L’esperienza vittoriosa dei curdi in Siria

Un modello di democrazia, di organizzazione politica, militare e sociale per la regione.


L’esperienza vittoriosa dei curdi in Siria Credits: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Kurdish_YPG_Fighters.jpg

La caduta di Raqqa, capitale del Califfato e maggiore centro del potere ISIS, segna l’apoteosi dell’organizzazione curda in Siria. YPG e YPJ hanno dato battaglia per vari anni contro forze inizialmente preponderanti dal punto di vista militare e sostenute in modo aperto da Turchia, Arabia Saudita e altri stati della Penisola arabica, i famigerati terroristi tagliagole dell’ISIS, alla cui origine non sono estranei settori consistenti degli apparati spionistici statunitensi 1.

Oltre che per i suoi indubbi successi militari, l’organizzazione curda di Siria è nota per le sue capacità di autogoverno, essendo riuscita a instaurare, pur nell’emergenza dello scontro armato quotidiano con un nemico feroce e agguerrito, significativi livelli di autogoverno e di democrazia partecipativa, contrassegnata fra l’altro, caso pressoché unico e non solo nel Medio Oriente islamico e presuntivamente arretrato, da una sostanziale parità di genere attestata fra l’altro dalle doppie cariche di vertice e dall’esistenza di un’organizzazione militare femminile autonoma.

Paradossalmente, la Siria e in particolare la sua regione nord-orientale, date le sue recenti vicende storiche, è venuta a costituire il terreno di sperimentazione delle teorie elaborate, nel carcere di Imrali, dal leader kurdo Abdullah Ocalan che costituiscono una feconda revisione del pensiero marxista e leninista in materia di organizzazione dello Stato e di transizione verso nuovi ordinamenti, che si avvale del contributo del pensiero femminista e di quello ambientalista, fra gli altri 2.

Nonostante i suoi successi, il movimento kurdo in Siria non ha mancato di sollevare perplessità e critiche in certi settori della sinistra. In sostanza tali critiche appaiono riconducibili a due elementi. In primo luogo, al fatto che il presunto secessionismo o separatismo dei Kurdi minerebbe l’integrità nazionale siriana. In secondo luogo che la loro alleanza tattica con gli Stati Uniti, la cui aviazione ha dato un contributo determinante alla vittoria dei Kurdi contro l’ISIS, costituirebbe in realtà la prova del fatto che i curdi stessi, consapevolmente o meno, sono diventati degli strumenti dell’imperialismo. A più attenta analisi entrambe le accuse si rivelano del tutto infondate.

Dal primo punto di vista, infatti, occorre constatare che, lungi dal riproporre uno sterile indipendentismo verso stati più o meno etnicamente puri, l’avanguardia cosciente del popolo kurdo, che fa capo ad Ocalan e al PKK, oltreché alla citate organizzazioni dei curdi siriani, ha delineato oramai da tempo una prospettiva federalistica che si basa sui seguenti presupposti.

Primo, l’impossibilità di delineare, in particolare in Turchia, ma anche negli altri Stati dell’area, una linea di divisione netta fra curdi e Turchi, dato che i primi popolano oramai in gran numero le grandi metropoli dell’Occidente anatolico, a cominciare da Istanbul.

Secondo, la necessità di far convergere tutte le etnie su di un progetto unitario democratico volto al rinnovamento degli Stati esistenti, progetto che in particolare in Turchia ha vissuto un momento decisivo con la costituzione del HDP, che, rispetto a precedenti tentativi (DEHAP, HADEP) tutti oggetto di brutale repressione da parte del regime turco, presenta un più evidente carattere multietnico e aspira a dare espressione a tutte le istanze della sinistra. A analogo intento risponde la scelta di dar vita, in Siria, alla coalizione multietnica delle Forze Democratiche Siriane.

