Il 21 settembre scorso presso la sede dell’associazione Casa Gramsci del Pci di Campoleone-Lanuvio (RM), si è tenuto un partecipato ed interessante dibattito pubblico sull’Importanza politica dell’Egemonia Culturale. I lavori sono iniziati con una molto apprezzata relazione introduttiva di F. Cori della Università Popolare A. Gramsci sull’importanza politica attuale dell’egemonia gramscianamente intesa alla luce di una approfondita ed alternativa analisi storica e socio-politica; di seguito un’interessante esposizione informativa di M. Beccari sull’operatività de La Città Futura e sul ruolo strategico della stampa comunista on line.
Dopo alcuni brevi interventi e richieste di chiarimenti da parte dei compagni/e presenti nella sala, la riflessione collettiva si è focalizzata sia sui modi in cui l’egemonia può venire conquistata sia in quale maniera essa consentirà alle classi oggi subalterne di esercitare la direzione politica e culturale nella società futura, riducendo ad un minimo controllabile la controreazione inevitabile del sistema di potere dominante. Tenuto conto che quest’ultimo è da sempre universalmente maschilista e patriarcale, C. Caramanica del Collettivo Donne Rosa Luxemburg di Zagarolo ha posto all’attenzione dell’intellettuale collettivo una proposta di progetto “Dominio nella Rete per l'Egemonia” elaborato in collaborazione con il Collettivo Comunale Donne Aperto di Ciampino, progetto che mette al centro della discussione politica la “questione di genere” conferendole una priorità strategica per il recupero di rappresentatività in una prospettiva rivoluzionaria di una società futura veramente democratica, senza alcuna forma di dominio, in primis quello di genere, nella quale sia attestato come diritto-dovere il ruolo guida anche alle donne (e non di semplice riconoscimento di quote rosa).
Di conseguenza i collettivi ritengono fondamentale una riflessione collettiva sul “potere di direzione politica da parte delle donne in quanto tali e non come appartenenti alla classe lavoratrice” in un contesto storico-sociale e politico-economico in cui la geometria delle diverse classi è da sempre determinata e stabilizzata scientificamente, grazie al pensiero unico, alla logica del politicamente corretto e di quel “senso del comune sentire” utilizzati dal sistema per dominare con il consenso popolare, per governare stabilmente grazie ad un becero populismo imperante. Di qui l’importanza di una “Contro-storia delle donne”, di una contro-informazione, e di una approfondita “contro- analisi” economica, socio-politica, filosofica ed antropologica la cui diffusione nella rete dovrebbe rappresentare una priorità per tutte le forze di opposizione, specie per le donne e per giovani. Del resto, hanno sottolineato i collettivi:
- Sul piano statistico le donne universalmente rappresentano oggi il 52% della popolazione e su di esse comunque gravano maggiormente gli oneri assistenziali primari degli anziani, dei minori e dei diversamente abili (almeno un 20% della restante popolazione maschile);
- La divisione in classi sociali non si è determinata storicamente solo su distinzione economica e sulla organizzazione e collocazione all’interno del sistema produttivo, ma anche su base funzionale (potere politico, prestigio, stile di vita, valori culturali e religiosi, modelli comportamentali etc) per cui l’individuazione teorica della struttura di disuguaglianza comunque definita dalla società (come “strato sociale” , “casta”, “ceto”, etc..) è stata via via condizionata dall’adozione di criteri di distinzione non ben definiti ma di uso corrente pur se secondari e pur se escludenti sia la “coscienza di classe”, cioè l’elemento soggettivo storicamente considerato fondamentale dai lavoratori per l’appartenenza stessa al gruppo di uguale destino sociale, sia la discriminazione di genere nonostante interessante la metà della popolazione.
Infatti nella relazione annuale 2017 l’ISTAT ha rilevato che la perdita del senso di appartenenza ad una certa classe è più forte per la piccola borghesia e la classe operaia che non hanno più quel ruolo di spinta all’equità ed al cambiamento dell’evoluzione sociale avendo perso l’identità di classe a causa della precarizzazione e frammentazione dei percorsi lavorativi ed al cambiamento di attribuzioni e significati dei diversi ruoli professionali. La relazione ha distinto su base economica almeno 9 nuovi gruppi sociali su 27,5 milioni di famiglie più del 40% delle quali sono costituite da operai in pensione ed impiegati; ha riscontrato 1,9 milioni di famiglie a basso reddito con soli italiani per un totale di 8,3 milioni di persone ed 1,8 milioni (7%) di famiglie a basso reddito con stranieri, pari a 4,7 milioni di individui. La classe dirigente include 1,8 milioni di famiglie (7,2%) pari a 4,6 milioni di individui con reddito più alto del 70% rispetto alla media ed è quella considerata la “classe dell’innovazione sociale” in quanto detentrice dei mezzi di produzione e del potere decisionale ed il titolo di studio è l’elemento determinante.
Quindi nessuna considerazione sulla “classe dominante” e sulla “discriminazione di genere”.
