Continua dalla quarta parte.
Ultima parte della serie sui 4 padroni della rete. La conclude l’azienda della Silicon Valley (Cupertino, California) fondata nel 1976 da Steve Jobs e soci. La Apple, nell’immaginario dell’imbuto in cui siamo proiettati sia come merce che come consumatori della merce che abbiamo contribuito a piazzare sui mercati fornendo le nostre preferenze alle aziende colosso, rappresenta il lusso. Un lusso che ci concediamo per sentirci parte di uno status, da cui chi è fuori è out. Uno status che, come la religione immaginata di Google, produce adepti fidelizzati e fedelissimi. Tant’è che Steve Jobs, ormai scomparso, ma solo fisicamente così come si addice alle divinità, è stato assunto ai cieli nelle vesti di un gesù dell’innovazione tecnologica e dell’economia mondiale.
Chi possiede un iphone, oggetto di culto fornito dalla Apple, è convinto di avere in esclusiva il meglio della produzione hi-tech che ben pochi fortunati possono avere. Il nuovo culto, con sistema operativo Ios, ha aperto la porta all’estremismo aziendale e capitalistico ed è la nuova religione laica. L’Iphone, la punta di diamante della religione Apple, è il feticcio del consumatore del ventunesimo secolo, a cui si aggiungono madonnelle e santini vari, fra cui il tablet Ipad, l’Ipod per la musica, il negozio musicale online Itunes , il recente Apple watch e una varietà incredibile di accessori con la mela bene in vista. Rappresentano la creme de la creme della tecnologia; possederli è un lusso, ma non è d’elite. Ci sarebbe da chiedersi perché quella larga parte dell’umanità che ha esaudito i bisogni primari, desidera poi oggetti di lusso considerandoli culto da perseguire?
Secondo Scott Galloway, l’autore del saggio “The four. I padroni”, il lusso non è qualcosa che ci viene dall’esterno, ma lo abbiamo insito nel nostro dna, una questione genetica da cui non possiamo prescindere. Un mix che combina il desiderio di trascendenza dall’umano al divino a quello contrapposto di immanente ossia ciò che risiede nell'essere, ha in sé il proprio principio e fine e, facendo parte dell'essenza di un soggetto, non può avere un'esistenza da questo separatae di apparire attraenti in qualsivoglia relazione. La tecnologia Apple è ormai il lusso dei poveri, ai quali la magnificenza delle opere d’arte e degli altari dorati delle cattedrali rinvia un messaggio di un inesistente “divino Supremo”, di qualcosa di inaccessibile e misterioso, da guardare e a cui tendere con stupore. I poveri del ventunesimo secolo cambiano il punto di vista, perché il mercato globale dispone il lusso alla portata di tutti. Il paradigma che caratterizza le differenze di status fra ricchi e poveri muta da “merce riservata a pochi” a “tutti possono avere qualsiasi oggetto, anche di lusso”.
Dov’è l’inganno a cui porta il nuovo status? I poveri, gli sfruttati, i migranti che fuggono dalla miseria hanno smesso di lottare insieme per ribellarsi al potere capitalistico, in quanto possono usufruire degli strumenti forniti dai brand di lusso e sentirsi meno poveri, meno alienati. Una trappola, questa delle strategie del capitale, da cui ci si dovrebbe liberare, pena la rinuncia eterna ai diritti sociali. E nel citare i brand di lusso, torniamo a parlare della Apple, la prima azienda tecnologica che, scalando velocemente la china del successo, è arrivata alla vetta conquistando un target di acquirenti multi generazionale. Un target per tutti, che adombra illusoriamente la distanza fra il ricco e il povero, fra padrone e suddito. L’iphone, infatti, così come ogni prodotto tecnologico della mela ha contribuito, ma solo apparentemente, a livellare le differenze sociali e a dare tono e vigore allo status, dando luogo alla più grande illusione del ventunesimo secolo, quella del concetto di pari fra pari, rubando l’idea alla religione, altrettanto ingannevole nel suo credo base “siamo tutti fratelli”.
Nell’argomentare sulle motivazioni del successo nel mercato globale dell’azienda Apple tornano all’attenzione le domande ormai di rito che coinvolgono gli altri tre colossi menzionati nelle precedenti parti di questa saga sui 4 padroni della rete.“Come hanno fatto queste aziende a entrare nella nostra vita, nel nostro privato ed appropriarsene, sfondando il muro della privacy e gestendo i nostri dati a loro uso e consumo? E perché nonostante i vari errori gestionali che avrebbero fatto fallire qualsiasi altra impresa sono sempre più in auge sui mercati mondiali? E a quali strategie ricorrono per sfruttare il capitale umano in rete?”
Colosso Apple
L’azienda si afferma negli anni ottanta con il personal computer Macintosh, Mac per tutti. Il sistema operativo è il macOs e fu il primo pc ad entrare usualmente nelle case e ad essere accessibile a tutti. Prima di allora l’abituale consumatore guardava a questo strumento come fosse un alieno riservato all’elite, ma con grande curiosità. La Apple e i suoi creatori iniziano così la scalata agli onori dell’altare dell’’hi- tech mondiale. La strategia vincente era basata sul sistema d’interfaccia Wimp (acronimo di Windows, Icons, Mouse, Pointer). Da allora una escalation continua e inarrestabile. Fino a diventare un brand di successo mondiale con il suo fenomeno Iphone, l’oggetto di lusso da possedere per sentirsi in ed a cui, specie per un certo target di consumatori, sembra sia difficile rinunciare. Basta osservare le lunghe file nei megastore della mela, all’uscita di ogni nuova versione.
La formula magica è trovata: il lusso a portata di tutti e di mano, soprattutto di dita con la modalità touch screen, a cui tutte le concorrenti nel mercato dell’hi tech ricorrono. Ѐ l’era dei nativi digitali e la Apple crea per loro il miglior feticcio, ad uso e consumo di ogni target generazionale… dalla culla alla terza età. Intanto i profitti dell’azienda salgono vertiginosamente, superando per capitalizzazione azionaria la rivale di sempre, la Microsoft, ma non solo. Con 700 miliardi di dollari, nel 2014, Apple è la maggior azienda a livello mondiale, superando anche i suoi compari del capitalismo online, Google, Amazon e Facebook.
Piovono critiche sul Ceo
Steve Jobs, a lungo Ceo della Apple, scomparso nel 2011, nonostante sia stato riconosciuto come il pioniere della tecnologia, ricevette per la conduzione della sua azienda molte accuse e critiche. In primis, il mancato rispetto dell’economia di scala, a causa della ferma decisione di non adeguare le sue creature al resto del mercato e della impossibilità di criptarne i software. Jobs venne anche tacciato di essere individualista nelle relazioni professionali con i suoi tecnici e di non voler condividere con le amministrazioni dell’azienda le responsabilità del comando e dell’organizzazione, accentrandole tutte su di sé. Ma l’accusa più pesante gli pervenne tramite i media mainstream di tutto il mondo e si riferisce alle pessime condizioni di lavoro in cui erano costretti i lavoratori Apple in Cina, nelle fabbriche Foxconn.
Da indagini condotte dalla Fla (Fai Labor Association) in queste fabbriche, risultò che i lavoratori erano costretti a lavorare 60 ore a settimana e oltretutto sottopagati. La China Labor Watch (associazione per i diritti dei lavoratori), avalla i risultati dell’indagine condotta dalla Fla ed evidenzia modalità ancora più gravi di sfruttamento dell’azienda della Silicon Valley sui lavoratori.
Severe critiche arrivarono anche da Greenpeace che denunciò la Apple per essere all’ultimo posto, fra 14 aziende scelte per l’inchiesta, per l’impatto ambientale negativo a causa dei componenti dei suoi prodotti. Esempio ne è il Macbook che conteneva, nelle componenti dell’assemblaggio, livelli altissimi di Bfr (ritardante di fiamma brominato), una sostanza altamente tossica. Nell’eco-guida di Emergency la Apple era all’ultimo posto. C’è di più e di peggio: il risultato di un’ulteriore inchiesta relegava, nel 2006, l’azienda di Jobs agli ultimi posti per l’impatto negativo sull’ambiente, ma soprattutto per lo sfruttamento del lavoro minorile.
Da un’inchiesta condotta dalla testata Fanpage, si evince che nel rapporto di Amnesty International viene riportato come “… gli adulti e (soprattutto) i bambini erano costretti per oltre 12 ore ad estrarre cobalto in tunnel estremamente stretti con l'ingente pericolo non solo di incidenti mortali, ma anche di contrarre gravi malattie. E tutto per meno di due dollari a giornata lavorativa”. E che, fra le aziende imputate, la Apple, utilizzando il cobalto per le batterie dei suoi prodotti era al primo posto nel rapporto. Sebbene, in seguito, la stessa Amnesty abbia rilevato e reso pubblico che “Il colosso di Cupertino non è ancora in grado di soddisfare tutti i requisiti, ma nel corso del 2017 ha fatto progressi estremamente importanti, diventando la prima azienda ad aver reso nota la lista di tutti i propri fornitori di cobalto e leader indiscusso per quanto riguarda le fonti di cobalto responsabili”.
A conclusione della serie di articoli sui padroni della rete, si può affermare che queste grandi aziende, per i loro immensi capitali, riescono ad aggirare la legge e, nonostante i vari errori gestionali e lo sfruttamento della forza lavoro, riescono a mantenere sempre una quotazione altissima, restando in auge nei mercati mondiali. Ma si può anche affermare quanto è ovvio, ovvero che i capitalisti senza lo sfruttamento dei lavoratori non potrebbero più fare profitto. E si evince anche che, una volta compreso il fine ingannevole che si cela nel desiderio (Facebook), nel consumismo (Amazon), nella religione immaginata (Google) e nel lusso (Apple), dovremmo utilizzare questa consapevolezza diversamente e dirottarla verso fini più utili alla società. Si potrebbe così dare l’input ad un movimento di massa capace di sovvertirlo questo sistema capitalistico gestito dai 4 padroni della rete e da tutti i tycoon dei colossi delle multinazionali. Mentre è evidente che nella rete è in atto un sistema alla “Robin Hood” al contrario, che toglie ai poveri, ma anche agli inconsapevoli, per dare ai ricchi” e noi glielo lasciamo fare, anzi lo foraggiamo. Un loop che andrebbe assolutamente fermato.
Fonti:
- S. Galloway, The Four. I padroni, Hoepli, 2018
- Autori di Wikipedia, "Apple", Wikipedia, L'enciclopedia libera, https://urly.it/35hh (controllata il 27 aprile 2018)
- D. Caliendo, La febbre del cobalto in Congo trasfruttamento minorile e diritti umani violati, Fanpage.it, https://urly.it/35hj, (controllata il 27 aprile 2018)
- Apple, samsung & C. accusate di sfruttamento minorile, Repubblica.it, https://urly.it/35hn, (controllata il 27 aprile 2018)
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