La forza contrattuale delle organizzazioni sindacali negli ultimi anni è stata messa a dura prova dalle controriforme del mercato del lavoro. Fino al 2008 la progressiva riduzione dei diritti e delle tutele ha condotto a un’enorme crescita della precarietà occupazionale e a un generale scadimento della qualità del lavoro: ricattabilità sul posto di lavoro, bassi salari e scarse tutele sociali sono le principali caratteristiche del lavoro ‘flessibile’. L’autoconvocazione è la proposta che può tenere insieme la libertà di movimento fuori dai recinti organizzativi delle soggettività sindacali e la capacità di unirsi con chiunque condivida obiettivi e interessi della lotta.
di Riccardo De Angelis e Marco Elia
Negli ultimi anni di crisi alla precarietà di massa si è sommata la disoccupazione di massa. L’ultimo intervento ‘riformatore’ attuato dal governo Renzi da un lato (l.78/2014) ha liberalizzato il lavoro dipendente temporaneo, intensificando così per tale via il processo di precarizzazione del lavoro. Dall’altro, la creazione del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti è stata accompagnata dalla eliminazione del diritto al reintegro. La propaganda governativa ha cercato di presentare il contratto a tutele crescenti come una forma di “lavoro stabile”. E’ chiaro come nell’insieme il Jobs Act - nonostante i ripetuti proclami - abbia condotto a un generale abbattimento delle tutele contro il licenziamento e quindi a una sostanziale generalizzazione del precariato all’insieme della forza lavoro.
La precarizzazione del lavoro nel tempo è stata perseguita ignorando le risultanze di una robusta letteratura empirica [1] [2] che ha mostrato chiaramente come tra flessibilizzazione del lavoro e andamenti occupazionali non vi sia alcuna correlazione statistica. Detto altrimenti, ridurre i diritti dei lavoratori e lavoratrici non comporta una crescita dell’occupazione. E’ evidente quindi che la precarietà va letta come un potente mezzo di riduzione del potere contrattuale delle organizzazioni di rappresentanza del lavoro. E la ricattabilità si sposa perfettamente con un rigido disciplinamento del lavoro. L’obiettivo ultimo è la compressione dei salari e il generale peggioramento delle condizioni di lavoro.
Dopo due decenni di forte destrutturazione e frammentazione del mercato del lavoro appare necessaria, da parte delle organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori e lavoratrici, l’individuazione di possibili strategie capaci di invertire la tendenza alla perdita di potere negoziale. Il dibattito, da questo punto di vista, è in corso da tempo. Un elemento di particolare importanza è sempre stato la rappresentanza dei cosiddetti lavoratori atipici: come tutelare la crescente massa di soggetti precari inquadrati con contratti temporanei dipendenti, parasubordinati, false partite Iva etc..? Spesso le strategie messe in campo dalle organizzazioni sindacali hanno evidenziato una tendenza alla settorializzazione che ha riprodotto specularmente la frammentazione frutto delle controriforme del mercato del lavoro. Miopi e controproducenti divisioni tra precari e lavoratori ‘standard tutelati’ non hanno fatto altro che creare contrapposizioni tra i lavoratori e reazioni corporativistiche all’interno delle organizzazioni sindacali. Ciò proprio mentre il precariato, come detto, si è progressivamente trasformato nell’unica concreta prospettiva anche per gli occupati a tempo indeterminato. Per anni il dibattito ha rincorso i mutamenti della normativa non cogliendo in tal modo non solo la tendenza alla generalizzazione del precariato, ma dimenticando anche che la più efficace risorsa a disposizione della rappresentanza è l’unità: una delle condizioni irrinunciabili per creare migliori rapporti di forza nel confronto diretto con le imprese è il superamento di qualsiasi steccato basato sulle differenti tipologie contrattuali. La spinta all’unità è peraltro necessaria per recuperare terreno dopo decenni di pesanti attacchi al salario indiretto (tagli alla spesa sociale) e al salario differito (ristrutturazioni del sistema previdenziale con tagli alle pensioni e allungamento della carriera lavorativa).
Le organizzazioni sindacali non sono state le uniche a proporre strategie di intervento viziate dalla settorializzazione. Anche le esperienze autorganizzate di rappresentanza del lavoro precario - sorte negli ultimi anni fuori e in contrapposzione con le sigle sindacali - hanno spesso riprodotto schemi di intervento caratterizzati da contrapposizioni tra tutelati e non tutelati, tra garantiti e precari etc.. Le legittime mobilitazioni per il riconoscimento di tutele sul posto di lavoro e per un allargamento delle protezioni in caso di malattia, disoccupazione, maternita etc. (le mobilitazioni per un ampliamento del welfare a settori scarsamente tutelati) sono destinate a scontrarsi con i limiti di una visione che è essenzialmente debole in termini negoziali, non essendo capace di uscire dagli angusti confini delineati dalle stesse controriforme imposte dai diversi governi che si sono avvicendati negli ultimi vent’anni.
