Losurdo, Marx e l’umanesimo rivoluzionario

Per Marx ed Engels risulta evidente che quello dei diritti naturali e inalienabili non è lo strumento giusto per guidare il processo di emancipazione. I soggetti portatori dei diritti inalienabili non sono, per i teorici del giusnaturalismo, tutti gli uomini, ma determinati soggetti sociali, ovvero le classi proprietarie.


Losurdo, Marx e l’umanesimo rivoluzionario

L’umanesimo “positivo”, “reale”, “compiuto” negato dalla società borghese, diventa il punto di partenza del programma rivoluzionario del giovane Marx, a partire dai Manoscritti del ’44. La lettura di Althusser, che considera ingenuità ideologiche tali formulazioni, ha il torto, secondo Domenico Losurdo, di scambiare per un “umanesimo edificante” che ignora il conflitto di classe la lotta per il riconoscimento di tutti gli uomini e il rovesciamento delle condizioni in cui “l’uomo è un essere degradato, assoggettato, abbandonato, spregevole” [1]. L’umanesimo di Marx non ha niente a che fare con l’appello morale e filantropico: quindi non è un umanesimo edificante, tipico della borghesia, ma reale “proprio nella misura in cui sa individuare e concretizzare l’universalità in lotte determinate” [2].

È vero, ricorda Losurdo, il filosofo francese “riconosce che ci può essere un «umanesimo rivoluzionario»” [3], ma Althusser non insiste più di tanto su questo aspetto. Del resto, per Althusser, la teoria di Marx “è solo un capitolo di storia del pensiero scientifico”, è considerata un metodo scientifico “che fa tesoro della lezione di Galilei e, prima ancora, dell’Aristotele critico di Platone” [4]. In un certo senso, quindi, il materialismo storico viene stravolto idealisticamente da Althusser: mentre per Marx era la traduzione teorica di un movimento reale, per Althusser quest’ultimo diventa il prodotto della teoria. Il marxismo viene così interpretato dal pensatore francese in chiave prettamente eurocentrica; in questo modo Althusser “si preclude la comprensione delle lotte di classe come lotte per il riconoscimento” quali quelle condotte dai popoli coloniali per emanciparsi dalla schiavitù, quelle dei proletari anch’essi a lungo deumanizzati dall’ideologia dominante e quelle delle donne “impegnate a mettere in discussione, a intaccare o a liquidare la schiavitù domestica cui le sottopone la famiglia patriarcale” [5].

Marx ed Engels, impegnati a decifrare in quegli anni il conflitto politico-sociale, si servono, del paradigma hegeliano del riconoscimento. L’elaborazione teorica e politica di Marx ed Engels, avrebbe come punto di partenza, nell’interpretazione di Losurdo, la dialettica servo-padrone esposta nella Fenomenologia dello spirito di Hegel [6]. L’influenza di quest’opera si può ravvisare nei Manoscritti economico-filosofici del ’44 dove in più parti si sottolinea il mancato riconoscimento dell’operaio salariato nella società borghese capitalistica, ma anche nello stesso Manifesto, quando gli autori contestano alla borghesia la prerogativa della difesa della dignità della persona, in quanto per persona la borghesia non intende “altro che il borghese, il proprietario borghese” [7]. Per Marx ed Engels, infatti, i paradigmi filosofici utilizzati dalla classe dominante, come quello del contratto, sono piuttosto inutilizzabili per la lotta di emancipazione della classe operaia. Se tale paradigma poteva essere utile alla classe dominante per rivendicare un aspetto della libertà individuale, non lo è per la classe operaia, anzi esso si rivela uno strumento della classe dominante per soffocare qualsiasi rivendicazione delle classi subalterne. Scrive Losurdo: “Alla rivendicazione popolare del diritto alla vita e a una vita umanamente dignitosa, le classi dominanti replicano: per basso che possa essere il livello dei salari, esso è pur sempre espressione di un contratto liberamente pattuito; quanto ai disoccupati e agli invalidi, nessun contratto impone di fornire loro assistenza, e il pretenderla o invocarla è un atteggiamento da schiavo (che si attende la sussistenza dal suo padrone), non da uomo libero, che sa sussumersi la responsabilità della sua libera scelta e delle sue conseguenze” [8].

