Prosegue l’analisi di alcuni testi scolastici, diffusi in epoca fascista, sulle più vistose omissioni e censure storiche operate dalla propaganda di allora. A cura di Lelio La Porta.
di Lelio La Porta
Segue da Manuali Fascisti - parte III
MANUALI UTILIZZATI
P. Silva, Corso di storia ad uso dei licei ed istituti magistrali, Messina, 1940
N. Rodolico, Sommario storico per licei ed istituti magistrali, Firenze, 1937
A. Manaresi, La civiltà contemporanea, Torino, senza data
B. Lizier, Corso di storia per licei ed istituti magistrali, Milano, 1940
L. Simeoni, Corso di storia per licei ed istituti magistrali, Bologna, 1940
A. Bazzola, Roma, Torino, senza data
F. Cognasso, Storia d’Italia per licei ed istituti magistrali, storia contemporanea, Torino, 1935
N. Cortese, Corso di storia per licei ed istituti magistrali, Firenze, 1942
A. Valori – U. Toschi, L’età contemporanea, Torino, 1927
13. VIOLENZA E PROPRIETA’
Il Simeoni a pag. 307 del suo manuale spiega quale fosse l’obiettivo della violenza dei lavoratori e delle classi subalterne.
Questo grave disagio e malcontento provocò continui e dannosi scioperi di operai, di ferrovieri, e persino di funzionari dello Stato; movimenti che, oltre allo scopo economico, chiaramente miravano alla conquista del potere per instaurare anche fra noi un regime socialista-comunista, simile a quello bolscevico di Russia che la illusione dipingeva come il paradiso dei lavoratori. Le manifestazioni contro la guerra, le violenze contro ufficiali, mutilati e carabinieri, assunsero una forma violenta e talvolta bestiale in veri e propri eccidii, mentre nelle campagne, in odio ai padroni, si lasciavano marcire le messi e le uve raccolte, e le mucche nelle stalle erano abbandonate senza acqua e foraggio e senza essere munte, in una selvaggia esplosione di odio verso la proprietà ed ogni gerarchia sociale e statale, che preparava la rovina per tutti. Nelle ferrovie dominava una così stolta indisciplina, che talora macchinisti e capitreno si rifiutavano di far partire i convogli, se non erano fatti scendere carabinieri o soldati, o staccati carri di armi e munizioni.
Sembra una variante su temi che già si è avuto modo di sottolineare. Qui, però, c’è qualcosa in più: la “selvaggia esplosione di odio verso la proprietà ed ogni gerarchia sociale e statale”. Non vorremmo ripeterci sulle menzogne, però vale proprio la pena: a parte l’insistenza sulle illusioni generate dalla rivoluzione russa, qui si tocca con mano la specificità del fascismo come movimento di classe della borghesia; mettere in discussione la proprietà è il terrore dei grandi latifondisti italiani del primo dopoguerra. Ma uno sciopero per la richiesta di un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro mette in discussione la proprietà? Inoltre la gerarchia statale, usando gli organi preposti all’ordine pubblico, si schierò al fianco del ceto proprietario: il che, riteniamo, generò nelle forze sociali in agitazione un legittimo risentimento il più delle volte affrontato dallo Stato, e poi dai fascisti che facevano il suo gioco, con la violenza più dura.
14. LA COMPOSIZIONE SOCIALE DEL FASCISMO
Il manuale di Simeoni, a pagg. 308 e 310, traccia un profilo sociologico del fascismo, della sua composizione sociale.
La salvezza d’Italia non poteva venire più dalle forze ufficiali dello Stato troppo decadute e impacciate dai loro preconcetti di una falsa libertà, ma da altre forze sane e potenti che, per fortuna della patria, la guerra aveva fatto sorgere nel suo seno. […] In ogni città, all’appello del Duce, sorsero rapidamente, sull’esempio del Fascio primigenio, altri Fasci (e fra i primi quello di Trieste per lottare contro un doppio nemico: il comunismo e lo slavismo associati) composti di uomini di ogni partito, aventi in comune la fede nella patria. Erano veterani delle trincee che non volevano tradita la vittoria così duramente guadagnata, erano giovanissimi che avevano vissuto nella purezza del culto della patria l’ansia degli anni di guerra, la gioia sublime della vittoria, e offrivano la loro giovane vita alla salvezza d’Italia.
