L’Iveco, il valzer di CNHi e la centralità della classe operaia

La famiglia Agnelli-Elkann incassa un prestito di 6,3 miliardi garantito dallo Stato, ne spartisce 5 con gli azionisti e poi annuncia chiusure, cessioni ed esuberi.


L’Iveco, il valzer di CNHi e la centralità della classe operaia

I lavoratori e le lavoratrici dello storico stabilimento Iveco sono di nuovo in agitazione, da quando la direzione ha dichiarato di modificare i piani aziendali firmati a Marzo al MISE depotenziando e definanziando i siti di Brescia e Lecce. Una vera e propria doccia fredda per gli oltre mille dipendenti (erano circa 8.000 a fine anni '80) del sito bresciano, che già da anni vedono calare gli ordini e le lavorazioni (lo stabilimento è stato negli anni «svuotato» e trasformato in una «fabbrica cacciavite» che assembla «pezzi» prodotti altrove), aumentare le ore di cassa integrazione e i fermi mensili, e vivono con la perenne incertezza sul futuro della fabbrica e del loro lavoro. Le prospettive per quest'anno sono nere: le ore di lavoro basteranno a malapena ad attivare la cassa integrazione ma saranno insufficienti per maturare ferie e premi di produzione. Questo almeno fino a dicembre (finché è in vigore il blocco dei licenziamenti) poi si vedrà.

La famiglia Agnelli-Elkann (CNH industrial è “guidata” dal gruppo Exor), come da tradizione, incassa un prestito di 6,3 miliardi garantito dallo Stato pro-Covid-19, ne spartisce 5 con gli azionisti e poi annuncia chiusure, cessioni ed esuberi.

Per questo il 22 Giugno, nell'ambito di un pacchetto di 8 ore di sciopero chiamato unitariamente dai sindacati, lavoratori e lavoratrici hanno pacificamente “invaso” via Volturno, dove si trovano il “palazzo di vetro” della direzione e la torre simbolo dello stabilimento, per una partecipatissima assemblea pubblica alla quale hanno presenziato anche il sindaco di Brescia, Emilio Del Bono, e il Presidente della Provincia Samuele Alghisi.

Molta rabbia nelle voci dei lavoratori e dei rappresentanti sindacali, a partire da Michele de Palma Responsabile Automotive della Fiom, promesse di impegno a attestati di solidarietà da parte delle istituzioni presenti.

A seguito di questa mobilitazione, in un nuovo incontro «telematico» tra proprietà, Ministero dello Sviluppo Economico e rappresentanze Sindacali tenutosi il 29 Luglio, la direzione ha nuovamente cambiato idea, confermando i finanziamenti promessi ma posticipandoli a fine 2021, ha richiesto altri 30 mesi di «contratto di solidarietà» e aperto la questione «innovazione tecnologica» (elettrificazione del motore dell'Eurocargo) che, per l'azienda, si traduce un numero di «esuberi» quantificabile in 250/500 lavoratori con la promessa dell'assunzione di nuove figure professionali.

Intanto si va verso lo spin-off di CNHi, un ulteriore spezzatino modello FIAT, che porterà ad un nuovo cambio a livello manageriale che, come da esperienza, spesso si traduce nella modifica dei piani industriali e degli accordi firmati.

Siamo su una china pericolosissima, forse già sul baratro, serve un cambio di rotta: è necessario che la classe lavoratrice torni ad essere protagonista politica, sociale e culturale, che i temi del lavoro (questione salariale, formazione professionale, tempo di lavoro e sicurezza del e sul lavoro) siano messi al centro della discussione.

Ma queste questioni non sono all'ordine del giorno di nessuna delle parti politiche che da trent'anni si alternano al governo del paese, anzi, si prosegue imperterriti nelle logiche di contenimento salariale, di demolizione dei diritti dei lavoratori, di precarizzazione e liberalizzazione dei contratti, di smantellamento del welfare, di privatizzazione dei servizi.

Al massimo si pensa a qualche forma di sussidio, di contenimento dei licenziamenti o di "solidarietà contrattuale", tutte soluzioni che gravano sul bilancio nazionale, sulle tasche dei lavoratori stessi: i debiti li paga Pantalone e Paperone si tiene i profitti, incassa gli aiuti e li reinveste all'estero.

Rimettere al centro della politica la classe operaia è il compito, il dovere dei comunisti e della sinistra di classe.

Per questo a Brescia da circa due anni ci siamo messi in gioco, come Partito Comunista Italiano, a fianco dei lavoratori dell'Iveco, stabilimento simbolo della Brescia operaia, impegno che è poi sfociato, con la partecipazione di altre formazioni politiche (per primi il Partito dei CA.R.C. poi, più recentemente Rifondazione Comunista, Potere al Popolo e altre sigle e associazioni che hanno mostrato interesse), nella nascita del Comitato Futuro Iveco che, attualmente, raccoglie l'adesione di una sessantina di firmatari, per lo più lavoratori e lavoratrici dello stabilimento di Brescia e di Suzzara (MN).

Lo scopo è quello di portare la questione del lavoro e la vertenza dell'Iveco, e non solo, fuori dalle mura delle fabbriche, lavorare su un livello politico a fianco di quello sindacale, che è altra questione, rimettere la classe operaia al centro della discussione cittadina e dell'agire politico.

Qual è il futuro di una città e una provincia a trazione industriale come Brescia nell'era della terziarizzazione e delle delocalizzazioni? Se CNHi decide di smantellare lo stabilimento ci limitiamo a piangere i posti di lavoro persi (dai 3 ai 4.000 considerando indotto e servizi) maledicendo il destino cinico e baro o obblighiamo le istituzioni a muoversi per tempo per impedire che questo avvenga, per trovare altre soluzioni che quei posti li mantengano?

Esiste un progetto industriale "prospero e sostenibile" per questo territorio che tanto ha dato alla crescita nazionale e tanto ha pagato in termini di inquinamento e malsanità?

Le innovazioni tecnologiche in arrivo (l'elettrificazione dell'automotive, la «green economy», l'automazione e digitalizzazione della produzione p.e.) serviranno solo ad aumentare produttività, sfruttamento, ridurre i posti di lavoro e aumentare i profitti o saranno un'occasione di riduzione dei ritmi e dei tempi di lavoro (intesi sia come durata giornaliera che di vita lavorativa)? Porteranno meno inquinamento e più sicurezza o si continuerà a contare le morti di tumore, quelle sul lavoro, gli infortuni e le invalidità permanenti?

Queste sono le principali domande che ci poniamo, che poniamo ai lavoratori, ai sindacati e alle istituzioni. Le risposte non potranno che venire dalla coscienza e dall’intelligenza collettiva della classe lavoratrice. Non ci facciamo illusioni ne nutriamo false speranze, è un percorso lungo e faticoso, senza scorciatoie, ma è l'unico che come comunisti sappiamo e possiamo percorrere.

Per seguire le attività e le iniziative del comitato il sito di riferimento è futuroiveco.wordpress.com dove è possibile aderire compilando un form.

L’autore è membro della Segreteria Provinciale PCI Brescia e del Comitato Futuro Iveco Brescia.

02/08/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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