L’euro, dalla crisi del 2008 a quella del 2020

La risposta economica adottata nell’eurozona provocherà molto presto ulteriori misure restrittive da parte di governi, come quello italiano, alla continua ricerca di finanziamenti


L’euro, dalla crisi del 2008 a quella del 2020

Nel 2008 l’economia mondiale fu travolta dalla crisi dei mutui subprime scatenatasi negli Stati Uniti. I mutui erogati a persone senza garanzie causarono ingenti ammanchi alle banche eroganti credito e molte persone persero la propria abitazione. Le case divennero asset svalutati e banche importanti fallirono, il crollo giunse alla finanza, tagliando il valore dei titoli derivati dai mutui in questione. Questa crisi coinvolse l’economia mondiale, riducendo il valore del commercio internazionale e gonfiando i debiti di Stati alla ricerca di contromisure. Gli Stati Uniti vennero fuori da questo pantano sotto la guida del nuovo presidente, Barack Obama, succeduto a Bush jr. Furono iniettati ben 500 miliardi di dollari per salvare le banche e risollevare i titoli azionari crollati. Per loro funzionò. Il dollaro può permettersi di aumentare la massa di circolante senza rischi di svalutazioni significative grazie al suo ruolo nella economia mondiale; ma, ciò che più conta, il presidente degli Stati Uniti può iniettare liquidità a volontà ordinandolo alla propria banca centrale. Azione anticiclica non possibile in Europa.

Dal 2008 ad oggi la crisi non ha abbandonato buona parte dei paesi dell’Europa mediterranea, sui quali adesso si abbatte quella conseguente l’epidemia da Coronavirus. L’Italia fatica ogni anno a far quadrare i conti a causa di un ammontare di 90 miliardi di euro annui da pagare come interesse passivo sul proprio debito. Ciò determina non solamente lo strutturale deficit di bilancio, ma l’impossibilità di reinvestire tutte le risorse prelevate dall’economia nazionale. Queste sono insufficienti, e per tale ragione ogni anno si fa i conti con misure straordinarie per non innalzare ulteriormente una tassazione già elevata, come il caso dell’iva che ha raggiunto il picco del 22% e la cui corsa non sembra essere terminata nonostante la funzione recessiva.

La previsione di crollo del Pil del 4% per il primo semestre del 2020 sembra piuttosto ottimistica, considerando soprattutto che la chiusura delle attività produttive non ha ancora un termine stabilito. Se a ciò andiamo sommando l’incremento di indebitamento cui la Ue ha deciso di non porre più un limite, risulta chiaro come l’aumento del debito e la riduzione della produzione genereranno un effetto traumatico sulle casse dello stato. Nel frattempo, le misure messe in atto risultano molto lontane dall’ottenere l’effetto desiderato, considerando che milioni di persone hanno attività chiuse e altrettanti lavoratori dipendenti hanno perso l’impiego o l’opportunità di impieghi stagionali.

La reazione della Ue si muove verso una nuova immissione di liquidità. Ma vi è una sensibile differenza fra quanto si appresta a fare la banca centrale statunitense rispetto a quella europea. Mentre Trump decreta la stampa di mille miliardi di dollari da distribuire alle famiglie, e la somma lievita di giorno in giorno sulla spinta del dibattito interno, la Bce si appresta a rilanciare il quantitative easing per l’ammontare massimo di 750 miliardi di euro spalmati fino al termine dell’anno 2020. Una differenza colossale. Questi soldi, infatti, non entreranno nell’economia, non vanno ai cittadini, alle imprese, o allo Stato affamato di credito e strozzato dai creditori che spingono in alto il tasso di interesse per rifinanziare il debito. Questi soldi andranno solo ed esclusivamente alle banche, ossia alle proprietarie della Bce stessa. Le banche private continueranno ad erogare credito agli Stati, a ricevere il compenso dei prestiti e la Bce a finanziare questo ciclo. Non solo, tali miliardi serviranno anche per le banche in sofferenza a causa di titoli deteriorati. In sostanza, nessun coronabond, nessun eurobond e nessun intervento diretto della Bce per erogare credito allo Stato.

La crisi diventa ogni volta una scusa per erogare soldi alle banche, le quali, a loro volta, erogheranno credito agli Stati, ma perchè non farlo fare direttamente alla Bce? Per non tenere bassi i tassi di interesse pagati dagli Stati? La risposta è che gli Stati devono essere tenuti col freno a mano tirato, altrimenti schizzerebbe in alto il loro indebitamento. Ossia, sulla base della presunta irresponsabilità degli Stati membri dell’eurozona, si afferma il principio della non solidarietà. Ma la condizione attuale determina solamente un continuo crollo di capacità produttiva delle aree periferiche della Ue, costrette a vendere all’estero ad un tasso di cambio sopravvalutato, a veder montare il livello di debito rispetto al Pil, a ridurre continuamente le politiche di intervento governative, a determinare flussi monetari verso il Nord Europa erogante prestiti, senza offrire il contenimento dell’inflazione, che resta bassa solamente per il calo della domanda interna e non per la scarsità di moneta prodotta che, in ogni caso, il quantitative easing genera.

Ecco che tutto questo provocherà molto presto ulteriori misure restrittive da parte di governi, come quello italiano, alla continua ricerca di finanziamenti. La crisi greca ricorda che non ci fu limite alle richieste degli eroganti prestito. Lo Stato ellenico fu costretto a vendere 14 aeroporti alla Germania assieme a porti e isole minori, accanto a ciò ridusse drasticamente i salari, generando ulteriore crisi sociale e compressione della domanda. Tutto ciò in cambio di che? Della permanenza nel regno dell’euro. A questo punto la domanda è, perchè farlo? Perchè essere fanatici sostenitori dell’euro? Della moneta che ci strangola da 18 anni. O meglio, dalla gestione criminale di una moneta, l’unica al mondo a non essere gestita da uno Stato, bensì da una pletora di Stati, con un netto dislivello di potere tra questi ultimi. Forse la risposta sta nel cambio di rotta che il M5S ha effettuato su questo tema. È un tema troppo dirimente e cruciale perchè possa essere toccato mettendo in discussione un assetto di potere che tanto guadagno ha generato per banche e paesi del Nord Europa.

29/03/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Daniel Cavasino

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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