Il pensiero, la vita e l’opera di Pietro Secchia

Nel cinquantenario della morte di Pietro Secchia, il suo pensiero e il suo intento rivoluzionario, ingiustamente schematizzato e caricaturizzato, e la sua emarginazione nel PCI dagli anni ’50, rimangono punti centrali nel dibattito tra i comunisti in Italia e nel mondo.


Il pensiero, la vita e l’opera di Pietro Secchia

Pietro Secchia è stato uno dei più grandi dirigenti comunisti e rivoluzionari italiani ed internazionali. Nato nel 1903 ad Occhieppo Superiore (Biella), da famiglia operaia, frequentò il liceo classico, ma per la povertà della famiglia fu costretto a trovarsi presto un lavoro, come operaio, in un’industria laniera. Giovanissimo, partecipò alle lotte operaie del “biennio rosso” (1919-1920) e alla lotta antifascista. Nel 1921 aderì al PCd’I di Antonio Gramsci e nel 1928 entrò nel suo Comitato Centrale. Arrestato nell’aprile del 1931, fu poi condannato dal Tribunale Speciale del fascismo a 17 anni e 9 mesi di reclusione. Tornato in libertà nel 1943, dopo la caduta del regime mussoliniano, entrò nella Resistenza, divenendone uno dei più importanti, popolari ed amati comandanti partigiani. Già dopo la Liberazione dal nazifascismo, iniziarono ad evidenziarsi alcune differenze di linea politica tra Secchia (e l’importante parte del PCI che ne condivideva il pensiero) e buona parte del gruppo dirigente del PCI: mentre per Secchia doveva continuare lo spirito rivoluzionario della lotta di Liberazione, ai fini di una trasformazione sociale italiana in senso socialista, il gruppo dirigente nazionale del PCI si mostrava più disponibile ad “archiviare” la spinta rivoluzionaria della lotta di Liberazione per avviare sì un cammino di trasformazione sociale, ma “graduale” ed essenzialmente interno alle strutture portanti del sistema.

Nel febbraio del 1948, dopo il VI congresso nazionale del PCI, Pietro Secchia fu eletto, secondo solo a Togliatti, vicesegretario generale del partito. Già eletto, nel 1946, responsabile dell’organizzazione del PCI, portò il partito alla sua massima forza organizzativa storica, giungendo a più di 2 milioni di iscritti. Costruendo, peraltro, quella forma-partito leninista e gramsciana strutturata essenzialmente nelle “cellule” di produzione, nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro e di studio, nei punti alti del conflitto capitale-lavoro

Sotto la direzione di Pietro Secchia, le “cellule” giunsero a 56mila e poiché una “cellula” poteva contare anche su molti operai e lavoratori, il partito “secchiano” divenne un secondo e grande partito, assieme a quello organizzato in sezioni territoriali; un partito, tuttavia, fondato nei punti alti dello scontro diretto col capitale e dunque una vera e propria avanguardia rivoluzionaria organizzata di massa, secondo il pensiero di Lenin e le stesse Tesi di Lione di Antonio Gramsci.

Nel 1954, Secchia viene estromesso da Togliatti e dal gruppo dirigente del PCI, assieme a tutta l’area milanese e lombarda “secchiana”, dal gruppo dirigente del partito. Ciò che va notato è che con la rimozione di Secchia da responsabile dell’organizzazione del PCI, tale organizzazione imbocca la strada dell’abbandono del radicamento rivoluzionario nei luoghi di lavoro e dello scontro capitale-lavoro, una nuova strada organizzativa che porterà pian piano il PCI a disfarsi della struttura organizzativa rivoluzionaria leninista e gramsciana.

Emarginato nel PCI, Secchia continuerà il suo forte impegno internazionalista e antimperialista, divenendo, tra l’altro, importante punto di riferimento delle lotte d’avanguardia del movimento operaio e studentesco del 1968 e punto di riferimento delle più avanzate aree leniniste italiane ed internazionali.

Nel gennaio del 1972 Secchia, stimatissimo nell’intero campo rivoluzionario ed antimperialista internazionale, fu chiamato da Salvador Allende per un comizio a Santiago del Cile a sostegno della rivoluzione cilena. Durante il comizio Secchia denunciò con forza il pericolo di un colpo di stato militare sostenuto dagli USA contro la rivoluzione cilena, chiedendo al popolo cileno di prepararsi alla lotta contro il golpe fascista in arrivo.

Al suo ritorno dal Cile, Secchia fu colpito da una “strana malattia” che, nel luglio del 1973, lo portò alla morte: dopo il suo comizio rivoluzionario in Cile era stato avvelenato dalla CIA.

Ciò che va, peraltro, ricordato è che il pensiero e lo “spirito” di Secchia, nonostante la precoce emarginazione nel PCI, è rimasto in profondità in vaste aree del movimento comunista italiano e ciò spiega anche il perché “l’area secchiana” milanese e lombarda (Alessandro Vaia, Arnaldo Bera, Giuseppe Sacchi e tanti altri dirigenti comunisti emarginati assieme a Secchia negli anni ’50) nella fase della “mutazione genetica” che prese vigorosamente corpo nel PCI dalla seconda metà degli anni ’70 in poi con Enrico Berlinguer, questa “area secchiana” rialzò la testa per condurre una battaglia politica nazionale – anche attraverso la prestigiosa e storica rivista “Interstampa” – contro la stessa “mutazione genetica” del PCI, contro la svolta della Bolognina e contro l’autodissoluzione “occhettiana” del PCI.

La vita e l’opera di Pietro Secchia, il suo intento rivoluzionario (mai riducibile alla caricatura di “estremista armato” che ne fecero malevolmente Miriam Mafai e tanta parte della nuova socialdemocrazia italiana in costruzione, ma sempre diretto, il suo intento rivoluzionario, ad una “forzatura delle compatibilità capitalistiche” volta a tenere aperta la strada della transizione al socialismo) e la sua emarginazione nel PCI dagli anni ’50, rimangono punti centrali nel dibattito tra i comunisti italiani e internazionali.

E di tutto ciò si parlerà al convegno che si terrà a Milano il 30 settembre, organizzato dal Centro Studi Nazionale “Domenico Losurdo”, dal Centro Culturale “Concetto Marchesi” e dalla Cooperativa Editrice Aurora.

22/09/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

Condividi

Tags:

L'Autore

Fosco Giannini

Pin It

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

Newsletter

Iscrivi alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato sulle notizie.

Contattaci: