Esattamente nel secondo giorno di scuola Giuliano De Seta, studente di 18 anni che frequentava l’ultimo anno di un istituto tecnico, è stato vittima di un “incidente sul lavoro”, così chiamano di solito gli omicidi “bianchi”. Per poter diplomarsi aveva bisogno di “crediti” – nella scuola ormai si parla il linguaggio della finanza – e pertanto doveva devolvere parte del suo impegno e “monte-ore” scolastico in uno stage di “alternanza scuola-lavoro”, come previsto dalla “buona scuola” di Renzi, una legge voluta da Confindustria, sostenuta dai partiti di centrodestra e di centrosinistra, contro cui il sindacato non si è opposto con determinazione e di cui nessuno parla in questa assurda campagna elettorale.
Negli ultimi due anni sono morti altri studenti impegnati nell'alternanza. Nel solo 2022 sono morti il diciottenne Lorenzo Parelli e il sedicenne Giuseppe Le Noci. Le proteste studentesche dello scorso inverno sono state represse con inaudita ferocia, alcuni dei protagonisti sono ancora agli arresti, decine di giovani attendono processi che produrranno condanne pesanti.
Così gli studenti continueranno a essere immolati sull’altare di uno sviluppo economico distorto, che si regge solo sull’abbassamento del costo del lavoro, sull’utilizzo gratuito di giovani in formazione scolastica, sull’incremento dei ritmi di lavoro, sul risparmio nelle misure di prevenzione.
Per anni è stata raccontata la novella che gli studenti non trovano lavoro perché i loro corsi di studio sono lontani dal mondo della produzione. Gli stage scuola-lavoro non sono stati certo la risposta adeguata. Molto spesso servono a utilizzare i giovani impropriamente in sostituzione della forza-lavoro formata e contrattualizzata. La scuola sta diventando sempre più una fabbrica di lavoratori privi di coscienza di classe e educati a obbedir tacendo, mentre servirebbe una scuola che fornisca loro gli strumenti per una conoscenza critica del mondo del lavoro e della società. A specializzarsi si fa sempre in tempo se siamo in possesso degli strumenti culturali adeguati.
La dichiarazione della ministra per le Pari opportunità, Bonetti, è emblematica della mancanza di sensibilità dei nostri governanti: “la legge non si tocca e i progetti scuola-lavoro sono validi”.
Ma i giovani muoiono sul lavoro anche perché i luoghi di lavoro sono troppo pericolosi e difatti vi muoiono anche lavoratori di ogni età: circa 1.400 ogni anno. Non è mai scontato parlarne. Spesso lo si fa attraverso comunicati che riproducono, da anni, gli stessi contenuti: l’aumento degli infortuni e delle malattie professionali, l’elevato numero di omicidi sul lavoro come prodotto di un’organizzazione del lavoro capitalista che non investe in salute e sicurezza, senza dimenticare il lavoro nero, l'innalzamento dell’età pensionabile, il mancato ampliamento della categoria dei lavoratori usuranti che possono anticipare l’età pensionabile, gli orari giornalieri e settimanali prolungati, il deteriorarsi delle condizioni di vita che costringono a restare in produzione fino a quasi 70 anni di età, i processi produttivi intensificati nei ritmi e nei tempi per accrescere i profitti, i contratti pirata, precari, in appalto o subappalto, in affitto, in false cooperative o false partite Iva, l’eccessiva, stressante pendolarità.
Rischiamo di cadere nell'ovvio o di appellarsi alla Magistratura perché faccia piena luce sui fatti avvenuti, dimenticando che molte cause finiscono con condanne lievi o irrisori risarcimenti economici quando non arrivano ad assoluzioni e non luoghi a procedere.
Chiedere oggi alle organizzazioni sindacali, confederali soprattutto ma anche di base, di dare vita a una mobilitazione permanente nei luoghi di lavoro è un autentico miraggio. Gli scioperi sono diventati rituali e circoscritti all’azienda dove è scoppiato il morto o il grave infortunio.
