Negli anni venti Karl Korsch è stato, insieme aLukács, il maggiore protagonista del tentativo di rifondare il marxismo su basi critiche. A partire da Marxismo e Filosofia del 1923, egli ha denunciato il progressivo impoverimento del marxismo che, a suo parere, si sarebbe ridotto a una concezione meccanicista del mondo una volta abbandonata la sua originaria componente filosofica. Di contro all’interpretazione antifilosofica, positivista e scientista – che per Korsch era alla base del revisionismo e del dogmatismo dominanti nella seconda Internazionale – egli voleva far riemergere l’aspetto filosofico e rivoluzionario del marxismo. Le cause del declino del marxismo, infatti, erano individuate da Korsch nella perdita della dialettica che, in quanto fondativa dell’interdipendenza del pensiero con la realtà sociale nella sua totalità, aveva permesso alla teoria marxiana di essere una teoria della rivoluzione.
Per far emergere le cause storiche di questo processo, che aveva trasformato la dialettica marxiana in una teoria meccanicistica del progresso, Korsch ha tentato di applicare anche al marxismo il metodo di Marx. Egli definisce questo metodo materialismo storico e dialettico, seguendo la formula tradizionale. Oggi però è necessario specificare, a causa delle diverse interpretazioni date a questo metodo, che con esso Korsch aveva in mente un procedimento “critico” fondato su una filosofia della storia, che gli avrebbe dovuto permettere di considerare le diverse fasi attraversate dal marxismo come prodotti di uno sviluppo storico e dialettico. Non si tratta, allora, di un semplice storicismo, in quanto Korsch non solo non ha voluto nascondere il punto di vista (la filosofia della storia) da cui ha analizzato e giudicato il decorso storico, ma ha teorizzato la necessità di assumere un punto di vista (filosofico) per poter considerare la storia come un processo unitario pur nella sua irriducibile molteplicità.
Korsch ha individuato tre fasi fondamentali in cui si sarebbe sviluppata la complessa relazione tra marxismo e filosofia. Nella prima, che si sviluppa fino ai moti rivoluzionari del 1848, il marxismo – nonostante il conclamato abbandono della filosofia – sarebbe giunto, proprio per mezzo di una concezione filosofica, a sviluppare una teoria che considera la rivoluzione una vivente totalità e mira al suo inveramento. La teoria di Marx, in questi anni, sarebbe sorta in stretta connessione con la prassi rivoluzionaria. Nel secondo periodo, che va dalla dissoluzione delle organizzazioni operaie nella fase di restaurazione seguita al Quarantotto all’ultimo decennio del diciannovesimo secolo, vi sarebbe stato a parere di Korsch – al di là di una sostanziale continuità – uno spostamento di accenti all’interno della teoria marxiana che avrebbe perso il legame diretto con la prassi, per collocarsi su un piano puramente “teoretico-scientifico”. Il marxismo in questa fase non si sarebbe, però, ridotto a una teoria meccanicistica del progresso, in quanto ben vive erano ancora le sue origini filosofiche. Tuttavia, questo sviluppo indipendente della teoria dalla prassi rivoluzionaria avrebbe fortemente influenzato, nella fase successiva, la sua perdita di incidenza sul movimento reale. Dopo il 1890, infatti, allo sviluppo in senso progressivamente non rivoluzionario della Socialdemocrazia tedesca si sarebbe affiancata sul piano teorico l’ortodossia marxista di Kautsky che costituirebbe l’altra faccia dell’interpretazione apertamenterevisionista di Bernstein, indubbiamente più vicina alla prassi riformista della socialdemocrazia di questi anni. Entrambe queste tendenze della Seconda Internazionale sarebbero state accomunate, a parere di Korsch, dal tentativo di ridurre la coscienza e con essa la filosofia a un semplice riflesso del processo materiale di produzione, considerato come l’unico veramente effettivo. I primi decenni del ventesimo secolo sarebbero stati caratterizzati dalla tendenza, riscontrabile a diversi livelli del movimento operaio, a riscoprire nella nuova fase di poderoso avanzamento le origini filosofiche e rivoluzionarie del marxismo, in contrasto con le tendenze ufficiali della Seconda Internazionale. Ciò avrebbe contribuito alla nascita di quella Terza Internazionale da cui Korsch si aspettava il rilancio non solo della prassi rivoluzionaria, ma anche del marxismo delle “origini”.
