Lenin vs il socialsciovinismo

Il social-sciovinismo è, agli occhi di Lenin, la forma più compiuta dell’opportunismo.


Lenin vs il socialsciovinismo Credits: http://www.resistere.net/2015/02/02/lavvenire-appartiene-dappertutto-al-bolscevismo/

Negli anni fra il 1871 e il 1914 la mancanza di guerre in Occidente e lo sviluppo monopolistico del capitale, mediante le conquiste imperialiste, hanno creato, come osserva a ragione Lenin, “condizioni di vita relativamente sopportabili per l’aristocrazia operaia, cioè per una minoranza di operai qualificati e ben pagati”. [1] Mediante i sovraprofitti imperialisti gli Stati a capitalismo avanzato hanno utilizzato i propri istituti pubblici e privati – i mezzi di comunicazione, le istituzioni politiche, le fondazioni e le università – per creare, denuncia Lenin, “per gli impiegati e gli operai riformisti e patriottici, rispettosi e sottomessi, elemosine e privilegi politici corrispondenti alle elemosine e ai privilegi economici. Posticini redditizi e tranquilli in un ministero e nel comitato dell’industria di guerra, nel parlamento e nelle varie commissioni, nelle redazioni di ‘solidi’ giornali legali o nelle amministrazioni di sindacati operai non meno solidi e ‘obbedienti alla borghesia’”. [2]

 Questi sono gli strumenti con cui gli Stati imperialisti corrompono e premiano i quadri delle organizzazioni operaie sottoposti alla loro egemonia. Ciò ha favorito la diffusione in tali ambienti di una mentalità corporativa, “gretta, egoista, insensibile, interessata, piccolo-borghese, (…) asservita e corrotta dall’imperialismo”. [3] Tali strati privilegiati della burocrazia operaia si distaccano progressivamente dalla restante parte degli sfruttati e si legano a settori piccolo-borghesi subendo il fascino dell’ideologia liberale. I membri dell’aristocrazia operaia tendono a sviluppare posizioni socialscioviniste, ovvero a essere “socialisti a parole e degli sciovinisti nei fatti, che aiutano la ‘loro’ borghesia a spogliare i paesi altrui e ad asservire le altre nazioni”. [4] Il fondamento di tale posizione è la difesa della propria nazione anche quando tende a dominarne altre. Tale concezione ha il medesimo fondamento dell’opportunismo: “l’alleanza di un debole strato di operai privilegiati con la ‘sua’ borghesia nazionale contro le masse della classe operaia”. [5] Anzi, il socialsciovinismo è, agli occhi di Lenin, la forma più compiuta dell’opportunismo. Al punto che Lenin afferma: “le radici di classe del socialsciovinismo e dell’opportunismo sono identiche: l’alleanza di un debole strato di operai privilegiati con la ‘sua’ borghesia nazionale contro le masse della classe operaia, alleanza dei lacchè della borghesia con quest’ultima contro la classe che essa sfrutta”. [6]

 Al contrario per Lenin un marxista deve considerare il nazionalismo – come del resto ogni concetto – nel suo svolgimento storico. Nei paesi coloniali o dominati dall’imperialismo il nazionalismo può avere la stessa funzione progressiva svolta nei paesi occidentali prima del loro sviluppo in senso imperialista. D’altra parte, come sottolinea Lenin, gli Stati da tempo emancipatisi dal punto di vista nazionale si sono trasformati in oppressori, “in nazioni che praticano la rapina imperialistica”. [7] Nei paesi imperialisti, come osserva a ragione Lenin, “la ‘patria’ ha ormai cantato il canto del cigno, ha ormai assolto la sua funzione storica, come dire che il movimento nazionale non può più recare qui niente di progressivo, che elevi a una nuova vita economica e politica nuove masse di uomini”. [8] In detti paesi, dunque, non si tratta più di appoggiare il progresso nazionale contro feudalesimo e barbarie patriarcale, ma di porre la questione della transizione al socialismo. 