Insomma, l’autore del manuale manifesta la convinzione che la debolezza della compagine governativa italiana del primo dopoguerra dipendesse dal suo asservimento “ai preconcetti di una falsa libertà”. Strano, però, che in nome di questa libertà quegli uomini politici avessero tramato, di fatto, come già sottolineato, in combutta con Mussolini e D’Annunzio, per portare il Paese alla guerra da cui sarebbero sorte le “forze sane e potenti” in grado di risolvere i problemi del Paese. Inoltre, per essere più incisivo, l’autore avrebbe dovuto insistere su un aspetto sicuramente fondamentale del discorso da lui stesso avviato: i fascisti della prima ora sono soprattutto coloro che al fronte avevano ricoperto incarichi di comando ai quali si erano talmente affezionati da non volerli più abbandonare una volta tornati a vestire gli abiti civili; sono costoro a correre per primi a San Sepolcro, alla fondazione del “Fascio primigenio”. Il brano accenna, oltre al comunismo, ad un altro nemico del fascismo, lo slavismo. Sottolineiamo la cosa in quanto precorritrice di un aspetto della nostra storia, in particolare quella della Resistenza, su cui il revisionismo, nel senso deteriore e politicizzato del termine, sta costruendo parte della sua gloria: le foibe. Come completamento del quadro relativo alla composizione sociale del fascismo si legga il passo seguente tratto da pag. 508 del Valori-Toschi in cui è facile registrare una consonanza pressoché perfetta con quanto asserito nel Simeoni.
Il primo e più urgente compito era intanto di ristabilire l’ordine nel Paese. Dato l’assenteismo del Governo e la decadenza di ogni principio d’autorità, i fascisti dovettero ricorrere alla forza, intervenendo dovunque occorresse e rischiando la vita, uno contro cento, nei comizi socialisti e anarchici, negli scioperi, nelle dimostrazioni antinazionali, facendo dovunque sentire il proprio grido di protesta. Specialmente fra gli ex-combattenti e fra i giovanissimi che non avendo potuto combattere avevano ereditato la passione dei fratelli maggiori e il senso vivo d’italianità, il fascismo conquistò rapidamente nuove reclute, così da poter opporre, in ogni provincia, piccoli ma robusti nuclei ben organizzati e audacissimi alle masse numerose ma pavide delle leghe rosse, corrotte dal verbo bolscevico.
15. IL PATTO DI PACIFICAZIONE
Il manuale di Cognasso a pag. 400 descrive le condizioni in cui fu proposto il patto di pacificazione.
Gli [a Giolitti, n.d.c.] successe il Bonomi, ma di fronte a fascisti e socialisti che combattevano in Parlamento come in tutte le regioni, non seppe adottare altra politica che quella del paciere, come se si potesse avere pace, accordo fra ordine e disordine. Fu tentato in realtà un armistizio tra le due parti, ma i comunisti non vollero aderire ed i socialisti violarono gli impegni e presto la tregua d’armi decadde e di nuovo si ritornò alle aggressioni, agli eccidi da una parte, alle spedizioni punitive dall’altra.
Nel luglio del 1921 Mussolini propose, con il favore del governo Bonomi, un patto di pacificazione che fu accettato dai socialisti riformisti in funzione anticomunista. Quindi è ovvio che i comunisti non vollero aderire così come i popolari non si mostrarono particolarmente entusiasti. Lo scopo del patto era quello di creare un momento di tregua nelle violenze scatenate dai fascisti per consentire a Mussolini un avvicinamento soft all’area di Governo onde estrometterne in modo definitivo Giolitti. Il patto fallì dopo pochi mesi, e per dire le cose come andarono veramente, a causa della ripresa delle violenze degli squadristi che non volevano saperne di rimanere con le mani in mano in attesa di un’evoluzione della situazione politica nel senso sperato dal loro capo il quale si adeguò alla volontà dei suoi.
16. MATTEOTTI E L’AVENTINO
Unico fra i manuali esaminati, il Cognasso a pag. 410 fa un riferimento alla situazione creatasi in Italia dopo le elezioni del 6 aprile del 1924.