Dando alle stampe il suo Marxismo e filosofia Korsch poteva prevedere, allora, le critiche dei rappresentanti della Seconda Internazionale, con cui aveva direttamente polemizzato nel suo scritto, mentre non doveva attendersi le dure prese di posizione di importanti teorici di quella Terza Internazionale che sosteneva teoricamente e di cui era parte attiva. Tra il 1924 e il 1925, in effetti, nonostante Kautsky avesse criticato il libro come emblematico esempio delle teorie comuniste, dapprima Zinoviev e poi Bukharin, Deborin e Bela Kun hanno accusato Marxismo e Filosofia, insieme al coevoStoria e coscienza di classe, di “revisionismo”. Negli anni seguenti, mentre Lukács sembrò accettare le critiche rivolte al suo libro, Korsch reagì violentemente accusando di dogmatismo sia i teorici della Seconda che quelli della Terza Internazionale. Come ha osservato sarcasticamente Korsch: “i più autorevoli rappresentanti delle due principali correnti del ‘marxismo’ ufficiale dei nostri giorni, con il loro istinto sicuro, hanno immediatamente fiutato in questo modesto scritto la sollevazione eretica contro certi dogmi che, nonostante tutti i contrasti apparenti, sono a tutt’oggi patrimonio comune delle due confessioni della vecchia chiesa marxista ortodossa e hanno ben presto proceduto a condannare davanti al concilio riunito, quale deviazione dalla dottrina tramandata, le idee espresse nello scritto” [1]
Al libro di Korsch e a quello di Lukács è generalmente riconosciuto il merito di aver dato espressione teoretica alle critiche politiche rivolte dal marxismo di sinistra (Rosa Luxemburg e i comunisti olandesi) alla posizione leninista-bolscevica. Anche oggi può essere utile analizzare la polemica tra Korsch e i suoi critici, a patto però di mantenere un certo distacco critico. L’interpretazione un po’ schematica, affermatasi nei primi anni settanta, che ha visto in questo dibattito lo scontro tra una posizione critica ed antidogmatica (di sinistra e antistalinista) e una dogmatica (leninista e prestalinista), ci appare, oggi, troppo unilaterale.
Bisogna, infatti, considerare che al tempo della stesura di questi scritti Korsch non faceva parte della corrente di sinistra del Partito comunista tedesco [KPD], ma aveva una posizione di “centro”, leninista. Non a caso, in questo periodo, era potuto divenire il direttore dell’“Internationale”, l’organo teorico della KPD, da cui aveva attaccato i comunisti di sinistra non solo dal punto di vista politico, ma anche dal punto di vista teorico. In questi anni, infatti, aveva sostenuto la necessità dell’unità teorica del partito sulla base del leninismo, in diretta contrapposizione proprio al luxemburghismo ancora fortemente presente nella KPD. Inoltre, se è certo facile condannare il dogmatismo della critica rivolta alla dialettica relazione fra essere e coscienza che Korsch ha delineato nella sua opera, non altrettanto si può dire per l’altra accusa, quella di “primitivismo”, di schematismo che, in nome di un’astratta dottrina marxista, incapace di cogliere la necessità dello sviluppo storico e quindi contraddittorio del marxismo, si sarebbe arrogato il diritto di condannare le necessarie deviazioni dal marxismo “originario”. Occorre, infine, osservare che Korsch nella sua “anticritica” non ha probabilmente tenuto nel dovuto conto i radicali mutamenti intervenuti tra il 1922-23 (date della stesura e della pubblicazione del libro) e il 1924-25 (date in cui apparvero le diverse critiche) nel quadro storico-politico. In questo breve lasso di tempo, infatti, non solo con