I temi fin qui sintetizzati sono stati dibattuti in un recente incontro svolto a Milano alla Fondazione Feltrinelli. Una tavola rotonda animata da associazioni autorganizzate di tutela di lavoratori atipici, rappresentanti sindacali, ricercatori e giornalisti ha descritto nelle sue varie sfaccettature il mondo del lavoro. Le difficoltà narrate da ognuno di questi punti di vista ha palesato l’incapacità di osservare il contesto da un punto di vista generale. Anche coloro che positivamente raccontano la propria esperienza sono costretti ad arrendersi di fronte al gradino superiore del mero corporativismo. In particolare quando si comincia a discutere di diritti fondamentali che dovrebbero essere garantiti, come la pensione, il diritto a indennità per malattia, maternità etc.
Questo perché si tratti dell’associazione di tutela degli artisti, anziché della rete di lavoratori atipici, quandanche il sindacato Nidil-Cgil, presi singolarmemnte questi soggetti non hanno a disposizione gli strumenti necessari per portare le legittime istanze, in un contesto di forza rivendicativa su tematiche generali. Abbiamo ritenuto per questo di mettere sul tavolo della discussione l’esperienza che in questi anni si è cercato di produrre come proposta a tutto il mondo del lavoro, trasversalmente alle OO.SS. ma anche fuori. Unitariamente con le figure atipiche o classiche di lavoratori, in opposizione agli schemi che volevano invece separati interessi e obiettivi degli uni o degli altri. L’autoconvocazione è la proposta che può tenere insieme la libertà di movimento fuori dai recinti organizzativi delle soggettività sindacali e la capacità di unirsi con chiunque condivida obiettivi e interessi della lotta. Non una originalità perché in effetti è soltanto la riproposizione dei consigli di fabbrica o consigli territoriali, rapportata ai giorni nostri dove abbiamo la necessità di ricomporre su piattaforme rivendicative precise e stagliate sulla realtà ciò che i contratti, le categorie, le divisioni sindacali vorrebbero atomizzate. Ricostruire la seconda gamba del movimento sindacale che fino agli anni ’80 aveva prodotto l’insubordinazione operaia che imponeva le riforme. La seconda gamba del movimento sindacale che hanno voluto amputare nel ‘92 con gli accordi per le RSU e che con le esperienze dell’Autoconvocazione, unitamente con gli esperimenti delle Camere del Lavoro Autonomo e Precario, metropolitane, i comitati di precari, le soggettività variamente espresse in questi anni si cerca di ricostruire per riprendere a marciare. Riconnettere tramite questi strumenti che superano gli steccati, a volte imposti dal nemico a volte costruiti da una concezione corporativista, è il principio attorno al quale si è costituita la rete della Coalizione Sociale per lo Sciopero Sociale che già il 14 novembre 2014 ha trovato il suo momento di precipitazione con lo sciopero generale ma che ha animato altre diverse mobilitazioni in giro per l’Italia, ma soprattutto ha costruito diversi tavoli dove figure sociali diverse, occupate o inoccupate, precarie o stabili, possono riconoscersi a vicende e iniziare a discutere su come riprendersi le quote di salario diretto, indiretto o differito che ormai quotidianamente ci viene estorto.
Certamente le istanze e le esperienze delle diverse figure sociali rappresentate nella tavola rotonda hanno bisogno di loro camere di compensazione specifiche, ma senza uno strumento che ricomponga le differenze in un'unica appartenenza di classe rimane irrisolta la possibilità di rappresentarne i bisogni se non in termini microscopici. La concezione gramsciana della dialettica necessaria tra organizzazione del movimento operaio e la sua capacità di confliggere oltre gli steccati e la dimensione della stessa ha dopo un secolo ancora ragion d’essere.
Note
[1] Center for European Studies Working Paper Series #98 Labor Market Institutions and Unemployment: A Critical Assessment of the Cross-Country Evidence. http://aei.pitt.edu/9133/1/Baker.pdf
[2] Capitalism and Society Volume 2, Issue 1 2007 Article 1 Are Protective Labor Market Institutions at the Root of Unemployment? A Critical Review of the Evidence