Premessa: il seguente articolo contiene spoiler (ovvero svela elementi del finale) dell’opera in questione, pertanto se non avete letto/visto il capolavoro di Hajime Isayama è sconsigliato proseguire.
L’attacco dei giganti, conosciuto nel mondo col nome giapponese Shingeki no Kyojin o inglese Attack on Titan (in breve AOT) è un manga/anime, ovvero una produzione sia di fumetto che, poi, di animazione giapponese, di enorme successo negli ultimi anni. La storia narrata ha elementi fantastici, attraverso i quali, tuttavia, l’autore conduce una profonda riflessione sulla guerra e la segregazione razziale, sui traumi infantili, sul nazionalismo e sul militarismo, sulla curiosità, la libertà, l’amore, l’amicizia e in generale la psiche umana. Raccontiamone in breve alcuni snodi che saranno necessari alla riflessione che in questa sede vogliamo proporre, iniziando col contesto generale.
Trama
La storia si svolge in un mondo ipotetico nel quale, da circa un secolo, l’umanità si è chiusa dentro 3 enormi cinte concentriche di mura (chiamate in ordine, dalla più esterna, Maria, Rose e Sina) per scappare da giganti mangia-uomini, e si è organizzata in una divisione di 3 classi, ognuna abitante di una delle cinte di mura (dalla più esterna: produttori, mercanti e nobili) e si è dotata di corpi militari con diverse funzioni, che sono il cuore pulsante del genere umano. Tali branche militari sono: il Corpo di Ricerca, che esce dalle mura e va nel territorio dei giganti con l’obiettivo di scoprire il mondo esterno; il Corpo di Guarnigione, che si occupa di rafforzare le mura e di difenderle in caso di attacchi dei giganti; il Corpo di Gendarmeria, che funge da polizia e protegge il re. Di particolare interesse, e centrale nella trama, è il Corpo di Ricerca, che incarna la curiosità umana (scientifica, ma anche filosofica) ed anche il più genuino spirito di fratellanza umana e solidarietà (costoro sono infatti disposti a farsi mangiare vivi dai giganti, pur di contribuire a scoprire il segreto di questi ed a rendere libero il genere umano); il loro motto, Shinzo wo Sasageyo!, ovvero Offrite i vostri cuori! (implicito: per la difesa del genere umano), incarna perfettamente tale obiettivo. In questo contesto conosciamo il protagonista, Eren Jaeger, un bambino che vive nel distretto di Shiganshina, nel punto più esterno delle mura, assieme ai suoi amici Mikasa Ackerman ed Armin Arlert. La vita dei bambini in questione viene sconvolta da un attacco (il primo nel secolo di esistenza delle mura) di un gigante colossale, alto 60 metri, che rompe la prima cinta di mura e permette agli altri giganti (che sono alti al massimo 15 metri) di entrare nella città. Eren vede, impotente, la sua città distrutta e sua madre divorata da un gigante, e questo evento segnerà per sempre la sua psiche.
Da qui la storia si sviluppa con molteplici colpi di scena che spingono avanti lo spettatore nell’estrema curiosità di sapere cosa siano i giganti e come siano emersi, sentendosi in prima persona tra le fila del Corpo di Ricerca: la scoperta di Eren, cresciuto ed entrato nell’esercito, di potersi trasformare in gigante; la scoperta, poi, di non essere il solo a poterlo fare, ma che altri tra i suoi compagni nell’esercito hanno questa capacità (ma sono traditori del genere umano, e sono proprio coloro che hanno attaccato le mura anni prima, incluso il gigante colossale); il sovvertimento del vecchio regime monarchico e l’instaurazione di una nuova monarchia (dove pare avere più spazio il ruolo dei mercanti); la riconquista, infine, dei territori interni alle mura che erano stati persi con l’attacco del gigante colossale. Le prime tre stagioni dell’anime (su 4) raccontano proprio le vicende di questo Corpo, che riesce alla fine a scoprire il segreto dei giganti ed a liberare il territorio fuori dalle mura da essi. La storia, nel suo sviluppo, si fa sempre più corale, fino a coinvolgere decine di personaggi, tutti ben caratterizzati e con precisi significati simbolici nell’anime (abitualmente rappresentati già nei loro nomi). Il segreto dei giganti (inclusi quelli detti “puri”, incapaci di ragione e che puntano unicamente a mangiare le persone) si rivela essere il fatto che essi sono in realtà umani trasformati, parte di una specifica etnia (eldiana, che è anche quella degli abitanti delle mura) che possiede questa facoltà; di questi, alcuni, come Eren e altri dell’esercito di cui abbiamo già parlato (devono essere 9 in contemporanea i “mutaforma”), possono scegliere quando trasformarsi, mentre altri rimangono sempre giganti “puri” una volta trasformati. L’odio feroce che lo spettatore, assieme ai protagonisti, ha provato sin dall’inizio per questi mostri, diviene allora sgomento nello scoprire che anche i giganti sono vittime, e poi paura nell’apprendere che tali vittime sono trasformate per mano di altri esseri umani. L’umanità fuori dalle mura non si è mai estinta, infatti, ma anzi è più evoluta tecnologicamente di quella all’interno (confinata su un’isola di nome Paradis, dove si trovano appunto le mura e poi i giganti all’esterno), e divisa in nazioni. La popolazione eldiana di ogni paese è rinchiusa in ghetti, con fasce identificative al braccio e priva di diritti basilari, in un contesto che ricorda per alcuni aspetti l’Europa della Belle Epoque, per altri i regimi fascisti dello scorso secolo. È da uno di questi paesi (quello imperialista più forte ed aggressivo, Marley, apparentemente il solo che oltre a ghettizzarli usa i bambini eldiani come giganti per scopi militari) che sono venuti i ragazzi che hanno tradito Eren ed il Corpo di Ricerca, e che siamo stati portati ad odiare.
Dopo questo crescendo narrativo, la quarta stagione dell’anime si apre con un episodio chiamato “Al di là del mare”, dove inizia il racconto dell’altro punto di vista. In poco tempo la narrazione delle vicende degli eldiani fuori dalle mura ci mostra come nelle prime tre stagioni noi, esattamente come il Corpo di Ricerca, siamo stati preda della propaganda nazionalista e distorta di una delle parti in causa, ovvero quella degli eldiani di Paradis, incapaci di uscire fuori dall’eterno ciclo di odio etnico e nazionalista che da millenni devasta l’universo di AOT. Si compie qui uno dei capolavori narrativi dell’autore, che, facendoci improvvisamente uscire da quella narrazione distorta, per la quale siamo stati portati a sostenere anche l’estremo militarismo del popolo dentro le mura, svela davanti a noi l’insensatezza della guerra. La presa di coscienza dello spettatore avviene in parallelo anche in molti dei personaggi che abbiamo imparato ad amare, ma non in Eren, e su di lui è ora il caso di concentrarsi.
Il personaggio di Eren è fondamentalmente caratterizzato da un odio fanatico per i giganti e da una sete insaziabile di libertà, da lui identificata nella possibilità, sterminati i giganti, di vivere fuori dalle mura esplorando la natura incontaminata che egli ritiene fin dal primo episodio sia l’unica cosa presente fuori. Questo personaggio, durante la narrazione, cresce e diventa potente (scopre, come abbiamo detto, di avere il potere di un gigante), ma non si libera mai del suo odio fanatico per i giganti, che estende poi, avendo scoperto la presenza di altre nazioni, a tutti i popoli della terra. In un impulso volontaristico del tutto irrazionale, infine, giunge a desiderare il mondo esterno proprio come l’aveva immaginato da bambino, ovvero come composto di bellezze naturali incontaminate, arrivando, pur di vedere questo risultato, a sterminare l’80% della popolazione mondiale tramite l’acquisizione del potere del “Gigante Fondatore”.