 Un discorso analogo può esser fatto a proposito della guerra, per comprendere la natura della quale occorre analizzare la politica che l’ha provocata, essendo la guerra la sua continuazione con altri mezzi. “Se la politica è stata imperialistica, ha difeso cioè gli interessi del capitale finanziario, ha depredato e oppresso le colonie e gli altri paesi, la guerra che scaturisce da una simile politica è imperialistica”. [9] Se al contrario la guerra è stata preceduta da una politica di liberazione nazionale, se “ha espresso cioè il movimento delle masse contro l’oppressione straniera, la guerra che ne deriva è una guerra di liberazione nazionale”. [10] Sebbene anche l’ONU, alla cui autorità ama richiamarsi, giustifichi solo quest’ultimo tipo di guerra, il socialsciovinista non s’interroga sulle ragioni del conflitto, ma si limita a constatare il coinvolgimento del suo paese e si mobilita in sua difesa. I socialsciovinisti sono tali, a parere di Lenin, in quanto difendono gli interessi della loro patria anche quando questa minaccia patrie altrui. “Il manifesto dimostra infatti che essi sono dei socialsciovinisti, cioè dei socialisti a parole, degli sciovinisti nei fatti, che aiutano la ‘loro’ borghesia a spogliare i paesi altrui e ad asservire le altre nazioni. L’essenziale nel concetto di ‘sciovinismo’ è appunto la difesa della ‘propria’ patria, anche quando i suoi atti tendono ad asservire le patrie altrui”. [11] 

 Per altro il socialsciovinismo è il prodotto, in qualche modo necessario, dello sviluppo in senso imperialistico di un paese capitalista, perciò Lenin fa notare: “esiste un legame tra l’imperialismo e la vittoria mostruosamente ignobile riportata dall’opportunismo (in veste di socialsciovinismo) sul movimento operaio in Europa”. [12] Al contrario, per Lenin, il carattere imperialista di una guerra rende la pretesa di difendere il proprio paese un’ipocrisia, rende un delitto sostenere un conflitto in cui il proletariato dei due fronti si trucida in una contesa fra “grandi pescecane per inghiottire ‘patrie’ altrui”. [13] In una guerra fra briganti per spartirsi un bottino costituito da paesi in via di sviluppo, solo un socialsciovinista può giustificare il proprio sostegno adducendo il coinvolgimento delle masse. In tali casi un comunista non può abdicare ai propri principi lasciandosi travolgere dal contagio generale, ma deve “saper rimanere per un certo tempo in minoranza contro l’intossicazione ‘di massa’”. [14]

 

Per altro, nei paesi occidentali le guerre di liberazione nazionale sono state combattute fra il 1789 e il 1871, epoca “di un capitalismo progressivo, in cui l’abbattimento del feudalesimo e dell’assolutismo, la liberazione dal giogo straniero erano all’ordine del giorno della storia”. [15] Nella fase attuale una tale concezione della guerra sarebbe applicabile solo nel caso “di una guerra contro le grandi potenze imperialistiche”, [16] mentre sarebbe assurdo applicarla a una guerra condotta da una o più potenze imperialiste fra loro o contro un paese in via di sviluppo. Del resto per Lenin è indispensabile stabilire le priorità su basi internazionaliste e non nazionaliste piccolo-borghesi, per cui, per esempio “voler dare immancabilmente, in modo obbligatorio e immediato, al problema di disfarsi della pace di Versailles la precedenza sul problema di emancipare dall’imperialismo gli altri paesi oppressi è nazionalismo piccolo-borghese (degno dei Kautsky, Hilferding, Otto Bauer e soci), non è internazionalismo rivoluzionario”. [17]

 Tuttavia, se la costituzione di partiti operai su posizioni socialscioviniste è tipica dei paesi a capitalismo avanzato, la loro egemonia sui lavoratori è destinata a entrare progressivamente in crisi, poiché la crescente rivalità fra potenze imperialiste e la caduta tendenziale del saggio di profitto diminuiscono la quantità di sovraprofitto imperialista da ridistribuire all’aristocrazia operaia. Inoltre la crescente oppressione del proletariato da parte degli stessi trust e oligarchie finanziarie, che ridistribuiscono parte degli extraprofitti, fa sì che si sviluppi un crescente scollamento fra burocrazie operaie e sindacali (sovvenzionate dai sovraprofitti) e iscritti o elettori ridotti progressivamente in miseria. Tale peggioramento delle condizioni di vita rende sempre più ostico il contenimento, da parte delle burocrazie sindacali, delle lotte sociali condotte spontaneamente dalle masse.

