Il governo delle crociate inutili

La destra nostrana al governo, stretta tra la crisi dei ceti medi in corso di proletarizzazione e le proprie ridicole battaglie ideologiche, corre dritta e spedita in un vicolo cieco dal quale si spera non riemerga mai più.


Il governo delle crociate inutili

Non si può certo dire che l’esordio del governo Meloni in politica estera sia stato sfavillante, a fronte degli scontri succedutisi tra Italia e Francia scaturiti dal caso della Oceans Viking e dal riaprirsi della tensione sul tema della cooperazione in materia di flussi migratori, con particolare riferimento alla gestione dei soccorsi operati da navi private e all’attuazione di meccanismi effettivi di solidarietà europei. Un film sotto certi aspetti “già visto” dal 2018 – all’epoca dei “porti chiusi” e dei decreti sicurezza del primo governo Conte e di Salvini vicepremier e capo del Viminale – ma che non solo non rappresenta affatto una tematica superata, per quanto la stessa si sia maggiormente complicata rispetto ad allora in considerazione del fatto che nel corso di questi (relativamente pochi) anni sono accaduti tuttavia fatti di portata storica che hanno inciso e stanno ancora incidendo in maniera profondissima sia a livello globale che sulla tenuta delle c.d. democrazie liberali europee, come la pandemia da Covid-19 che ha deteriorato la condizione economica e sociale già prima precaria di migliaia e migliaia di persone, e la nuova fase della guerra in Ucraina.

Com’è noto, dopo aver acconsentito allo sbarco delle oltre duecento persone intrappolate per diversi giorni in mare, la Francia ha malamente reagito alle imbarazzanti insinuazioni di diversi esponenti del nostro governo a proposito del fatto che la “linea dura” dei postfascisti nostrani avrebbe “piegato” e convinto i francesi a concedere il porto, determinando quindi lo smarcamento dal patto sulla relocation in base al quale la Francia avrebbe accolto 3.500 richiedenti asilo al momento presenti sul suolo italiano.

Evidente la bassezza morale e la condotta criminosa di entrambi gli attori di questo triste teatrino, che giocano al braccio di ferro letteralmente sulla pelle delle persone, come fossero pacchi postali sgraditi da recapitare, merce di scambio o di ricatto. Ma d’altra parte sarebbe patetico aspettarsi qualcosa di diverso dalle élite di potere imperialiste, tanto più in una fase in cui esse appaiono più che mai in affanno e non nascondono neanche più la necessità di bastonare il cane che affoga pur di salvarsi.

Da una parte, questa (fin troppo eclatante) bagarre non può che ottenere l’effetto di allontanare sempre di più l’accordo per modificare il Regolamento Dublino (ossia superando l’attuale criterio in base al quale la competenza all’esame delle domande di asilo si radica nel primo paese nel quale il richiedente fa ingresso irregolare a favore di un nuovo criterio basato sulla distribuzione obbligatoria dei richiedenti asilo in tutti i paesi UE, indipendentemente dal paese di primo ingresso, sulla base di parametri oggettivi quali il PIL e la popolazione), lasciando di fatto immutata la situazione attuale. Una situazione in cui, contrariamente alla vulgata massmediatica, la stragrande maggioranza degli arrivi in Europa non avviene via mare ma principalmente via terra dai confini orientali del continente se non con “regolare” visto turistico, l’enorme numero di persone che soggiornano irregolarmente è favorito da leggi che rendono di fatto impossibile il circolo vizioso regolarizzarsi/integrarsi in modo da alimentare il lavoro nero, schiavile, la tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale e lavorativo, la manodopera migrante maggiormente qualificata viene scelta e selezionata per essere ricollocata nei paesi membri più ricchi per mantenere al contempo elevati standard produttivi e controllati al ribasso i salari del proletariato nazionale, ecc.: una situazione idilliaca per le necessità del grande capitale transnazionale che può giovarsi di un enorme bacino di esercito industriale di riserva da cui attingere a piene mani.

Dall’altra parte un ulteriore effetto dell’escalation diplomatica tra Roma e Parigi sulla vicenda è altresì quello di ricompattare le leve di comando tra i governi europei e, dopo la malvista cacciata del fedelissimo e fidatissimo Mario Draghi, muovere le prime mosse per isolare e destabilizzare un esecutivo, come quello della Meloni, che per quanto si sia sperticato negli ultimi tempi in rassicurazioni di ogni tipo, evidentemente non convince Bruxelles proprio in ragione delle sue non poche contraddizioni e zone d’ombra. 