Il finale dell’opera è stato tremendamente discusso, in particolare relativamente alla mancata chiusura di alcuni elementi della trama da parte di Isayama e di un intricatissimo dialogo che, nella versione manga (rivisto in quella anime), avviene tra Eren ed il suo amico d’infanzia Armin. Questi elementi potranno risultare maggiormente chiariti dal discorso che abbiamo qui intenzione di svolgere.
Dio, ovvero il Gigante Fondatore
Ora che abbiamo brevemente esposto lo sviluppo generale della trama di quest’opera (tagliando con l’accetta, senza dubbio, ma per spiegare bene tutto non basterebbero 5 articoli), per chiarire quale sia l’argomentazione che vogliamo qui proporre partiamo da un elemento. Abbiamo dato a questo articolo un titolo che potrebbe risultare poco chiaro a chi non è particolarmente interno all’ambiente manga/anime, ma che, una volta chiarito, rende più evidente l’obiettivo del nostro discorso: “aver letto il manga” è una dicitura in gergo che viene spesso usata per indicare qualcuno, anche un personaggio di un anime, che si comporta come se già sapesse dove la narrazione andrà a finire (ovvero che si comporta come se avesse letto il manga, le cui pubblicazioni solitamente sono più avanti nella storia rispetto agli episodi dell’anime). Eren, in particolare nella quarta stagione, sembra comportarsi proprio in questo modo, ed alla fine della stagione ce lo conferma platealmente. È qui il nodo del tutto.
Soffermiamoci sul momento in cui, come abbiamo detto, Eren diviene il “Gigante Fondatore”, acquisendo incredibili capacità, ed in particolare proprio su quel discusso dibattito tra Armin ed Eren, in conclusione alla storia, a cui accennavamo: “Armin, la mia testa è diventata un completo disastro. Uno degli effetti del potere del Gigante Fondatore è che non c'è «passato» o «futuro». Esiste tutto simultaneamente.” [1]; questo afferma Eren per spiegare come si sente, dicendo poi che per questo è stato lui stesso a spingere il gigante a mangiare sua madre (ovvero l’evento che tanti anni prima aveva dato origine alle vicende narrate) dato che sapeva che gli eventi sarebbero dovuti andare in quel modo. Il giovane sostiene inoltre di essere “schiavo della libertà”, incapace di vedere un futuro diverso rispetto a quello in cui avrebbe sterminato 4/5 della popolazione mondiale. Un dialogo straziante, dissonante e profondamente chiarificatore, ma che tira in campo elementi filosoficamente molto significativi, che nell’opera non vengono svolti e rimangono spesso sottintesi, anche se a nostro avviso con grande consapevolezza da parte dell’autore.
Per far emergere il non-detto relativo a tali elementi, usciamo ora momentaneamente da quest’opera giapponese. Il tema della libertà e della necessità, della relazione fato-provvidenza e dell’extra-temporalità (o a-temporalità) di un ente è stato lungamente discusso nella storia del pensiero, ed in particolare nella filosofia medievale cristiana. Guardiamo allora alla storia della filosofia, e vediamo se ciò ci aiuterà anche a risolvere gli elementi che hanno fatto discutere e spesso reso incomprensibile il finale di AOT.