Terzo, pur nella consapevolezza della profonda inadeguatezza delle frontiere attuali, tracciate dalle potenze coloniali con un tratto di penna su cartine non sempre precise, la volontà di rispettare gli stati esistenti, nella prospettiva di una possibile futura unione regionale fra di essi.

Tale prospettiva federalistica è ribadita senza ombra di dubbio dalla vigente Costituzione della Rojava 3, il cui art. 12 afferma che la Rojava fa parte della Siria.

Dal secondo punto di vista, vanno certamente registrate oscillazioni ed errori da parte degli imperialisti statunitensi, da situare del resto nel contesto del tramonto degli Stati Uniti come potenza egemone a livello mondiale. E non può certo escludersi che vi siano settori che intendono fare dei curdi esclusivamente degli esecutori militari (boots on the ground). Ma occorre anche prendere in considerazione taluni dati inoppugnabili:

  1. L’appoggio dell’aviazione statunitense alle forze di autodifesa curde è stato decisivo per respingere l’assalto a Kobane e condurre il contrattacco.
  2. Tale appoggio, che potrebbe non durare ancora a lungo, apre forti contraddizioni in particolare fra Stati Uniti e Turchia, che continua a costituire un alleato strategico del terrorismo fondamentalista nella regione, anche se, per motivi di carattere cosmetico, oggi Erdogan non appoggia più apertamente l’ISIS, del resto in grave crisi, ma è passato a sostenere Al Qaeda e i raggruppamenti a essa legati.
  3. Un accordo fra Stati Uniti, Russia e altri attori presenti nella regione appare necessario per procedere a definire il quadro internazionale di riferimento della fine della guerra in Siria.
  4. E’ altresì necessario un profondo rinnovamento democratico dello Stato siriano. A prescindere dalla questione, tutto sommato secondaria e che sarà decisa dai popoli della Siria nel loro complesso, della permanenza o meno di Bashar El Assad al potere, occorre rilanciare la democrazia e la partecipazione del basso, raccogliendo in particolare il contributo teorico e pratico proveniente dalle organizzazioni curde. Aspetti storici consolidati e positivi dell’esperienza siriana, come il suo carattere laico, vanno ovviamente ripresi e valorizzati in tale prospettiva. Del pari vanno pienamente garantiti i diritti sociali, cui è dedicato l’articolo 30 della Costituzione della Rojava.
  5. Parallelamente va respinto ogni attacco all’integrità nazionale della Siria, respingendo il tentativo di Erdogan di infiltrarsi in alcune regioni settentrionali del Paese approfittando della presenza delle milizie fondamentaliste sue alleate.

Il progetto politico delle forze curde (PKK, YPG, YPJ e altre) della regione va quindi conosciuto e valorizzato nella prospettiva di una pace stabile, garantita dall’espulsione di ogni interesse imperialista dalla regione e da una democrazia partecipativa di tipo nuovo, in una situazione estremamente complessa e aperta tutt’ora a esiti per molti versi contrapposti o comunque fortemente divergenti.


Note

1 Su tale formazione vedi il mio ISIS e Occidente, il nemico/alleato perfetto, in http://imesipalermo.blogspot.it/2014/10/la-parola-allesperto-la-rubrica-mensile.html

2 Sul PKK vedi https://thekurdishproject.org/history-and-culture/kurdish-nationalism/pkk-kurdistan-workers-party/<. Vedi le opere di Abdullah Ocalan: Prison writings: the roots of civilization, Pluto Press, 2007; Plädoyer für den freien Menschen, Mezopotamien Verlag, 2006; Jenseits von Staat, Macht und Gewalt, Mezopotamien Verlag, 2010; La road map verso i negoziati, Punto Rosso, 2014).

3 https://ypginternational.blackblogs.org/2016/07/01/charter-of-the-social-contract-in-rojava/.

3 https://ypginternational.blackblogs.org/2016/07/01/charter-of-the-social-contract-in-rojava/.

28/10/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Fabio Marcelli

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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