Losurdo ricorda come Engels nel 1845 “riferisce con quale argomento in Inghilterra il giudice di pace, che è un borghese”, raccomanda all’operaio la rassegnazione e l’obbedienza: “Voi eravate libero di decidere, non dovevate accettare quel contratto se non ne avevate voglia; ma ora che siete spontaneamente assoggettato a quel contratto, dovete rispettarlo” [9]. Anche Marx ne Il capitale critica il paradigma del contratto: “L’operaio isolato, l’operaio come «libero» venditore della propria forza-lavoro, soccombe senza resistenza quando la produzione capitalistica ha raggiunto un certo grado di maturità” [10]. D’altra parte sarebbe necessario aggiungere che la critica di Marx si rivolge al contratto individuale e non al contratto di categoria o collettivo, tant’è che i marxisti si sono sempre battuti per universalizzare il contratto e non per eliminarlo. Omettendo questo aspetto la posizione di Losurdo corre il rischio di cadere nella stessa unilateralità che a ragione rimprovera alla critica di Della Volpe alla libertà negativa borghese. Allo stesso modo, infatti, per quanto il contratto di lavoro della società capitalistica sia funzionale allo sfruttamento della forza lavoro, esso al contempo non solo rappresenta un enorme sviluppo rispetto alle forme di lavoro servili o schiavistiche, ma fino a che ci sarà la società capitalista sarà indispensabile battersi non per la sua negazione semplice, ma per la sua universalizzazione.

D’altra parte l’appello al contratto e al libero mercato del lavoro serve altresì a borghesi e liberali per giustificare la schiavitù e a vietare le organizzazioni sindacali, quindi in generale a contrastare le lotte delle classi subalterne e a giustificare lo status quo. Il punto è che non tutto può essere oggetto di contrattazione, lo stesso Kant sottolinea come “«la personalità non è alienabile» e dunque è inammissibile un rapporto sociale in base al quale il servo «è cosa, non persona (est res, non persona)»” [11]. Non può essere, quindi, oggetto di contratto un rapporto sociale che degrada l’umanità; l’insistenza su questo argomento porta al passaggio dal paradigma contrattualistico a quello giusnaturalistico.

Anche il paradigma giusnaturalistico si rivela, però, insufficiente a stimolare le lotte emancipatrici; sia nella Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti del 1776, sia nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino in Francia del 1789 ci si appella ai diritti inalienabili degli uomini creati uguali, ma la schiavitù negli USA e nelle colonie francesi non viene messa in discussione. Se i neri non sono inclusi tra i titolari dei diritti naturali, stessa cosa avviene per le donne escluse dai diritti politici, anche nella costituzione giacobina del 1793. Per Marx ed Engels risulta evidente che quello dei diritti naturali e inalienabili non è lo strumento giusto per guidare il processo di emancipazione. I soggetti portatori dei diritti inalienabili non sono, per i teorici del giusnaturalismo, tutti gli uomini, ma determinati soggetti sociali, ovvero le classi proprietarie. Tant’è che il diritto maggiormente preso in considerazione da costoro e la cui violazione è considerata una violenza intollerabile è il diritto di proprietà. Losurdo cita, a tale proposito, un brano da La questione ebraica: “«l’applicazione pratica del diritto dell’uomo alla libertà è il diritto dell’uomo alla proprietà privata» e questa a sua volta è «il diritto dell’uomo» a godere del «proprio patrimonio» e di disporre di esso «senza riguardo agli altri uomini»” [12].

Note:

[1] Losurdo, Domenico, La lotta di classe. Una storia politica e filosofica, Laterza, Bari 2013, p. 86.

[2] Ivi, p. 87.

[3] Id., Come nacque e morì il “marxismo occidentale”, in a cura di Cingoli, M., e Morfino, V., Aspetti del pensiero di Marx e delle interpretazioni successive, Edizioni Unicopli, Milano 2011, pp. 395-418, p. 402.

[4] Ivi, pp. 402-03.

[5] Id., La lotta, op. cit., p. 91.

[6] Losurdo, dovendo contrastare la tendenza a lungo dominante nel marxismo italiano di non tener conto del fondamento hegeliano della filosofia di Marx, corre talvolta il rischio di non fare emergere adeguatamente la specificità del marxismo, quale superamento dialettico dell’idealismo tedesco. Inoltre, l’insistenza sul debito di Marx nei confronti di Hegel, porta Losurdo a non considerare adeguatamente gli altri aspetti fondamentali che sono alla base dell’opera di Marx, ossia l’economia politica anglosassone e il socialismo francese.

[7] Marx, Karl, Engels, Friedrich, Opere Complete, Editori Riuniti, Roma 1972-90, vol. VI, p. 501.

[8] Losurdo, D., La lotta, op. cit., p. 92.

[9] Ibidem.

[10] Max, Karl, Il capitale, citato in Losurdo, D., La lotta, op. cit., p. 92.

[11] Losurdo, D., La lotta, op. cit., p. 95.

[12] Ivi, p. 99.

 

15/09/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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