Ancora sulla caduta tendenziale del tasso di profitto

È lo stesso rapporto di produzione capitalistico, finalizzato unicamente alla massima valorizzazione del capitale esistente, a entrare in contraddizione in un determinato periodo storico con l’ulteriore sviluppo delle forze produttive.


Ancora sulla caduta tendenziale del tasso di profitto
Nella sua forma razionale, la dialettica è scandalo e orrore per la borghesia e per i suoi corifei dottrinari, 
perché nella comprensione positiva dello stato di cose esistente 
include simultaneamente anche la comprensione della negazione di esso, 
la comprensione del suo necessario tramonto, 
perché concepisce ogni forma divenuta nel fluire del movimento, 
quindi anche nel suo lato transeunte [1]
 

Come denuncia a ragione Karl Marx: “la premessa di Ricardo che all’origine il profitto industriale (più l’interesse) assorbe interamente il plusvalore è falsa storicamente e logicamente” [2]. In effetti, David Ricardo, non considerando la classe dei percettori di rendita fondiaria, non ne può riconoscere il ruolo centrale, dal punto di vista storico, che essi hanno ricoperto nella genesi del modo capitalistico di produzione. Perciò, secondo Marx, “è al contrario solo il progresso della produzione capitalistica che 1) fa affluire di prima mano tutto il profitto ai capitalisti industriali e commerciali per un’ulteriore ripartizione e 2) Riduce la rendita alla differenza che rimane dopo la detrazione del profitto. E su base capitalistica ricomincia a crescere la rendita che è una parte del profitto (vale a dire del plusvalore considerato come prodotto del capitale complessivo) e non la parte specifica del prodotto, che il capitalista intasca” [3]. Da ciò se ne deduce che la rendita per Marx, lungi dall’essere archiviata come un residuo dell’epoca feudale, tende ad accrescersi proprio sulla base della produzione capitalistica. D’altra parte, se si considera il plusvalore sociale come una grandezza data, è evidente che, crescendo la rendita, l’interesse o il profitto industriale (o entrambi) devono, proporzionalmente, diminuire. Con ciò si apre uno scenario del tutto nuovo, fervido di potenziali sviluppi [4].

Nella VI sezione del terzo libro de Il capitale, Marx dimostrerà, in effetti, come la rendita tenda ad accrescersi proporzionalmente all’aumentare del divario fra le sfere più sviluppate e le meno avanzate [5]. Marx nella III sezione del III libro de Il capitale ha dimostrato che lo stesso sviluppo del capitalismo fa aumentare il divario tra le sfere più avanzate e le più arretrate concentrate, non a caso, tra quelle maggiormente legate alla terra o dedite alla produzione di beni di lusso.

Dunque, la spartizione del plusvalore sociale complessivo avviene al livello dell’assetto della struttura produttiva e non può dunque dipendere, per Marx, da rapporti di forza puramente politici. Tale spartizione, sarà in larga misura determinata dal rapporto tra le diverse tecnologie utilizzate, che oltre a determinare il saggio generale di profitto determina la quota parte del prodotto sociale di cui si appropria la rendita. Non potendo essere lasciata all’arbitrio la scelta tra le differenti tecnologie presenti sul mercato, i differenti capitalisti si orienteranno, innanzitutto, in base al valore e al prezzo della forza lavoro.

Queste considerazioni permettono di trarre una prima conclusione: la legge della caduta tendenziale del saggio del profitto è essenzialmente legata all’aumento della composizione organica del capitale e, allo scopo di individuare le ragioni che hanno limitato la caduta del saggio, occorre individuare i limiti che vengono a porsi a una completa sostituzione del capitale variabile con quello costante.

È, quindi, proprio la quota sempre crescente di forza lavoro gettata sul mercato dallo sviluppo delle forze produttive, ad abbattere il valore e, dunque, il prezzo della forza lavoro, rendendo meno conveniente l’introduzione di tecnologie più sviluppate. D’altra parte, ciò favorisce la formazione di nuovi capitali, a composizione organica decisamente inferiore alla media sociale, ma a elevato tasso di sfruttamento.

Questi rami della produzione, per così dire sottosviluppati, contraddittoriamente sorgenti sulla base dell’impetuoso sviluppo dei rami economici d’avanguardia, tenderanno in larga parte alla produzione di merci di lusso, destinate al consumo improduttivo dei percettori di rendita fondiaria, classe destinata, in tal modo, ad accrescersi progressivamente in forza di questo ineguale sviluppo.

La mistificazione dell’ideologia dominante, che confonde artatamente lo sviluppo capitalistico con lo sviluppo umano “tout court”, è stata dunque svelata dalla teoria critica marxiana; non soltanto mettendo in evidenza, come avevano fatto gli economisti classici, i limiti naturali di tale sviluppo, ma dimostrando come lo stesso sistema capitalistico, giunto a un determinato livello, si pone dei limiti insuperabili all’interno di questo storico modo di produzione. Tali limiti sono stati individuati nella contraddittorietà immanente allo stesso rapporto di produzione capitalistico.

La contraddizione che rende incompatibile il modo di produzione capitalistico con l’ulteriore sviluppo della produttività dell’uomo sociale è stata così riassunta da Marx nel quindicesimo capitolo: “la produzione capitalistica racchiude una tendenza verso lo sviluppo assoluto delle forze produttive, indipendentemente dal valore e dal plusvalore in esse contenuto, indipendentemente anche dalle condizioni sociali nelle quali esso funziona; ma nello stesso tempo tale produzione ha come scopo la conservazione del valore capitale esistente e la sua massima valorizzazione (...). Fra i metodi di cui si serve per ottenere questo scopo sono inclusi: la diminuzione del saggio del profitto, il deprezzamento del capitale esistente, lo sviluppo della forza produttiva del lavoro a spese delle forze produttive esistenti” [6]. È proprio questo perverso meccanismo individuato da Marx che “attesta il carattere ristretto e semplicemente storico, passeggero del modo capitalistico di produzione” [7].

Come osserva ancora Marx: “la produzione capitalistica tende continuamente a superare questi limiti immanenti, ma riesce a superarli unicamente con dei mezzi che la pongono di fronte agli stessi limiti su scala nuova e più alta” [8]. Ciò è spiegabile unicamente se si considera che: “il vero limite della produzione capitalistica è il capitale stesso” [9]. In altri termini, è lo stesso rapporto di produzione capitalistico, finalizzato unicamente alla massima valorizzazione del capitale esistente, a entrare in contraddizione in un determinato periodo storico, in tal modo, con l’ulteriore sviluppo delle forze produttive, le quali debbono rompere l’involucro delle forme di relazioni esistenti, per instaurarne di nuove, non più in contrasto con le forze di produzione e il loro potenziale sviluppo


Note:

[1] Marx, Karl, Il capitale. Critica dell’economia politica [Das Kapital. Kritik der politischen Ökonomie], Editori Riuniti, Roma 1989, primo libro, p. 28.

[2] Ivi, terzo libro, p. 292.

[3] Ivi, III, pp. 295-96.

[4] Si rimanda a questo proposito all’analisi svolta da Marx nel capitolo quarantacinque del III libro de Il capitale.

[5] La rendita assoluta è fatta derivare da Marx dalla differenza tra il valore delle merci prodotte tramite la terra e il prezzo di produzione che verrebbe assegnato alle stesse merci, qualora si ponesse in atto anche per questo settore, il livellamento del saggio generale del profitto.

[6] Ivi, III, p. 302.

[7] Ivi, III, p. 294.

[8] Ibidem.

[9] Ibidem.

09/02/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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