Manca non solo una coscienza diffusa ma anche una massa critica che consenta di agire conseguentemente ed efficacemente. Senza dubbio le deroghe ai contratti nazionali e alle norme sull’orario di lavoro sono tra le cause delle morti e degli infortuni sul lavoro ma le ragioni sono anche altre.
L’estate ormai terminata ha visto molti/e lavorare in condizioni proibitive con temperature elevate. Perfino la richiesta di modificare gli orari giornalieri operando nelle ore meno calde è stata respinta fino a quando le autorità non sono intervenute davanti ai malori o alle morti. A quel punto i padroni hanno anticipato le ferie, fatto ricorso ai permessi imposti, accorciato la giornata lavorativa con un monte orario a debito dei singoli dipendenti che dovranno restituire quelle ore in autunno intensificando i ritmi.
Le morti sul lavoro sono impropriamente definite morti bianche, sono accompagnate dal cordoglio delle istituzioni; i sindacalisti invocano ispettori alla sicurezza che tardano ad arrivare con scarso potere effettivo.
All’indomani della sua approvazione è iniziato un attacco concentrico alla legge n. 81 sulla sicurezza del lavoro. Lo scopo degli attacchi è ottenere norme meno severe per chi non rispetti le normative di sicurezza. Berlusconi, per esempio, nel 2009 depenalizzò le violazioni alla legge, permettendo così ai datori di lavoro di optare per la scelta più conveniente: pagare una multa risparmiando sulle spese per la prevenzione e sicurezza.
Un concreto aiuto alla parte datoriale è stato fornito dai sindacati più rappresentativi con le deroghe ai contratti o lo scambio tra aumenti della produttività e premi aziendali (detassati).
La salute e la sicurezza sono, anzi dovrebbero essere, una priorità dell'azione sindacale e politica, ma tanta disattenzione riguarda non solo gli ambiti produttivi ma le nostre stesse esistenze dilaniate dalla precarietà, dai bassi salari, dall’innalzamento dell’età pensionabile, dalla scelta tra un impiego a tempo determinato con inadeguate tutele e la disoccupazione.
Il vero problema è rappresentato dalla tacita accettazione della precarietà che poi si traduce anche in minore sicurezza nei luoghi di lavoro. Le tematiche inerenti la sicurezza sono demandate ai Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (Rls) che non hanno potere di veto effettivo.
Ben diverso dovrebbe essere il ruolo del sindacato. Perché non chiede l’abolizione dell’alternanza scuola-lavoro? Perché non rivendica l’abrogazione delle legge che prevede mille forme di lavoro precario? Perché non lotta per reintrodurre il reintegro dei lavoratori licenziati senza giusta causa? Infatti, finché i lavoratori saranno ricattabili, saranno obbligati ad accettare ogni tipo di lavoro a rischio.
Siamo davanti a una strage continua che riguarda lavoratori e lavoratrici ma anche studenti e studentesse che non hanno laboratori e scuole attrezzate dove acquisire competenze da sfruttare un domani nel mondo del lavoro.
Siamo consapevoli che da questa situazione non si può uscire senza aggredire con forza le cause delle morti e degli infortuni sul lavoro. Chi pensa sia sufficiente qualche ispettore in più dimentica come anche eventuali assunzioni siano troppo esigue rispetto al numero dei cantieri e delle aziende da controllare. E anche qualora fossero in numero sufficiente, esistono normative di legge a uso e consumo della parte datoriale.
E allora cosa fare? Massa critica, conflitto, resistenza, assemblee nei luoghi di lavoro per individuare i fattori di rischio e pretenderne l’eliminazione, denuncia costante della precarietà. Qualcuno riterrà che non saranno risposte sufficienti a rimettere in discussione quello stato di cose che ha provocato l’aumento delle morti e degli infortuni sul lavoro, l’aumento delle malattie professionali, l’accettazione di pochi euro in cambio di ritmi e tempi di lavoro insostenibili. Ma cosa propongono in alternativa? Saranno le genuflessioni al padronato o le speranze nella Magistratura la soluzione al problema?