Nei giorni scorsi Fca e Peugeot hanno annunciato il raggiungimento di un accordo per creare un’azienda da 50 miliardi di dollari. Il metodo è identico a quello di Marchionne: la sede sarà in Olanda e le azioni saranno quotate a Parigi, Milano e New York. L’obiettivo è di produrre quasi 9 milioni di veicoli, 170 miliardi di euro di ricavi e 11 di profitti.
L’accordo prevede che Elkan sarà il Presidente, mentre l’amministratore delegato, nel ruolo effettivo di comando per almeno 5 anni, sarà il manager della società francese Carlos Tavares, impresario senza patria (naturalizzato francese ma di origini portoghesi) come è di moda nell’era Marchionne. Tavares è un tagliatore di teste, il suo biglietto da visita è quello di salvatore della Opel, marchio tedesco della Ford pieno di debiti, comprato poi dalla Peugeot nel 2017 e rilanciato a suon di migliaia di licenziamenti.
La holding degli Agnelli, che deteneva il 30% della Fca, avrà il 14,2% della nuova società, mentre il 17,7% sarà suddiviso in parti uguali fra la famiglia Peugeot, lo Stato francese e la Dongfeng, la grande azienda cinese produttrice di automobili con sede a Wuhan. Il ruolo di quest’ultima è incerto, ma potrebbe essere rilevante. Consentirebbe l’ingresso del nuovo gruppo nei mercati asiatici ma potrebbe anche, con la sua presenza nella compagine proprietaria, ostacolare comportamenti concorrenziali nei propri confronti.
Ai soci Fca andrà il bel gruzzoletto di 5,5 miliardi di euro a titolo di dividendo straordinario, e in particolare 1,6 miliardi andranno alla finanziaria controllata della famiglia Agnelli. Se si considera anche la quota ottenuta dalla vendita di Magneti Marelli, altri 3,2 miliardi circa, la società degli Agnelli incamererà 2,5 miliardi. In pratica ai francesi andrà il controllo della nuova impresa e agli Agnelli un mucchio di soldi che si aggiungono a quelli fin qui lucrati con le operazioni di Marchionne. Ma il vantaggio della cassaforte degli Agnelli non finisce qui. Le azioni Fca hanno avuto un’impennata di oltre il 9% nella borsa di Milano. I “mercati” hanno premiato anche, sia pure solo della metà, ossia il 4,5%, gli azionisti francesi.
C’è da capire come reagiranno i lavoratori. Partiamo dalle interviste rilasciate da due di essi al quotidiano La Repubblica. Si tratta di due operai, uno francese e uno italiano. Il primo esprime preoccupazione per "la fusione a metà" tra la casa francese e quella Italo-Americana, mette subito in guardia il lettore dal ruolo del manager Peugeot, alla luce del risanamento dei conti Opel, realizzato attraverso tagli occupazionali poderosi. Il secondo, l’italiano, è invece fiducioso e auspica che possano essere salvaguardati i posti di lavoro, nonostante che gli ammortizzatori sociali siano già, secondo le stime della Cisl, il 12-15 per cento della forza lavoro degli stabilimenti Fca, mentre i contenuti dell’accordo non offrono molte certezze in merito.
Le parole dell'operaio italiano sono indicative di un basso livello di coscienza, che condivide con molti suoi compagni di lavoro, e fanno venire alla memoria il grande entusiasmo mostrato a suo tempo per l'operazione Marchionne, cui seguì l’accettazione dell'uscita da Confindustria, di un contratto nazionale solo per la Fca e di un sistema di relazioni sindacali che fece da apripista all'accordo nazionale sulla rappresentanza del 2014, ossia: se vuoi presentarti in Rsu devi sottoscrivere l'intesa dettata dal padrone.
Rispetto ad alcuni anni fa la Fiom è molto meno combattiva. Non che sia stata un esempio di conflittualità di classe, ma certamente il Landini della Fiom apparirebbe un rivoluzionario rispetto a quello di oggi, messo a capo della Cgil nazionale. Ma forse, col senno di poi, si capisce la ragione per la quale, sempre la Fiom, non trasformò la esclusione dalle Rsu in Fca in una battaglia campale in tutto il mondo meccanico. Se lo avesse fatto oggi Landini non sarebbe di sicuro il segretario generale della Cgil. Non si fa la storia con i se, ma quanto accaduto anni fa in Fca insegna che gli operai non possono essere tifosi del padrone, se lo fanno è a loro rischio e pericolo.
I posti a rischio con la nuova intesa saranno molti, sicuramente i circa 5.000 colletti bianchi di Mirafiori. Probabilmente gli operai dello stabilimento di Mirafiori, che già sono sotto occupati, e di Pomigliano, mentre parrebbero al sicuro quelli di Melfi e degli altri stabilimenti. Di nessuna garanzia godono i lavoratori degli appalti.
Ma a fronte di queste incognite lo stato di salute sindacale in Italia è precario quanto non mai, con una classe operaia tanto rassegnata quanto subalterna verso i datori di lavoro, capace solo di chiedere allo Stato, assente ogni qualvolta si parla di indirizzi e programmazione delle politiche economiche o di ammortizzatori sociali.