Contrasti, opposizioni di liberali, di socialisti, non erano mancati nel 1923; nel 1924 si ebbe la crisi definitiva e liberatrice. L’assassinio del deputato socialista Matteotti avvenuto per opera di elementi fascisti irresponsabili fu preso come pretesto dalle opposizioni parlamentari per tentare di abbattere il Fascismo. I deputati oppositori abbandonarono il Parlamento, proclamandosi essi soli i veri rappresentanti del Paese di contro al governo ed alla maggioranza parlamentare fascista. Contemporaneamente i giornali liberali e socialisti iniziavano un violento attacco contro Mussolini ed il Partito fascista.
Ma questa opposizione formata di elementi eterogenei – dai liberali ai comunisti – non aveva idee, non aveva programma, non aveva uomini che la seguissero. Ed inoltre aveva così poco coraggio che non osò passare dalla scomposta vociferazione all’azione; era la retorica superstite, l’ultima sempre a scomparire. L’Italia non aveva nulla di buono da attendere da questa accozzaglia di teorici, di ambiziosi e di incapaci.
Per ottenere la maggioranza assoluta alla Camera il fascismo promulgò una legge elettorale maggioritaria (approvata il 23 luglio del 1923 come esito della sperimentazione avvenuta nelle elezioni amministrative svoltesi nella primavera e convocate a causa dello scioglimento di diverse amministrazioni locali dopo le violenze delle bande fasciste), detta legge Acerbo dal cognome del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri che la firmò, con la quale veniva abolito il sistema proporzionale (introdotto con le elezioni del 1919) e venivano assegnati nelle elezioni politiche due terzi dei seggi della Camera alla lista di maggioranza relativa. Il quorum per l’assegnazione del premio di maggioranza fu fissato al 25% dei voti. Con tale sistema si svolsero le elezioni del 6 aprile del 1924 contro il cui esito, prevedibilmente favorevole ai fascisti (64,9% dei voti con 356 deputati contro il 35,1% delle opposizioni che ottennero 161 deputati), non soltanto grazie alla legge studiata appositamente ma anche alle violenze messe in atto durante la campagna elettorale e nel corso delle stesse operazioni di voto, si alzò la denuncia del deputato e segretario del Partito socialista unitario Giacomo Matteotti che, per questo, fu sequestrato e assassinato da sicari fascisti. In segno di protesta, i deputati delle opposizioni al fascismo, ad esclusione dei comunisti che ritenevano più valida un’opposizione diretta nell’aula del Parlamento e nelle piazze, abbandonarono il Parlamento (Aventino). A conclusione della crisi aperta dal delitto Matteotti e dalla secessione aventiniana, dopo essersi assicurato l’appoggio della monarchia, Mussolini si presentò in Parlamento il 3 gennaio del 1925 rivendicando la responsabilità di quanto accaduto e lasciando chiaramente intendere che il futuro sarebbe stato caratterizzato dalla soppressione delle libertà costituzionali e dall’instaurazione di una dittatura. Si evince che lo storico autore del manuale fosse a scarsa conoscenza dei discorsi del suo Duce, ossia dei documenti; il che per uno storico è veramente molto grave. Per una comparazione si legga quanto scrive sull’argomento il Rodolico a pag. 336 del suo manuale, datato 1959. Va aggiunto l’evidente errore relativo all’istituzione della Milizia che avvenne con regio decreto del 14 gennaio 1923 e non in conseguenza dell’Aventino.
L’indignazione nel Paese fu enorme [il riferimento è al periodo successivo all’uccisione di Matteotti, n.d.c.]. Sarebbe stato quello il momento di reagire. Né mancavano nel Parlamento gli oppositori che avrebbero potuto raccogliere forze e dominare la situazione. Preferirono appartarsi in segno di protesta. Fu atto di debolezza, che privò il capo dello Stato della forza morale e politica che avrebbe sorretto ogni sua azione in quel momento. E fu così dato tempo e modo a Mussolini e ai più audaci del suo partito di superare la crisi, di riprendere il dominio della situazione politica, di stroncare l’opposizione, e di affermare il regime dittatoriale. Furono allora sciolti tutti i partiti ad eccezione del fascista, fu introdotta la pena di morte, fu istituito un tribunale speciale. Il Parlamento restò in vita, ma era composto da deputati designati dal Gran Consiglio fascista, che divenne il supremo organo dello Stato, strumento anch’esso del Duce. Fu allora formata una Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, corpo armato al servizio del partito, e del Duce.