La Repubblica Popolare Cinese a 71 anni dalla fondazione - Parte 2

Prosegue l’analisi della storia economica della Repubblica Popolare Cinese. In questa seconda parte si affrontano i temi della crescita economica, del progresso e delle trasformazioni sociali.


La Repubblica Popolare Cinese a 71 anni dalla fondazione - Parte 2

La tempestosa crescita cinese

La struttura economica cinese ha registrato, dalla fondazione della Repubblica Popolare a oggi, un eccezionale sviluppo con una crescita del Pil che l’Istituto Nazionale di Statistica Cinese, a luglio 2019, [1] ha quantificato in un tasso medio annuo addirittura dell'8,1%, per il periodo compreso fra il 1949 e il 2018.

A seguito dell'approvazione delle “Linee di riforma e di apertura economica” che hanno avviato la transizione del sistema economico, a partire dal 1979 e per i due decenni successivi (v. grafico 1), la Cina ha vissuto una rapida, ma non sempre regolare, crescita con percentuali variabili tra il 4 ed il 14% annui, e, dopo il rallentamento del 1998-99, a seguito della crisi finanziaria dei paesi del Sud-Est Asiatico, ha iniziato ad aumentare di nuovo sino a un massimo del 14% nel 2007 alle soglie della crisi globale, per poi gradualmente ridursi sino a stabilizzarsi dopo il 2012 su valori di poco inferiori all’8% e assestarsi infine nell'ultimo quinquennio su incrementi compresi fra il 6 ed il 7% (v. tabella 1).

Grafico 1: anni 1984-2013. Diagramma lineare: variazione annua del pil in percentuale. Istogramma: crescita entità totale del pil in reminmbi (o Yuan, con cui si identifica l’unità monetaria di base)

 

 

Da uno sguardo sinottico della fase post-maoista, in pratica gli ultimi quarant’anni, emerge come, a seguito delle riforme, l’economia cinese sia cresciuta a una media del 9,4% all'anno, un tasso superiore di oltre tre volte rispetto al 2,9% della media mondiale.

 

I vertiginosi tassi di crescita, hanno sospinto un’ineguagliabile espansione dell’economia: il Pil, sempre secondo il solito rapporto dell’Istituto Nazionale di Statistica Cinese, dai soli 67,9 miliardi di yuan del 1952 ha raggiunto i 90.030 miliardi di yuan (circa 13.140 miliardi di dollari USA) nel 2018, un incremento di ben 1.325 volte, raggiungendo un valore pari al 16% del totale dell’economia mondiale; mentre il Pil pro capite nel 2019 ha superato per la prima volta 10.000 dollari, attestando la Cina fra i paesi a sviluppo intermedio. [1]

Il forte surplus commerciale degli ultimi 15 anni (grafico 2), nonostante sia sotto attacco a seguito della guerra commerciale innescata da Trump, ha consentito alla Cina, ormai prima potenza commerciale mondiale dal 2013, di accumulare nelle proprie casse, sino al 2018, ben 3.070 miliardi di dollari Usa di riserve valutarie, segnando per il tredicesimo anno consecutivo il più alto valore a livello mondiale. La Cina è divenuto il primo partner commerciale mondiale, scalzando gli Usa, il Giappone (2004), l’India (2008) e il Brasile (2009).

Grafico 2: andamento dell’import-export della Repubblica Popolare Cinese negli anni 1989-2018. 

 

La “Nuova normalità”

Il delicato passaggio del rallentamento della crescita al di sotto del 10% degli ultimi anni è stato accuratamente pianificato e gestito dalla dirigenza cinese attraverso una specifica politica economica, che approvata nel marzo 2015 dall’Assemblea Nazionale ha assunto la denominazione di “Nuova normalità” . Quest’ultima prevede non solo la riduzione e l’assestamento dei tassi di crescita per gli anni successivi intorno al 7%, ma, come annunciato dallo stesso Primo Ministro Li Keqiang, la Cina “deve conservare un equilibrio tra la necessità di assicurare una crescita costante e quella di promuovere aggiustamenti strutturali”. ”Metteremo in atto la strategia ‘Made in China 2025’ - ha proseguito Li Keqiang - cercando uno sviluppo basato sull’innovazione, perseguendo lo sviluppo verde e raddoppiando i nostri sforzi per migliorare la Cina, facendola diventare da un produttore di quantità ad uno di qualità”.

Gli obiettivi individuati dal governo mirano a: 1) trasformare l’apparato produttivo tramite l’espansione del settore Hi-Tech con il conseguente ridimensionamento del settore manifatturiero a basso costo e basso valore aggiunto; 2) diminuire l’inquinamento e ad aumentare il reddito dei ceti più bassi al fine di ridurre le disuguaglianze sociali ma, anche, incrementare la domanda interna per compensare il rallentamento di quella internazionale. 

 La Cina quindi ha cercato di porre rimedio all’andamento incerto, e tendenzialmente in fase di rallentamento, dell’economia mondiale (tabella 2), cercando di aumentare i consumi nazionali e di creare un “mercato interno capace di essere volano dell’economia, per i prossimi anni a venire”, riprendendo sempre le parole del primo ministro Li Keqiang. 

