Il califfato nero di Al Baghdadi perde anche la città di Palmira e intanto l'Iraq prepara l'offensiva su Mosul. Ma alle sconfitte militari si abbina una maggiore attività terroristica e tra gli attentatori non mancano persone ben conosciute dagli apparati di sicurezza delle potenze occidentali, le quali sono ancora alle prese con la perdurante recessione economica.
di Stefano Paterna
Il tramonto del cosiddetto Stato Islamico si annuncia sanguinoso.
Che si tratti di un declino, infatti, sembra abbastanza evidente. Il giorno di Pasqua il governo di Damasco ha annunciato ufficialmente la liberazione di Palmira, la “Sposa del deserto” caduta in mano ai tagliagole dell'Isis il 21 maggio dello scorso anno con i suoi tesori archeologici. La sua riconquista da parte delle truppe di Bashar Al Assad costituisce un devastante colpo di immagine per il califfato e, conseguentemente, un tonico psicologico per le forze armate armate arabo siriane e per i loro alleati dichiarati (Russia, Iran, Iraq e Hezbollah libanesi) e di fatto (le forze della Sinistra curda raggruppate nelle YPG e nelle YPJ).
L'intervento russo nello scenario siriano, datato ottobre 2015, ha ribaltato i rapporti di forza sul campo in cinque mesi, mentre da parte sua il gruppo terroristico guidato da Abu Bakr al Baghdadi ha perduto circa il 40 per cento dei territori che controllava nel 2014 [1]; solo per stare all'ultimo periodo, infatti, alla caduta di Palmira in Siria va aggiunta quella di Ramadi al di qua del confine con l'Iraq. Il governo iracheno, inoltre, ha ormai avviato i preparativi per la riconquista di Mosul che con il suo milione e mezzo di abitanti è, di fatto, la città più importante ancora in mano all'Isis, mentre Damasco punta ormai dichiaratamente a strappare anche le città di Deir-el-Zor e di Raqqa.
L'Isis ferito a morte tenta la carta del terrorismo
Gli attentati di Bruxelles e prima ancora quelli di Parigi del 13 novembre 2015 rappresentatano, però, l'altra metà, quella più oscura, del fenomeno della sconfitta militare delle forze jihadiste nel quadro dell'antica Mesopotamia.
Poche sono state le riflessioni finora su questo aspetto, nonostante la sua evidenza: gli attentati più sanguinosi compiuti da affiliati al califfato sono stati eseguiti in questi ultimi mesi, quelli che hanno visto l'arretramento e la sconfitta sui due principali fronti militari in cui è impegnato il cosiddetto Stato Islamico, appunto la Siria e l'Iraq. Senza contare lo stato di avanzata dissoluzione in cui si trova Boko Haram, il gruppo jihadista nigeriano, affiliatosi lo scorso anno all'Isis.
Anche se è vero, in effetti, che atti terroristici di notevole gravità erano già stati compiuti da fanatici dichiaratisi sostenitori del califfato (la strage nel Museo Ebraico di Bruxelles con quattro morti del maggio 2014, l'assalto al Parlamento di Ottawa in Canada con la morte di un poliziotto dell'ottobre dello stesso anno, l'attacco al Museo del Bardo di Tunisi che ha causato 22 morti nel marzo del 2015) il dato pare incontrovertibile.
I fatti dicono che il 13 novembre 2015 a Parigi di persone ne morirono ben 130 (ferite 350) e pochi giorni fa, a Bruxelles, l'Isis ne rivendica la morte di altre 32 (230 i feriti). E questo al netto degli atti terroristici che il califfato firma al di fuori dell'Europa e del Nord America e che, per una sorta di razzismo implicito, i mass media occidentali sottolineano ben poco: ad Ankara 128 morti a causa di un kamikaze dell'Isis esploso durante una manifestazione filocurda il 10 ottobre 2015; il 31 ottobre deflagra un aereo passeggeri russo sul Sinai, 224 le vittime, l'Isis rivendica l'azione; tra il 31 gennaio e il 21 febbraio 2016 muoiono oltre 250 persone in una serie di attentati avvenuti a Damasco e a Homs in Siria [2]. E’ come se l'Isis, cosciente della propria sconfitta militare, punti sul terrorismo internazionale per rinfocolare un clima da crociata che gli consenta di riprendere in mano la bandiera dell'Islam sunnita.