In 15 anni di cura Marchionne si sono persi nella Fca in Italia circa 30 mila posti di lavoro; correva il marzo 2019 quando le principali case automobilistiche annunciavano migliaia di esuberi, per esempio 500 esuberi Opel in Austria e 1.500 in Canada da parte della Fca, 5 mila esuberi per la Ford in varie nazioni e l'annuncio della Volkswagen di tagliare da qui al 2023 circa 7 mila posti di lavoro ai quali aggiungere altri 4.500 della Jaguar Land Rover.
Esuberi nazionali e globali che dimostrano quanto grave sia la crisi della meccanica e tanto più necessari diventino i processi di fusione tra grandi marchi per affrontare la nuova sfida tecnologica dell'auto elettrica, con le più piccole case produttrici destinate o a subire acquisizione o costrette a cedere il passo, non prima di avere chiuso gli impianti produttivi con migliaia di licenziamenti.
Le produzioni green stanno accelerando i tempi della ristrutturazione capitalistica. Sulla operazione Fca-Peugeot pesa l'incognita del Governo Francese, il quale aveva già fatto saltare, in passato, l’operazione di fusione fra Fiat-Chrysler e Renault e ora ha dichiarato prontamente che “vigilerà affinché vengano salvaguardati posti di lavoro e stabilimenti”. Il Governo italiano, invece, ha reagito tardivamente e con dichiarazioni vaghe: “Non posso giudicare l’accordo, è un’operazione di mercato, ma va salvaguardata l’occupazione in Italia”, parole del premier Giuseppe Conte. Tempi decisamente lontani quelli nei quali l'indirizzo e la programmazione delle politiche economiche, previste in teoria dalla Carta Costituzionale, erano parte fondante delle strategie industriali!
Perfino il sovranismo da osteria della destra italiana è silente davanti a questi processi. E ancora una volta si dimostra che l'operazione del manager Marchionne era una operazione più finalizzata alla finanza e all'accrescimento degli utili che al rilancio della produzione industriale. Le sue parcelle miliardarie erano dovute alle quotazioni dei titoli in Borsa che drenavano fiumi di denaro nel cassiere della famiglia Agnelli abbattendo il debito del gruppo e accrescendo il valore di impresa. Il tutto ovviamente con elevati costi sociali, la desertificazione industriale in Italia, il ricorso costante agli ammortizzatori sociali ormai indispensabili per la sopravvivenza di stabilimenti come Pomigliano e Mirafiori.
Nei fatti l'operazione in corso, presentata come un accordo paritetico, è piuttosto l'acquisizione della Fca da parte del gruppo Francese. La prima porta a casa straordinari utili per i suoi azionisti soprattutto nei giorni successivi all'annuncio. La seconda va in cabina di comando, pagando in moneta sonante questa posizione. Proviamo a capirci di più citandola pagina economica de Il Corriere della Sera.
Per arrivare a un accordo paritetico, Psa (con Mediobanca advisor) ha riconosciuto a Fca (assistita da Goldman Sachs) un premio di 6,7 miliardi, secondo i calcoli di Kepler Chevreux. Inoltre ai propri soci Fca assegna un maxi-dividendo straordinario di 5,5 miliardi e la Comau (la società di robotica per la catena di montaggio), che viene scissa dal gruppo. Solo a Exor, la holding della famiglia Agnelli che ha il 28,7% di Fiat Chrysler, andranno 1,6 miliardi di euro. Non a caso giovedì il suo titolo in Borsa è salito del 5,69%.
Dalla vecchia Fiat, Exor ha ottenuto quote già dai precedenti spin-off come Cnh, Ferrari, Rcs, Iveco, che hanno liberato miliardi di valore. Psa invece distribuisce ai propri soci il 46% che possiede nel gioiellino della componentistica di Faurecia, pari a circa 2,7 miliardi di euro. Anche Equita parla esplicitamente di «vendita»: i francesi pagano un premio del 30% per avere il controllo del consiglio, 6 su 11 compreso il Ceo (l’Amministratore delegato) [...] Si tratterà di vedere in futuro come si svilupperanno gli equilibri tra i soci. Per tre anni in ogni caso non potranno vendere (lock-up).
Un matrimonio da 45 miliardi di dollari destinato a creare un autentico colosso nel settore meccanico. E gli operai? Si annuncia la salvaguardia degli stabilimenti attuali ma molti di questi, per esempio quelli della Fca, sono ormai alla canna del gas, sostenuti solo dagli ammortizzatori sociali. Sarà necessario verificare le reali le strategie aziendali, ma occorre essere consapevoli fin da oggi dei risvolti negativi in termini di occupazione e che serve un ruolo del sindacato diverso da quello che ha metabolizzato le varie operazioni di Marchionne, dimostrandosi subalterno ai dettami del capitale.
Se Gianni Agnelli poté affermare che “quel che è bene per la Fiat è bene per l’Italia”, i dati di fatto oggi dimostrano che questa coincidenza non esiste. I benefici delle ristrutturazioni sono stati solo in favore del capitale. Il valore delle azioni è aumentato di oltre il 27%. Ma l’occupazione nel settore, che su scala mondiale aumentava quasi del 50%, in Italia si riduceva di oltre il 30%. Con questo accordo si distanzieranno ancora di più i gli interessi degli Agnelli da quelli del Paese.
Il capitale si ristruttura, la finanza la fa da padrona e gli operai? Con i sindacati attuali resta loro solo fare i tifosi, di questa o di quella porzione del capitale.