 

Il progresso e le trasformazioni del corpo sociale cinese

La tumultuosa crescita cinese ha prodotto per il paese, nel suo complesso, eccezionali progressi in campo economico, come abbiamo appena analizzato, ma anche significativi riflessi positivi a livello sociale. Secondo la Banca Mondiale, da quando a fine 1978  Deng Xiaoping ha fatto approvare le “Linee di riforma e di apertura economica”, circa 850 milioni di cinesi sarebbero usciti dalla povertà estrema. A livello metodologico specifichiamo che attualmente in Cina si trova  in condizione di povertà estrema una persona con un reddito annuo inferiore ai 3.218 yuan, corrispondenti al cambio attuale a circa 1 euro e 10 centesimi al giorno, [2] quindi un parametro meno stringente rispetto alla soglia fissata dalla Banca Mondiale di 1.90 dollari al giorno (1,61 euro). Tuttavia, anche se ridotta ai minimi termini, la povertà non è stata ancora completamente sradicata soprattutto nelle aree rurali, dove si trovano gli ultimi 5,51 milioni di poveri assoluti censiti a fine 2019 al cospetto di circa il 43% della popolazione di un tempo. 

Il governo, con il lancio, il 4 febbraio 2018, del piano di “vitalizzazione delle campagne”, si è posto l'obiettivo di far crescere l’economia delle aree rurali e ridurre, entro il 2034, lo squilibrio città/campagna, con lo scopo intermedio di eliminare completamente la povertà nel 2020, come previsto dal nuovo ciclo di lotta alla povertà inaugurato nel 2012, quando i cinesi in povertà assoluta ammontavano a 98,99 milioni.

La struttura sociale cinese, come abbiamo già accennato, dopo l’egualitarismo dell’era maoista, ha subito profonde trasformazioni con la formazione di una corposa classe media composta attualmente da 430 milioni di persone che, concentrata in prevalenza nelle aree urbane e insieme a un’elite socio-economica composta dai nuovi ricchi, rappresentano i ceti economicamente in fase di espansione. Infatti, se la prima si è in pratica formata nel breve arco di due decenni, anche i secondi, i più facoltosi, sono in rapida crescita come testimoniato dal Billionaires Report 2018, dal quale emerge come i miliardari, non i soli componenti di questa classe sociale, in Cina siano passati dai 16 del 2006 ai ben 373 nel 2017 e con un trend in accelerazione visto che proprio in quell'anno se ne sono registrati 89 di nuovi, esattamente il triplo rispetto agli Usa. I miliardari cinesi, circa un quinto del totale mondiale, hanno inoltre incrementato il loro patrimonio del 39% rispetto al 2016, facendolo salire a 1.120 miliardi di dollari. [3]

La classe media cinese emergente è contraddistinta da un’educazione di alto livello, è informata, abituata a viaggiare, orientata all’acquisto di prodotti tecnologici, all’utilizzo dei social network e allo shopping online e apprezza i prodotti occidentali e, in particolare, il made in Italy. Essa pertanto rappresenta, soprattutto per la sua entità numerica, la classe sociale su cui il governo fa leva per l’espansione dei consumi interni. Le previsioni del rapporto di McKinsey 2013, che fissava il reddito della classe media cinese tra i 9 mila e 34 mila dollari all’anno, aveva previsto che nel 2022 il 75% dei consumatori urbani della Repubblica Popolare sarebbe appartenuta a tale fascia, confermando sia la sua crescita numerica, sia la sua concentrazione nelle aree urbane della fascia costiera, a più alto tasso di urbanizzazione e maggiormente sviluppata dal punto di vista  economico.

Un ceto sociale strettamente legato al Partito Comunista, in quanto il processo di espansione dell’economia è stato, e resta tutt'ora, subordinato al successo delle politiche implementate dal governo. A smentire le previsioni di alcuni politici e analisti occidentali, in particolare statunitensi, in base alle quali la classe media una volta raggiunta la prosperità economica avrebbe iniziato ad avanzare richieste di riforme politiche in modo da arrivare a scardinare l'egemonia del Partito Comunista dall'interno, è stato lo stesso Quotidiano del popolo. L’organo ufficiale di stampa del Pcc, nel 2017 ha infatti affermato che l’ascesa della classe media non rappresenta una sfida all’autorità del Partito, anzi è fondamentale per sostenerne la legittimità. L'articolo andava oltre, specificando addirittura che la classe media era diventata una forza trainante nel mantenimento della stabilità interna e che i paesi che ne risultano sprovvisti, come quelli mediorientali e latino-americani, affrontano crisi politiche e turbolenze sociali cicliche.

Note:

[*] Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati

[1] https://www.ilsole24ore.com/art/cina-crescita-mai-cosi-bassa-1990-2019-solo-61percento-AC7hvcCB 

[2] https://www.internazionale.it/reportage/gabriele-battaglia/2020/08/10/cina-poverta 

[3] https://cinainitalia.com/2019/03/12/miliardari-cinesi/

14/11/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Andrea Vento

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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