Specularmente è soprattutto in occasione degli attentati parigini e belgi che si accentua l'atteggiamento dei grandi mezzi di informazione occidentali inaugurato già ai tempi di Charlie Hebdo: le azioni terroristiche, infatti, vengono poste al centro della agenda mediatica, diffondendo un clima di terrore e di emergenza in tutte le capitali del Vecchio Continente.
L'altro dato inquietante su cui bisogna insistere è che molti dei terroristi coinvolti nelle stragi di Parigi (come del resto si era appurato anche nel caso di Charlie Hebdo) e, probabilmente, in quelle di Bruxelles, erano vecchie conoscenze degli apparati di sicurezza francesi e belgi: Abdelhamid Abaaoud ad esempio.
Questo elemento va connesso con la crescente volontà di intervento che alcuni governi europei stanno dimostrando da ormai diverso tempo: soprattutto Francia (da anni impegnata nella fascia subsahariana dell'Africa) e Regno Unito. Curiosamente, questa aggressività anche se fondata ufficialmente sulla minaccia dell'Isis, non ha nel mirino la Siria o l'Iraq, bensì la Libia: ovvero un territorio dove la presenza dell'Isis non ha ancora i caratteri statuali che possiede invece nel Medio Oriente, ma che costituisce un'area preziosa dal punto vista delle risorse energetiche di gas e petrolio.
Nelle scorse settimane su alcuni giornali italiani girava perfino una mappatura informale sulla suddivisione in aree di influenza dell'ormai ex stato libico: Tripolitania all'Italia, Cirenaica a Londra (in collaborazione con l'Egitto di Al Sisi) e il Fezzan alla Francia. Il che spiegherebbe con chiarezza la titubanza del governo Renzi ad assumere il comando di una spedizione internazionale in Libia sotto l'egida delle Nazioni Unite che metterebbe un sigillo ufficiale alla marginalità del capitale italiano nella Libia del post-Gheddafi.
Infine, un ultimo elemento deve essere preso in considerazione se si vuole tentare di comprendere la complessità della situazione internazionale del momento: l'Occidente e, di sicuro l'Europa, non è uscita dalla recessione, anzi minaccia di sprofondarci di nuovo, visto che la Cina stessa ha molti problemi a mantenere gli stessi tassi di sviluppo del decennio precedente. E' questo il motivo per cui il declino militare del califfo nero di Raqqa rischia di risvegliare un riflesso coloniale a Occidente, un riflesso sanguinoso fortemente auspicato dalla nuova leva delle destre transatlantiche, i Trump, i Salvini, le Le Pen, ma che si nutre di potenti spinte economiche.
Note:
1.http://www.analisidifesa.it/2016/03/lesercito-siriano-libera-palmira-quello-iracheno-punta-su-mosul/
2.Nell'orribile elenco che precede non è stata inclusa la strage di Charlie Hebdo del gennaio del 2015 che infatti era stata rivendicata dall'altra grande organizzazione jihadista e, precisamente, da Al Qaida nella penisola arabica, mentre le cinque uccisioni avvenute in concomitanza con quel grave attentato e firmate dall'Isis farebbero propendere per una logica di concorrenzialità tra gruppi terroristici. Al Qaida, tuttavia, non ha mai avuto come criterio principale il radicamento territoriale in un particolare teatro di operazioni, mentre il califfato invece sì. Ed è quindi l'escalation terroristica di quest'ultima organizzazione che deve attirare l'attenzione degli osservatori.