- Storicamente la forma primordiale di dominio nasce e si sviluppa nella famiglia trovando proprio nella schiavitù di genere la sua principale fonte;
- Ancor oggi la discriminazione, il disagio economico-sociale e la “schiavitù mascherata e non” colpisce soprattutto le donne ed è universalmente presente anche nei paesi economicamente più avanzati e specie in Italia dove tra l'altro le donne si laureano molto più degli uomini (30% contro il 20% degli uomini) ma hanno il record d'inattività specie se giovani e con figli;
- Senza coscienza di classe non c’è lotta di classe e senza lotta di classe non c’è liberazione dalla schiavitù e dalla subalternità in tutte le sue forme ed anche nei periodi di prosperità c’è sempre l’ingiustizia di fondo per cui pochi accumulano grandi ricchezze senza produrre nulla e gestendo tutto e tutti gli altri producono tutto contando marginalmente in primis le donne;
Diventa quindi indispensabile e prioritario far sviluppare una “Coscienza di Classe in quanto Donna” e non come lavoratrice (salariata e non) o come cittadina che lotta per le pari opportunità in una società mondiale dominata dal maschilismo e dal correlato imperialismo.
Ovviamente “La Classe Donna” non deve intendersi come chiusura di gruppo o come futuro distinto partito in costante dialettica con l'altro sesso, ma come “coscienza di un comune destino” e quindi diritto-dovere ad un pari ruolo guida senza dominio in una condivisa lotta universale contro l'imperialismo.
Diventa altresì consequenziale la riflessione anche sulla presenza all'interno della società di complesse e cristallizzate formazioni di interessi minoritari che, tutt’altro che scevre di contraddizioni, tutt’altro che egemoni, tutt’altro che dirigenti, tuttavia contribuiscono a sbarrare la strada alle donne nell’aspirazione legittima ad un ruolo di direzione nei vari ambiti politico-sociali. Infatti tali formazioni e cristallizzazioni di interessi affermano, perpetuano e riproducono il proprio ruolo stringendo un patto sociale di sopravvivenza–privilegio con la classe dominante. Nel contempo con il “pensiero unico” diffuso grazie al controllo dei mezzi di comunicazione le masse popolari vengono persuase che un altro mondo non è possibile e che comunque il tentativo di cambiarlo porterebbe ad una situazione ancora più drammatica dell’attuale.
Di qui la indispensabilità di una “Battaglia per l’Egemonia Culturale e contro il pensiero unico” che non può essere condotta né tanto meno essere vinta senza l’azione di un intellettuale ed un agente collettivo organizzato scientificamente (come l'Accademia di Stasiologia) capace di implementare le forze esistenti e di coordinarle in rete, ma soprattutto di creare alleanze con i gruppi sociali (es. anziani, disabili, minoranze etniche, disagio economico, discriminazione e precariato di ogni tipo etc..) più vicini alla “classe donna” in quanto da sempre per loro di primario riferimento assistenziale e quindi capace di acquisire rappresentatività politica più facilmente di quanto si sia mai immaginato.
Tutto ciò però non può prescindere dal riconoscimento anche alle donne non di quote rosa ma del diritto dovere ad un giusto ruolo guida nello Stato, nei partiti/movimenti e soprattutto nella società per questo fine da ripensare al femminile.
Ed è difficile che ciò avvenga se continuano a prendere piede solo tentativi intellettuali collettivi o movimenti politici od un associazionismo di tutela dei diritti e solidarietà che sebbene di grande qualità e da lodare per impegno e professionalità specie nei campi tecnici, sono tuttavia destinati per altri millenni alla marginalità sul piano politico-sociale e culturale, per la costante ed alienante azione controrivoluzionaria condotta in maniera scientifica delle altre classi ben distinte e dialettiche specie su base economica ma sempre alleate nella difesa della democrazia prevalentemente formale, del liberismo e del maschilismo con cui si attesta il sistema capitalistico sin dall’inizio della rivoluzione industriale.
Non è un’affermazione ma una constatazione storica il parziale e deludente risultato ad oggi nel mondo delle politiche sociali della chiesa e dei governi religiosi, così come del riformismo socialdemocratico o dei tentativi rivoluzionari dei regimi comunisti, così come delle battaglie delle donne per i diritti e le pari opportunità, così come sia stata mal riposta la fede nella neutralità delle istituzioni statali dei regimi maschilisti ovunque dominanti o nell’autonomia e nell’autosufficienza delle sole misure economiche nella risoluzione dei gravi problemi del nostro paese e del mondo gravanti oggi soprattutto sulle famiglie a basso reddito con figli minori e con disabili e quindi sulle donne.
In una situazione come quella odierna, l'errore può ancora una volta essere quello di non organizzarsi per affrontare la questione di genere in maniera scientifica e prioritaria.
Certamente il progetto presentato è tanto ambizioso quanto impegnativo e, per contrastare già in partenza il prevedibile scetticismo, le donne hanno infine ricordato che la storia sia della schiavitù che dei dei fenomeni rivoluzionari del passato e soprattutto quella delle religioni e del loro percorso per arrivare al potere temporale insegna che i grandi cambiamenti politici e sociali si sono determinati quando all’intrecciarsi di variabili condizioni oggettive in primis economiche si sono associate adeguate spinte propulsive culturali, dopo lunghi cammini, spesso secolari, sempre iniziati con un primo passo ed in salita.