostro paese, assumendo una posizione di chiara rottura in politica internazionale con l’imperialismo occidentale, che permetterebbe di cominciare a fare egemonia in quella maggioranza silenziosa del paese contraria al riarmo, alla escalation militarista, al continuo invio di armi all’Ucraina e al sempre più pesante embargo nei confronti della Russia. Solo così si potrebbero coniugare due aspetti decisivi della politica comunista, cioè l’antimperialismo nella politica estera e la lotta, in primo luogo economica, per la difesa del salario sociale, naturalmente e necessariamente di classe. Peraltro, per sconfiggere realmente l’inflazione, bisognerebbe al contempo contrastare quelle tendenze protezioniste che impediscono di fatto ai subalterni italiani di poter acquistare le merci ai prezzi più bassi. Per ovviare a tale drammatico problema è necessario il ripristino della concorrenza internazionale a partire dal reinserimento del nostro paese nel grandioso piano di rilancio dei commerci internazionali lungo la nuova via della seta. A tale scopo andrebbe costituito un ampio fronte sociale in cui cercare di far convergere, quantomeno, le forze meno atlantiste della piccola borghesia di sinistra e dei riformisti socialdemocratici. Mentre anche in tal caso sarà necessaria la rottura con la componente filoatlantica e postdemocristiana del Pd. Tale spirito di scissione dovrà necessariamente essere portato avanti nei riguardi della componente liberale e filoatlantica della dirigenza del Pd, ma sfidando quest’ultima nella lotta per l’egemonia, per cercare di portare il più alto numero di militanti, iscritti, sostenitori, simpatizzanti e semplici elettori “democratici” nella direzione di un partito laburista italiano.
Solo assumendo una reale capacità di egemonia e dimostrando nei fatti la propria adeguatezza a svolgere il ruolo di direzione consapevole all’interno di queste tre grandi direttrici del lavoro di massa – volto a ricompattare, rinfrancare e ricaricare i subalterni – i comunisti potranno riconquistare quella credibilità anche politica dinanzi alle proprie classi sociali di riferimento, perduta in particolare dopo il vergognoso e suicida sostegno all’antipopolare governo Prodi bis.
Proprio questa dovrà essere, in conclusione, la fondamentale discriminante: cioè sì alla compresenza in un fronte ampio di opposizione da sinistra al governo della destra di ogni sincero democratico e persino liberaldemocratico; no a qualsiasi prospettiva di cogestione del potere in uno Stato imperialista – a maggior ragione se si rimanesse in una condizione di subalternità – con la componente liberale di “sinistra” del Partito Democratico.