Iniziamo notando che Eren, durante tutta la narrazione dell’opera, compie una serie di passaggi e scelte che lo conducono alla fine a diventare il Gigante Fondatore, ed a prendere atto, così egli sostiene nel dialogo con Armin che abbiamo citato, della necessità di quanto avvenuto (al punto, abbiamo visto, di causare egli stesso la morte di sua madre, al fine di produrre la catena causale di eventi che lo avrebbe portato dove si trova). Emerge qui una relazione tra il muoversi degli elementi storici (che possiamo intendere, nel loro moto caotico, come fato), e il senso generale (necessario, secondo Eren) di tali elementi in vista della semplicità del loro fine (quella che possiamo chiamare provvidenza). Afferma a riguardo Severino Boezio, allorché nel suo De Consolatio Philosophie espone la relazione fato-provvidenza: “[…] e fato e provvidenza appariranno facilmente diversi a chi osservi con perspicacia la loro rispettiva natura. Provvidenza è quella ragione divina, la quale, intrinseca nel sommo principio delle cose, tutte le governa; Fato poi è quell’ordine inerente alle cose mutevoli, per mezzo del quale la Provvidenza lega le creature con leggi a loro adatte. La Provvidenza abbraccia parimenti tutte le cose, sebbene diverse, sebbene infinite; il Fato le distribuisce nel moto, nel luogo, nella forma e nel tempo a loro destinati. Così, lo svolgimento dell’ordine temporale, raccolto dinanzi alla mente divina, è Provvidenza; e il medesimo, disposto nella successione del tempo, appellasi Fato.” [2]. È in questa condizione provvidenziale che si trova Eren nel finale dell’opera, riteniamo, essendo arrivato ad essere essenzialmente Dio (la relazione Dio-Diavolo, e correlati profeti, è un altro dei tanti elementi ricorrenti di quest’anime, che si esplica anche nei nomi parlanti come quello di Eren, che vuol dire, sembra, “Uomo Santo” in turco, ma anche “Esaltato” in ebraico). Il protagonista-antagonista dell’opera giunge dunque ad assimilarsi a Dio, rendendosi nei fatti non più un (apparente) produttore della storia, ma guardandone invece lo scorrere complessivo da una posizione a-temporale. Da una posizione di questo tipo, anche la libertà di fare la storia non può che apparire, appunto, illusoria al giovane, che vede davanti a sé la necessità della relazione causale di avvenimenti.
Torniamo anche qui a Boezio, il quale, mostrato come il fato non sia altro che l’apparente casualità degli eventi che invece sono intesi come uno da Dio, provvidenzialmente, prosegue la sua esposizione tentando (dopo un passaggio in cui si adopera, con questi apparecchi teorici, di giustificare l’esistenza del male nell’uomo) di legittimare l’esistenza allo stesso tempo della libertà e della necessità: “[…] ond’è che gli esseri dotati di ragione hanno anche la libertà di volere e disvolere. Affermo tuttavia, non riuscire questa libertà uguale in tutti: attribuisco alle sostanze superne e divine perspicace giudizio e incorrotta volontà, nonché potenza efficace nel raggiungere i propri desideri; riguardo alle anime umane, ritengo necessario che esse siano più libere quanto più si mantengono nella contemplazione della mente divina, e tanto meno, quanto più soggiacciono al corpo, e ancor meno quanto più sono dominate dalle membra terrene; estrema poi reputo la schiavitù di coloro che sono dediti ai vizi, e decaduti dal possesso della ragione.” [3]. Nel mondo di AOT, ritorna spesso l’idea che la schiavitù sia l’ubriachezza di qualcosa, usando, dunque, in un senso maggiormente metaforico l’idea del vizio: Eren, pertanto, ubriaco dell’idea di libertà, e perciò caduto nel vizio, sarebbe proprio in virtù di ciò non libero. La libertà in questo passaggio appare spostarsi da un piano fattuale ad uno concettuale, di trasformazione di sé e non del mondo, con conseguenze teoriche rilevanti, anche se non necessariamente condivisibili.
