Segue da: “Lenin: la critica allo spontaneismo”
3) Il revisionismo
Il revisionismo tende ad affermarsi nelle fasi di ripresa del capitalismo, fra due crisi di sovrapproduzione, illudendosi e illudendo che la crisi sarebbe stata ormai definitivamente superata. D’altra parte, come sottolinea Lenin, “la realtà ha mostrato ben presto ai revisionisti che le crisi non avevano fatto il loro tempo: alla prosperità è subentrata la crisi. (...) Tutto questo ha fatto sì che le recenti ‘teorie’ dei revisionisti venissero dimenticate da tutti e, a quanto sembra, persino da molti revisionisti” [1].
D’altra parte, in fasi di crisi acuta del modo capitalistico di produzione, intellettuali piccolo-borghesi e piccoli produttori “vengono inevitabilmente respinti nelle file del proletariato” e tendono, perciò, ad aderire ai partiti proletari, portando inevitabilmente con sé – mette in guardiaLenin – elementi della propria ideologia “dalla quale si liberano con difficoltà e nella quale sempre cadono e ricadono” [2].
Tale ideologia penetra nei partiti proletari producendo una progressiva revisione del marxismo. Perciò, fa notare Lenin: “è quindi assolutamente naturale che le concezioni piccolo-borghesi penetrino di nuovo nelle file dei grandi partiti operai. È assolutamente naturale che così debba avvenire e avvenga” [3]. Non per caso, dunque, come osserva acutamente Lenin: “i revisionisti idealizzano sistematicamente la piccola produzione moderna. (...) La piccola produzione resiste sulle macerie dell’economia naturale mediante l’illimitato peggioramento dell’alimentazione, la carestia cronica, il prolungamento della giornata lavorativa, il peggioramento qualitativo del bestiame e dell’allevamento, in breve, con gli stessi mezzi con cui la produzione artigiana ha resistito alla manifattura capitalistica. Ogni progresso della scienza e della tecnica scalza in modo inevitabile e inesorabile le fondamenta della piccola produzione nella società capitalistica [4].
Ma qual è la causa del revisionismo? Il revisionismo dipende, come sottolinea Lenin, dal sacrificare i lineamenti fondamentali del marxismo alle esigenze quotidiane della lotta. Come osserva a tal proposito Lenin: “determinare la propria linea di condotta caso per caso; adattarsi ai fatti del giorno e alle svolte dei piccoli fatti politici; dimenticare gli interessi fondamentali del proletariato e i tratti essenziali di tutto il regime capitalistico, di tutta l’evoluzione del capitalismo; sacrificare questi interessi fondamentali ai reali o presunti vantaggi del momento: ecco la politica revisionista” [5]. Ma qual è il fondamento di tale politica revisionista? Il partito proletario, denuncia Lenin, “deve trasformarsi da partito di rivoluzione sociale in partito democratico di riforme sociali” [6], secondo una concezione elaborata daBernstein agli albori del XX secolo, ma dominante in Italia da circa mezzo secolo sino agli attuali epigoni che applicano “riforme” dettate dalla Banca Centrale Europea o dal Fondo monetario internazionale.
Quali sono le basi ideologiche del revisionismo? Il socialismo utopista, ovvero, per dirla con Lenin: “il socialismo premarxista è sconfitto. Esso prosegue la lotta non più sul suo terreno, ma sul terreno generale del marxismo, come revisionismo” [7]. Quali sono i principi ideologici del revisionismo? Il revisionismo tende, a parere di Lenin, a procedere al rimorchio delle mode della filosofia borghese, dal neokantismo, all’evoluzionismo. Anzitutto, sostiene Lenin, la sostituzione della base strutturale del marxismo con un presunto “orientamento ‘idealistico superiore’”, ovvero “una mitologia moderna con tutte le sue idee della giustizia e della libertà, dell’uguaglianza e della fraternité” [8]. I nuovi sacerdoti di tale mitologia ripropongono vecchi arnesi del revisionismo neokantiano [9], trattano – denuncia Lenin – “Hegel come un ‘cane morto’ e, predicando essi stessi l’idealismo, ma un idealismo mille volte più meschino e triviale di quello hegeliano, stringono le spalle con disprezzo davanti alla dialettica” [10]. In tal modo, denuncia Lenin, “i revisionisti strisciano” sulle orme dei neokantiani “nel pantano dell’involgarimento filosofico della scienza”, pretendendo di sostituire “la ‘semplice’ (e pacifica) ‘evoluzione’” alla “dialettica ‘sottile’ (e rivoluzionaria)” [11], arrivando ai giorni nostri a condannare l’intero novecento per il suo portato di rotture rivoluzionarie.