la morte di Lenin era venuta a mancare la sua capacità di sintesi tra le diverse posizioni presenti all’interno del partito bolscevico, ma il mutamento intervenuto nella situazione politico-economica aveva favorito il radicalizzarsi dello scontro tra le diverse posizioni presenti nell’Internazionale. Le sconfitte patite dal movimento operaio italiano e da quello tedesco, infatti, avevano fatto svanire le speranze di un immediato allargamento verso occidente della rivoluzione. Allo stesso modo appariva ormai del tutto impraticabile il progetto di Lenin di passare, nel breve periodo, i comandi della rivoluzione al più avanzato proletariato occidentale. A uscire molto ridimensionate da questo mutamento storico-politico non furono così le sole tendenze spontaneiste di sinistra, ma la stessa indipendenza politica e teorica del marxismo occidentale, che si vide costretto ad abbandonare progressivamente le proprie posizioni di fronte alla necessità dell’Internazionale di passare da una fase offensiva a una difensiva, fino a dover abbracciare l’ideologia del “socialismo in un paese solo” pur di difendere le conquiste dell’Unione Sovietica.
Tuttavia, intendendo anche noi applicare all’analisi di questa problematica del marxismo il metodo di Marx, non possiamo compiere lo stesso errore di Korsch trascurando i profondi mutamenti intervenuti nella situazione odierna. Infatti, proprio perché il metodo di Marx è innegabilmente storico, esso, come ha osservato Lukács, “deve essere applicato di continuo a se stesso (…). Ma ciò comporta al tempo stesso una presa di posizione concernente i contenuti concreti rispetto ai problemi attuali del presente, poiché secondo questo modo di intendere il metodo marxista il suo scopo preminente è la conoscenza del presente”. [2]. Al di là della questione – certo importante, ma di difficile soluzione – di chi abbia avuto ragione dal punto di vista storico-universale tra Korsch e i suoi critici sovietici, a noi interessa considerare questa polemica in relazione alla nostra situazione in un paese a capitalismo avanzato, dopo la fine dei tentativi di transizione al socialismo compiuti nei paesi dell’est europeo. Quindi, se è vero che certe critiche di Korsch, soprattutto quelle rivolte alla Terza Internazionale, restano troppo astratte – perdendo di vista la necessità di certe scelte nel loro contesto storico – allo stesso tempo, va considerato che l’analisi di Korsch deve restare necessariamente su un piano astratto, volendo proporsi come breve schizzo della storia del marxismo. Inoltre, bisogna tenere conto che la durissima reazione dei rappresentanti della Terza Internazionale ha finito con il far venire a galla la loro dogmatica difesa del passato e l’incapacità di fare i conti con esso. Come ha osservato Korsch, essi non solo non avevano rotto del tutto i ponti con il dottrinarismo che caratterizzava la Seconda Internazionale, ma avevano mostrato tutto il loro dogmatismo credendo di poter giustificare le loro critiche con il semplice richiamo alla “dottrina” leninista, senza preoccuparsi di determinarle facendole uscire, così, dall’astrattezza. In tal modo i presunti leninisti non si sarebbero resi conto, estrapolando alcune frasi dal loro contesto storico-politico e dandogli un valore assoluto, di aver travisato l’autorità stessa a cui pretendevano di richiamarsi, ovvero Lenin, che Korsch definiva il “grande tattico”.
Note:
[1] K. Korsch, Marxismo e filosofia [1923], SugarCo, Milano 1970, p. 8.
[2] G. Lukács, Storia e coscienza di classe [1923], SugarCo, Milano 1991, p. IX.