 Perciò, secondo Lenin, non solo il socialsciovismo è stato la causa del venir meno della Seconda internazionale, ma è divenuto un decisivo aspetto di quello spirito di scissione indispensabile per mantenere il proletariato in una prospettiva rivoluzionaria. Perciò, come nota a tale proposito Lenin, “l’unità con i socialsciovinisti è l’unità con la propria borghesia nazionale che sfrutta altre nazioni, è la scissione del proletariato internazionale. Ciò non vuol dire che la rottura con gli opportunisti sia dovunque immediatamente possibile; ciò vuol dire unicamente che, dal punto di vista storico, essa è matura, che essa è necessaria e inevitabile per la lotta rivoluzionaria del proletariato, che col passaggio dal capitalismo ‘pacifico’ al capitalismo imperialistico, la storia ha preparato questa rottura”. [18]

 Del resto, come non si stanca di denunciare Lenin, il nazionalismo borghese procura danni enormi alla causa del proletariato seminando “la corruzione più profonda nell’ambiente operaio”. [19] Non per niente, come mostra Lenin, la piccola borghesia e l’aristocrazia operaia, comprati dai sovraprofitti prodotti dalle politiche imperialiste, divengono sostenitori della creazione di un’Europa imperialista in necessaria contraddizione con la lotta per la reale emancipazione dei paesi del terzo mondo, senza contare che il socialsciovinismo è da annoverare fra le ideologie più corruttrici del movimento operaio. Perciò Lenin sin dall’inizio del XX secolo ha messi in evidenza i pericoli comportati dalla parola d’ordine “degli ‘Stati Uniti d’Europa’ […] e di tutto quello che i kautskiani ipocriti dei diversi paesi cercano di velare, cioè: che gli opportunisti (i socialsciovinisti) collaborano con la borghesia imperialistica proprio nello sforzo che tende a creare un’Europa imperialistica sulle spalle dell’Asia e dell’Africa; che gli opportunisti rappresentano oggettivamente una parte della piccola borghesia e di alcuni strati della classe operaia, comprati con i mezzi del sovraprofitto imperialistico e trasformati in cani da guardia del capitalismo, in corruttori del movimento operaio”. [20]

 Note:

[1] Vladimir I.U. Lenin, Discussioni in Inghilterra sulla politica operaia liberale [ottobre 1912], in Id., Contro l’opportunismo di destra e di sinistra e contro il trotskismo, Edizioni progress, Mosca 1978, pp. 167-68.

[2] Id., L’imperialismo e la scissione del socialismo [ottobre 1916], in Id., op. cit., pp. 296-97.

[3] Id., L’estremismo malattia infantile del comunismo [aprile-maggio 1920], in op. cit., p. 437.

[4] Id., L’opportunismo e il crollo della II Internazionale [gennaio 1916], in op. cit., p. 246.

[5] Ivi, p. 248.

[6] Ibidem.

[7] Id., Intorno a una caricatura del marxismo e all’economismo imperialistico [agosto-ottobre 1916], in op. cit., p. 269.

[8] Ivi, pp. 269-70.

[9] Ivi, pp. 263-64.

[10] Ivi, p. 264.

[11] Id., L’opportunismo e …, in op. cit., p. 246.

[12] Id., L’imperialismo e…, in op. cit., p. 284.

[13] Ibidem.

[14] Id., Lettere sulla tattica [aprile 1917], in op. cit., p. 314.

[15] Id., L’opportunismo e …, in op. cit., p. 245.

[16] Ibidem.

[17] Id., L’estremismo…, in op. cit., p. 463.

[18] Id., L’opportunismo e …, in op. cit., p. 250.

[19] Id., Osservazioni critiche sulla questione nazionale [ottobre-dicembre 1913], in op. cit., p. 182.

[20] Id., L’imperialismo e la…, in op. cit., p. 289.

06/10/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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