Il revisionismo, abbandonando il materialismo storico, ciancia di una “democrazia pura” senza determinazione di classe e si illude della neutralità dello Stato, non più strumento di dominio di una classe sulle altre [12]. Il Revisionismo ha la sua origine, quindi, proprio nella tendenza a eludere la questione dello Stato. Per dirla con Lenin: “si può dire in generale che la tendenza a eludere il problema dell’atteggiamento della rivoluzione proletaria verso lo Stato, tendenza vantaggiosa per l’opportunismo ch’essa alimentava, ha portato al travisamento del marxismo e alla sua completa degradazione” [13]. Muovendo dalla concezione idealista di una presunta neutralità dello Stato, fa notare a ragione Lenin, non si può che essere favorevoli ad un’alleanza con la frazione “progressista” della borghesia in nome dell’attuazione di “riforme sociali, contro i reazionari” [14]. Se il fine del Partito diviene la realizzazione delle riforme, un comunista “non soltanto ha il diritto di entrare in un ministero borghese, ma deve sempre sforzarsi di entrarvi” [15]. Se la democrazia borghese non è una forma del dominio di classe, “perché un ministro socialista non dovrebbe affascinare tutto il mondo con discorsi sulla collaborazione di classe?” [16].
Ma cosa ottiene un comunista o sedicente tale da tale revisionismo che perverte la coscienza rivoluzionaria delle masse, unico fondamento che possa consentirgli di superare lo sfruttamento? Cosa ricava da tale “abisso di ignominia e di autodenigrazione del socialismo davanti al mondo”? [17]. Un programma “di riforme miserabili, così miserabili che si è potuto ottenere di più dai governi borghesi!” [18], scambiato oggi per un avanzato compromesso sociale per quanto tradito nella sua realizzazione. In tal modo i “comunisti” abdicano al compito storico di far maturare la coscienza di classe nelle masse, smascherando la democrazia borghese come forma di governo in cui “le differenze economiche non si attenuano, ma si accentuano e inaspriscono” [19]. La democrazia borghese, infatti, “non distrugge l’oppressione di classe, ma rende solo più pura, più ampia, più aperta e più energica la lotta di classe” [20]; proprio ciò di cui hanno bisogno i comunisti per mostrare la necessità della transizione al socialismo. La funzione storica progressiva del parlamentarismo per un marxista, per cui i comunisti sono in prima fila nella lotta per la sua salvaguardia di fronte alla reazione, risiede nel favorire la necessità di svelare “l’essenza delle repubbliche borghesi più democratiche come organi dell’oppressione di classe” [21].
Ma qual è oggi la principale preoccupazione delle forze “comuniste” in un governo borghese, che non solo non realizza le misere riforme sbandierate, ma porta avanti costanti attacchi ai diritti dei lavoratori? L’esatto contrario di quella che Lenin indica quale tattica principale di un partito operaio in un parlamento borghese: favorire l’unificazione del centro-destra con il centro-sinistra, ovvero la composizione delle due frazioni del partito borghese: “quanto più presto si uniranno tanto meglio sarà per il nostro movimento” [22]. Al punto che Lenin afferma: “anche se perdessimo tutti i seggi in parlamento ma difendessimo i nostri principi, trarremo più vantaggi che non dagli sforzi di lisciare il governo liberale per ottenere da esso concessioni!” [23]. Altrimenti i lavoratori egemonizzati dai partiti di centro-destra non potranno cogliere la differenza fra partito proletario e sinistra borghese.
