La scorsa settimana abbiamo commentato il fallimento della Silicon Valley Bank (SVB), ragionato sulle sue cause e fatto delle ipotesi sul rischio di contagio ad altri pezzi del sistema bancario mondiale. Eravamo facili profeti. Oggi dobbiamo ragionare su altre crisi collegate a quell'evento e sulle modalità di salvataggio che non sono per niente tranquillizzanti.
Credit Suisse, si legge nel suo sito, “è un leader di mercato globale nel settore wealth management, con solide competenze di investment banking e asset management”. In termini più accessibili ai comuni mortali è fra i maggiori istituti mondiali a cui vengono affidati capitali, provenienti da tutto il mondo, visto che la Svizzera è un paradiso fiscale, da investire in titoli di credito e altri prodotti finanziari. Ha fra i suoi azionisti la Banca nazionale saudita e il fondo sovrano del Qatar. È notizia del giorno successivo all'uscita del nostro articolo che, in reazione alla compromissione della sua situazione finanziaria, evidentemente legata alla svalutazione dei titoli posseduti e a perdite in borsa, è stata oggetto di “salvataggio”, cioè di acquisizione, da parte di un altro colosso svizzero, la rivale banca di investimento UBS, sorta dalla fusione di Unione di Banche Svizzere e Società di Banca Svizzera. Vedere le modalità di salvataggio risulta utile per capire quanto fosse compromessa la situazione di Credit Suisse. Infatti, per cacciare fuori i 3 miliardi di franchi svizzeri – una modesta frazione di quanto era valutata la banca due giorni prima, 8 miliardi – per l'acquisizione, cioè per assegnare agli azionisti della banca decotta 1 azione UBS ogni 22,48 azioni Credit Suisse detenute, pari a 0,76 franchi per azione, e nel contempo non farsi trascinare nella crisi, la UBS ha preteso una serie di condizioni. Per prima cosa ha preteso che la Banca nazionale svizzera concedesse una linea di liquidità di 100 miliardi di dollari. In pratica una sorta di garanzia per fronteggiare eventuali corse dei clienti agli sportelli, condizione ottenuta anche con l'intervento della Confederazione svizzera e dell’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari (FINMA). Per di più UBS beneficia anche di una protezione dagli ulteriori ribassi dei titoli e dalle conseguenze della ristrutturazione del proprio portafoglio di 25 miliardi di franchi e un’ulteriore protezione dai ribassi del 50% sugli asset non core, in sostanza sui titoli non strategici che potranno essere venduti sul mercato.
L'operazione non sarà soggetta all'approvazione dell'assemblea degli azionisti.
Interessante, perché singolare, è anche la sorte degli azionisti e degli obbligazionisti. In genere in caso di perdite, sono principalmente gli azionisti che ci rimettono. Non a caso il capitale da loro sottoscritto è definito capitale di rischio, mentre chi detiene obbligazioni è un creditore che deve essere soddisfatto prima degli azionisti. Nel caso di questa acquisizione le cose andranno al contrario. Infatti la FINMA ha precisato che “il sostegno straordinario da parte dello Stato comporta un azzeramento integrale del valore nominale di tutte le obbligazioni AT1 di Credit Suisse per un importo pari a circa 16 miliardi di franchi e pertanto un incremento dei fondi propri di base”. Gli AT1 (sigla di additional tier 1[1])sono un tipo di obbligazioni ad alto rischio che partecipano all'assorbimento delle perdite della banca nel caso in cui gli indici patrimoniali dell'istituto scendano sotto un certo livello. Per questo motivo sono considerati una via di mezzo fra le azioni e le obbligazioni, fra il patrimonio e i debiti di una società. Per questo si parla di quasi-equity. Si tratta comunque di capitali di terzi che in genere, in caso di fallimento, dovrebbero essere soddisfatti prima degli azionisti, anche se dopo gli altri creditori. Nel caso specifico, però, gli azionisti sono parzialmente risarciti con l'assegnazione di azioni UBS e i possessori di AT1 vedono azzerato il loro credito. Si tratta di un precedente che metterà in subbuglio gli obbligazionisti di molte banche europee il che contribuirà a rendere meno sereno, per usare un eufemismo, il clima dei mercati finanziari.