La super-destra al comando in Italia è espressione infatti della crisi dei ceti medi in corso di proletarizzazione: il panico isterico con cui parte di queste classi medie rispondono al processo in corso comporta che la lotta contro il più povero, contro i flussi migratori quindi, risponda pienamente alla necessità dei loro referenti sociali di contrastare questo fenomeno fornendo un comodo specchietto per le allodole con la simbolica lotta all’immigrato sbarcato.

D’altra parte, non potendo rispondere alla crisi delle classi medie migliorandone le condizioni di vita economiche in quanto privi materialmente, come altri prima di loro, delle risorse per farlo, l’intensificazione ideologica dell’estrema destra al governo – il mito del sostituzionismo etnico, l’invasione prodotta dalle lobbies del grande capitale ecc. – rappresenta un aspetto fondamentale per la propria autoconservazione  politica; la figura dell’immigrato che sbarca, delinque, degrada e “ruba risorse agli italiani” risponde molto bene nell’immaginario collettivo alla creazione di un nemico esterno da combattere, così come altre mitologie funzionali alla stessa sopravvivenza della destra postfascista, soddisfacendo così appieno un problema di identità ideologica tutto interno a quest’ultima.

Non foss’altro che, tuttavia, in tale maniera queste politiche identitarie si contrappongo in maniera inconciliabile alla necessità opposta del grande capitale (europeo ma anche nazionale), ossia quella di ricercare manodopera qualificata a basso o bassissimo costo: in questa ottica risultano anche maggiormente comprensibile i moniti lanciati (già da tempo in realtà) da Confindustria e dalle grandi imprese del Nord Italia, all’unisono con gli industriali d’oltralpe, che reclamano e bramano appunto grandi quantitativi di lavoratori e lavoratrici immigrati [1]. 

Se, al contrario, per rispondere alle logiche identitarie di cui sopra, la linea del governo continuasse a essere quella di tenere “la barra dritta”, come amano dire, sulla questione degli sbarchi (che, comunque, rappresentano una minima percentuale rispetto al tutto) e dell’afflusso in genere della popolazione migrante, paradossalmente accadrebbe che, salendo la domanda di lavoro ma diminuendo l’offerta, il costo del lavoro sarebbe costretto a incrementare, contravvenendo pienamente al diktat del grande capitale di mantenere basso il costo del lavoro grazie al rimpolpamento massiccio dell’esercito industriale di riserva che, a causa della pandemia, aveva visto rallentare di parecchio i flussi di lavoro dai paesi più poveri.

Quello che è il “grande compito storico” di questo governo è chiaro sin dai suoi esordi: buttarci continuo fumo negli occhi con patetiche crociate ideologiche che non hanno alcuna incidenza reale nel miglioramento delle condizioni di vita delle persone ma, al contrario, solo un elevatissimo e devastante impatto sul loro imbarbarimento socio-culturale, creando falsi miti, marginalizzazione e criminalizzazione del dissenso, razzismo, odio, nemici immaginari nelle persone immigrate, nei partecipanti a un rave party o a un’assemblea sindacale o, ancora, a un evento universitario, nelle persone con diverse identità di genere e orientamenti sessuali e via discorrendo. Tutto questo fortunatamente non ha alcuna prospettiva di sopravvivenza concreta nel lungo periodo, ma sarebbe auspicabile che, anziché lasciare il compito di spodestarli a nemici per certi versi ancor più insidiosi e temibili, fossimo noi, seppur ancora orfani di un movimento progressista che stenta a nascere, a iniziare a rialzare la testa.

 

Note:

[1] Ex plurimis:

Germania, servono lavoratori qualificati. Li chiede Confindustria | il manifesto

«Servono immigrati, non il contante»: cosa vogliono gli imprenditori del Nord Est che hanno punito la Lega - L'Espresso (repubblica.it)

B20, l'appello della Confindustria francese sui dissidi tra Parigi e Roma: "Per la crescita serve un'Europa unita" - la Repubblica

Italia senza manodopera: «Ottantamila stranieri e si esce dall’emergenza» | G. di Vicenza (ilgiornaledivicenza.it)

18/11/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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