Note:
[1] V. I. Lenin, Marxismo e revisionismo [aprile 1908], in Id., Contro l’opportunismo di destra e di sinistra e contro il trotskismo, Edizioni progress, Mosca 1978, p. 94. Lenin conclude questa considerazione con un significativo monito nei riguardi delle tendenze revisioniste degli intellettuali tradizionali: “l’importante è non dimenticare gli insegnamenti che questa instabilità propria degli intellettuali ha dato alla classe operaia”. Ibidem.
[2] Id., Il riformismo nella socialdemocrazia russa [settembre 1911], op. cit., p. 147.
[3] Id., Marxismo e revisionismo [aprile 1908], in op. cit. p. 97.
[4] Ivi, p. 93. Lenin prosegue sostenendo che “l’economia politica socialista ha il compito di analizzare questo processo in tutte le sue forme, spesso intricate e confuse, ha il compito di dimostrare al piccolo produttore che gli è impossibile resistere in regime capitalistico, che l’economia contadina non ha sbocchi in questo regime e che il contadino deve porsi di necessità sulle posizioni del proletario”. Ibidem.
[5] Ivi, p. 96.
[6] Id., Che fare? [febbraio 1902], in op. cit., p. 6.
[7] Id., Marxismo e revisionismo [aprile 1908], in op. cit. p. 91.
[8] Id., Prefazione all’edizione russa del “Carteggio di J. Ph. Becker, J. Dietzgen, F. Engels, K. Marx e altri con F. A. Sorge e altri” [aprile 1907], in op. cit., p. 68. Volendo aggiornare il catalogo fornito da Lenin si potrebbe aggiungere: i diritti di cittadinanza, i beni comuni, le organizzazioni sopranazionali, le O.N.G., le corti di giustizia “internazionali” e i contingenti militari di “pace”.
[9] “Nel campo della filosofia – fa notare a questo proposito Lenin – il revisionismo si è messo a rimorchio della ‘scienza’ professorale borghese. I professori ‘ritornano a Kant’, e il revisionismo si trascina sulle orme dei neokantiani”. Id., Marxismo e revisionismo [aprile 1908], in op. cit. p. 91.
[10] ibidem.
[11] Ibidem. Lenin prosegue, dimostrando quanto ai giorni nostri il revisionismo sia penetrato anche in formazioni che si ritengono rivoluzionarie: “i professori si guadagnano i loro stipendi adattando i sistemi idealistici e ‘critici’ alla ‘filosofia’ medievale dominante (cioè alla teologia), e i revisionisti li seguono sforzandosi di fare della religione un ‘fatto privato’, non già nei confronti dello Stato moderno, ma nei confronti del partito della classe d’avanguardia” ibidem.
[12] Il revisionismo perciò tende a considerare in democrazia, ovvero nel regime liberal-democratico borghese, lo Stato neutrale e la borghesia “progressista” un naturale alleato indispensabile a contrastare il blocco della reazione. Perciò, sostiene il revisionismo, “in regime di democrazia, dove domina la ‘volontà della maggioranza’, non si può considerare lo Stato come un organo del dominio di classe e non ci si può più sottrarre all’alleanza con la borghesia progressista, propugnatrice di riforme sociali, contro i reazionari”. Ivi pp. 94-95.
[13] Id., Stato e rivoluzione [agosto-settembre 1917], in op. cit., p. 315.
[14] Id., Marxismo e revisionismo [aprile 1908], in op. cit. pp. 94-95.
[15] Id., Che fare? [febbraio 1902], in op. cit., p. 7.
[16] Ibidem.
[17] Ibidem.
[18] Ivi: pp. 7-8.
[19] Id., Marxismo e revisionismo [aprile 1908], in op. cit. p. 95.
[20] Id., Intorno a una caricatura del marxismo e all’economismo imperialistico [agosto-ottobre 1916], in op. cit., p. 281.
[21] Id., Marxismo e revisionismo [aprile 1908], in op. cit. p. 95.
[22] Id., Discussioni in Inghilterra sulla politica operaia liberale [ottobre 1912], in op. cit., p. 171.
[23] Ibidem.