Meno sereni saranno senza dubbio i lavoratori dei queste banche. Secondo Reuters, per esempio, l'acquisizione di Credit Suisse comporterà una diminuzione di 10 mila posti di lavoro su 17 mila. Identica previsione quella dell’Associazione svizzera degli impiegati di banca (Aseb) che mette le mani avanti e chiede di costituire immediatamente una task force che affronti tale problema.
Ma le sorti dei lavoratori sono l'ultima cosa a cui si pensa. Quello che conta è che a seguito di questa operazione la UBS diverrà la principale banca svizzera e il suo management prevede che aumenteranno i dividendi dei suoi azionisti e rimarrà capitalizzata al di sopra del proprio obiettivo. I lavoratori piangano pure.
La compromissione finanziaria della Credit Suisse può essere meglio apprezzata se si considera che per acquistarla al prezzo di tre miliardi, a fronte del suo valore stimato di otto, si sono pretese garanzie di vario tipo dalla banca centrale per complessivi 175 miliardi e l'azzeramento di 16 miliardi di debiti, senza considerare il taglio di oltre la metà del costo del personale che non fa parte dell'accordo ma viene dato per scontato. In sostanza non si è comprata una banca, ma un monte di perdite passate e future. Se le autorità svizzere hanno benevolmente elargito quanto occorrente a questa operazione, è anche perché non vuole perdere i tanti investitori esteri attratti da quel paradiso fiscale.
In attesa di altri fallimenti o ristrutturazioni ci pare confermato il timore di ripercussioni violente nella finanza, e naturalmente nell'economia reale, a seguito della politica delle banche centrali che, per il motivo ufficiale di aggredire l'inflazione e forse per quello non dichiarato di fare selezione fra le imprese, hanno alzato i tassi in maniera vertiginosa. L'attenzione è ora sulle decisioni della Federal Reserve americana. Ci si chiede se gli incessanti aumenti dei tassi della banca centrale possano avere un arresto che contribuirà a fermare anche gli aumenti in zona euro, cosa che non è avvenuta nell'immediato perché la Lagarde ha già annunciato l'ennesimo aumento di mezzo punto.
Tuttavia il passaggio stretto fra inflazione e crisi bancarie non può essere affrontato con semplici manovre dei tassi che possono affrontare l'uno o l'altro inghippo ma non entrambi quando si presentano contemporaneamente. Occorre invece rilanciare il ruolo guida dello Stato nel settore bancario, inopinatamente privatizzato nei decenni liberisti. Quando, nei primi decenni del dopoguerra, i sistemi bancari erano caratterizzati da una consistente presenza pubblica, la fuga di capitali all'estero era generalmente proibita e anche le banche private erano soggette a una regolamentazione stringente, tra cui la separazione fra credito breve e credito a lungo termine, crisi di questo tipo non si presentavano e lo scopo del sistema creditizio era di assicurare stabilità e crescita. Adesso che imperversano la deregulation, il carattere strettamente privatistico delle banche, e il dominio assoluto della grande finanza sul credito, la “mission” è diventata quella di fare più profitti possibili e di fare crescere il valore delle azioni, anche attraverso iniziative spericolate non infrequentemente truffaldine. Se non si taglia questo nodo, che inevitabilmente andrebbe a detrimento dei profitti ma a vantaggio della collettività, crisi come questa saranno all'ordine del giorno e gli stessi stati vedranno il loro debito sempre più in balia degli speculatori.
C'è da scommettere che saranno i lavoratori a pagare le peggiori conseguenze di questa crisi in termini di occupazione e di salasso allo stato sociale quale controbilanciamento delle spese militari e degli eventuali interventi di salvataggio delle banche. A meno che non cambi l'agenda della politica economica. In Francia pare che i lavoratori non siano così disposti a subire supinamente. E in Italia?
Note:
[1] Tier 1 è il principale indicatore del livello di patrimonializzazione delle banche e quindi della loro affidabilità. Tale indice tiene di conto sia del capitale versato che delle riserve e degli utili non distribuiti agli azionisti.