Discutiamo dei contratti… prima che vengano firmati

Da alcuni mesi, sono in corso trattative per il rinnovo dei contratti della pubblica amministrazione. I lavoratori nulla sanno delle discussioni in corso; all’oscuro dei contenuti perfino i delegati Rsu sui quali verranno scaricati accordi già sottoscritti e da far approvare nelle solite assemblee farsa. È ancora possibile intervenire per conquistare contratti dignitosi e recuperare potere di acquisto e di contrattazione?


Discutiamo dei contratti… prima che vengano firmati

Andrà tutto bene, ma nel frattempo i morti da Covid sono 130mila nella sola Italia. Abbiate fiducia nel sindacato – ci viene detto ogni giorno – ma intanto lo stesso, o meglio le sigle rappresentative ai tavoli di trattativa, si è accordato per il ripristino dei licenziamenti collettivi. Cambiare i sindacati dall’interno? Logiche vecchie e superate sconfitte dalla lenta e progressiva degenerazione dei sindacati firmatari di contratto, con il tempo i soli a essere cambiati, e in peggio, sono coloro che pensavano di influenzare dall’interno scelte e indirizzi ai quali invece si sono piegati. E se non sono cambiati perché sorretti da sani principi e da corrette analisi della fase, hanno finito con il chiudersi in una critica ideologica ben lontana da percorsi organizzativi e decisionali dirompenti.

Amare riflessioni sullo smarrimento di tanti delegati ormai privati del loro potere di indirizzo e di veto. Da lustri non si discute nel merito delle piattaforme contrattuali; i testi sottoscritti sono ben lontani dalle piattaforme rivendicative e rispondono ai desiderata delle associazioni datoriali. Il sindacato porta a casa solo risultati funzionali alla sopravvivenza degli enti bilaterali, alla loro partecipazione alla previdenza e sanità integrativa, avallando processi di graduale e sistematico smantellamento delle conquiste avvenute negli anni “gloriosi” neokeynesiani.

L’ars consolatoria della denuncia pubblica dello stato delle cose presenti avviene ormai in perfetta solitudine, sono comunque necessarie alcune considerazioni su una tornata contrattuale che avallerà di fatto i processi di ristrutturazione nella Pa indicati da Ue e Ocse.

Prendiamo a mo’ di esempio l’Atto di indirizzo per il rinnovo contrattuale del triennio 2019-2021 per il personale del comparto delle funzioni locali. La trattativa per gli statali è più avanti e destinata a produrre la prima intesa in autunno.

La contrattazione si muove nell’alveo delle regole che hanno ristrutturato la pubblica amministrazione fin dalla fine del secolo scorso. Eppure sono proprio questi interventi legislativi a sancire la crisi dei settori pubblici, i tagli al salario e agli organici, la perdita del potere contrattuale e di acquisto.

In piena pandemia è stato sottoscritto, con i sindacati rappresentativi, il Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale (correva il giorno 10 del mese di marzo anno 2021), le risorse sono quelle già stanziate nel rispetto dei tetti di spesa e a salvaguardia del pareggio di Bilancio.

Qualche novità potrà arrivare dal decreto-legge n. 80/2021 e dai soliti accordi tra governo e il carrozzone delle regioni e delle autonomie locali.

L’impianto contrattuale è quello di sempre: si scarica sulla contrattazione di secondo livello l’applicazione di istituti divisori e contraddittori; si va facendo strada il rafforzamento della performance e della premialità per le cosiddette eccellenze a discapito della stragrande maggioranza del personale.

I cambiamenti organizzativi avrebbero bisogno non di una classificazione del personale verticistica ma del semplice riconoscimento delle mansioni realmente svolte, di progressioni di carriera sicure e ricorrenti. Al contrario stanno ipotizzando un tetto che limiti le progressioni orizzontali nel corso della vita lavorativa. I fabbisogni di nuove professionalità saranno riconosciuti economicamente creando sistemi differenziati a livello retributivo e con la sostanziale decurtazione dei fondi della produttività che andranno a premiare una minoranza del personale.

Sentir dire da ministro e sindacati che occorre premiare le competenze stride con la prassi quotidiana, con i mancati fondi alla formazione, con la denigrazione del dipendente pubblico in smart working e l’aumento delle mansioni esigibili. Se i profili professionali sono fermi da troppo tempo, una loro eventuale riforma non risponderà alle esigenze dei lavoratori e delle lavoratrici finendo invece con il creare ulteriori meccanismi sperequativi e divisori.

Ci chiediamo in cosa consista il rafforzamento dell’organizzazione e dell’azione amministrativa quando vediamo invece enti locali e regioni sempre meno presenti, quando poi gli obiettivi conferiti ai dirigenti sono appiattiti sul programma di mandato di governatori e sindaci.

La contrattazione collettiva, invece di recuperare potere di acquisto e di contrattazione, piuttosto che difendere e potenziare i servizi pubblici, si prefigge altri obiettivi come il rafforzamento del ruolo di specifiche posizioni e ruoli non dirigenziali dell’area delle posizioni organizzative. Pensano a incarichi apicali da condividere tra più enti secondo una logica che sfugge a ogni umana comprensione ma risponde a logiche di risparmio e alla necessità di costruire negli enti locali una grande area contrattuale di quadri da finanziare, almeno in parte, con la produttività generale.

Non c’è traccia della quattordicesima mensilità ma solo il miraggio del potenziamento della performance, nonostante i risultati fin qui assai deludenti di simili politiche. Gli Istituti normativi futuri saranno peggiori del passato creando gabbie e sistemi premianti per pochi a discapito dei tanti. Si arriva al punto di ridurre il tempo pausa da 30 a 10 minuti, per il recupero delle energie psicofisiche e per il pasto. Se vorrai uscire prima è possibile staccare nel corso della giornata lavorativa, ma nel frattempo rinuncerai anche al buono pasto di sette euro.

E per quanti invocano, astrattamente, il potere delle rappresentanze sindacale unitarie, già ridotto ai minimi termini con innumerevoli materie non più oggetto di contrattazione, arriverà la doccia fredda della contrattazione integrativa territoriale nell’ambito unionale, provinciale e metropolitano; meccanismi che sanciranno il potere assoluto delle organizzazioni rappresentative a discapito della democrazia e del mandato dei lavoratori ai delegati da loro eletti.

L’atto di indirizzo spinge la contrattazione di secondo livello a muoversi solo nell’applicazione di istituti contrattuali con risorse destinate esclusivamente al miglioramento delle performance organizzative di ente e individuali. Per essere chiari scriveranno un contratto divisorio e iniquo e chiederanno alle Rsu di applicarlo nei vari enti.

Si andrà infine rafforzando, nel comparto delle funzioni locali, il ricorso a previdenza e sanità integrativa. Rinunciando a rilanciare pensioni e sanità pubblica, si gettano le basi del cosiddetto welfare aziendale che poi è parte integrante dello smantellamento del welfare statale.

Non si capisce come sarà possibile gestire il lavoro agile, regolamentandolo contrattualmente, dopo le dichiarazioni in parlamento del ministro Brunetta e dopo la palesata incapacità degli enti locali di riorganizzare servizi e uffici con una percentuale di dipendenti da remoto.

Ma del resto non si è mossa foglia nel paese davanti alla campagna denigratoria contro i dipendenti pubblici. Perfino i sindacati sono stati silenti. Quindi da lor signori cosa possiamo attenderci?

17/09/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Federico Giusti

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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