Ancora Boezio: “Sembrami, replicai, contrastar troppo e repugnare che esistano insieme la prescienza di Dio e il libero arbitrio dell’uomo. Se Dio prevede tutto e non può ingannarsi, è necessario che avvenga ciò ch’egli prevede dover succedere.” [4] A tale passaggio segue una lunga dissertazione su causa ed effetto nella preveggenza e nell’azione, poi sulle facoltà dell’anima e la loro funzione, infine su Dio come conoscitore del mondo immediatamente, con la facoltà dell’Intelletto (sua solo), e come eterno (dove l’eternità è “l’intero e simultaneo possesso di una vita interminabile”); il mondo, invece, non essendo a-temporale ma solo continuo nel tempo senza origine e fine, è perpetuo, ma non eterno. Boezio dice poi: “Ma, se è lecito il paragone dell’umano col divino, come voi vedete le cose del vostro temporaneo presente, così Dio le scorge nel suo eterno [presente, n.d.r.], e perciò questa divina precognizione non muta la natura e la proprietà delle cose; egli vede tutte ugualmente presenti quelle che sono presenti e quelle che avvennero nel passato e che avverranno in futuro, e non confonde i giudizi loro; discerne, con un solo atto della sua mente, tanto quelle che necessariamente, quanto quelle che non necessariamente avverranno. Non altrimenti voi mirate nello stesso tempo un uomo passeggiare in terra e il sole risplendere in cielo, e sebbene vediate contemporaneamente uno e l’altro, pure discernete che questo è costretto da necessità, quello è libero. […] la qual facoltà di comprendere e veder tutto, Dio sortì non dall’evento delle cose future, ma dalla propria semplicità. In tal guisa rimane anche sciolta quella questione da te mossa dianzi, essere indegna cosa, cioè, che le nostre azioni future debbano porgere causa alla prescienza divina. La forza presenziale di questa prescienza, abbracciando colla cognizione tutte le cose, concepisce insieme le loro modificazioni, ma non le lega e non è legata da quelle: rimane così inviolata ai mortali la libertà dell’arbitrio […].” [5]. Tale argomentazione boeziana, relativa a Dio, si applica anche nel contesto di AOT. È in questo modo che Eren può legittimamente, pur conoscendo già ciò che avverrà nel futuro, sostenere, parlando da Gigante Fondatore con i suoi amici, che costoro sono liberi di fermarlo. Il giovane già sa, tuttavia, che non riusciranno nel loro obiettivo, e che scopriranno le sue vere intenzioni soltanto dopo che egli sarà morto.
Si pone qui la chiusura dell’opera, che chiarisce il suo valore pedagogico nella parte conclusiva del brano To you, in 2000…or 20000 years, dove si dice:
“Puoi sentirlo? Lasciando la foresta,
Non importa quante volte perdiamo il cammino
[in quanto] persino sui campi bruciati [crescono] piante e germogli di alberi:
[Queste sono] Le luci e le ombre proprie della civiltà.
[Stando] Nella cavità del grande albero che ha visto ogni cosa
Tu cosa hai imparato?” [6]
Questo testo ci invita a riflettere, dopo aver assistito agli inutili massacri ed alle continue ripetizioni di violenza insensata data da odio nazionalista, al fine di uscire dalla foresta (questa è una delle tante simbologie tipiche di quest’opera, che vuole dire appunto rompere la catena di vendette ed odio, evitando almeno che i bambini di oggi finiscano ad essere i soldati di domani). Ci auguriamo che questo invito non resti inascoltato.
Note:
[1] La trascrizione del dialogo l’abbiamo trovata qui, e, per quanto la fonte non sia autorevole, ci risulta corretta.
[2] Boezio, S. (1921). La consolazione della filosofia. Lanciano: R. Carabba editore, IV, p.121
[3] Boezio, S. (1921). La consolazione della filosofia. Lanciano: R. Carabba editore, V, p.136
[4] Boezio, S. (1921). La consolazione della filosofia. Lanciano: R. Carabba editore, V, p.137
[5] Boezio, S. (1921). La consolazione della filosofia. Lanciano: R. Carabba editore, V, p.152/155
[6] Traduzione di AI con intervento umano, il testo giapponese originale è ritrovabile qui.