Lenin vs i critici della dittatura del proletariato

Le illusioni sul carattere democratico e privo di determinazioni di classe dello Stato borghese sono funzionali all’astratto ripudio del concetto di dittatura del proletariato in nome della difesa della democrazia parlamentare.


Lenin vs i critici della dittatura del proletariato

Come non si stanca di denunciare Lenin, le illusioni sul carattere democratico e privo di determinazioni di classe dello Stato borghese sono funzionali all’astratto ripudio del concetto di dittatura del proletariato in nome della “difesa della democrazia borghese” [1]. A tale proposito Lenin non manca di richiamare Marx che contrappone anche dal punto di vista del suffragio universale la democrazia proletaria a quella borghese: “«Invece di decidere una volta ogni tre o sei anni quale membro della classe dominante dovesse rappresentare e calpestare (ver-und zertreten) il popolo nel parlamento, il suffragio universale doveva servire al popolo costituito in comuni, così come il suffragio individuale serve ad ogni imprenditore privato per cercare gli operai, i sorveglianti, i contabili della sua azienda»” [2]. Lenin, peraltro, considera “ridicolo” l’argomento kautskiano contro la dittatura del proletariato secondo cui la Comune di Parigi sarebbe stata una “democrazia pura” regolata dal suffragio universale. In realtà nei giorni della Comune gli abitanti di Parigi erano divisi fisicamente “in due campi di belligeranti, nell’uno dei quali era concentrata tutta la borghesia militante, politicamente attiva” [3].

Lenin, inoltre mostra, contro la subordinazione di Kautsky all’egemonia della borghesia, come anche le libertà sacre della tradizione liberal-democratica, trovano reale realizzazione, a partire dalla libertà di stampa e di riunione, solo mediante la dittatura del proletariato. Per dirla con Lenin, in effetti, “la libertà di stampa cessa di essere un’ipocrisia, perché le tipografie e la carta vengono tolte alla borghesia. Lo stesso accade con i migliori edifici, palazzi, ville, dimore signorili. Il potere sovietico ha requisito subito agli sfruttatori migliaia di questi edifici e ha reso così un milione di volte più «democratico» il diritto di riunione per le masse, quel diritto di riunione senza il quale la democrazia è un inganno” [4].

I socialpacifisti credono, come denuncia Lenin, che “il concetto di democrazia e quello di dittatura si escludano l’un l’altro”, vedendo in quest’ultima “l’assenza di ogni libertà e di ogni garanzia democratica, l’arbitrio generalizzato, l’abuso generalizzato del potere nell’interesse personale del dittatore” [5]. A ciò Lenin contrappone un significativo esempio: sebbene le rivolte dell’antichità abbiano “messo bruscamente a nudo l’essenza dello Stato antico come dittatura dei proprietari di schiavi”, tale natura dittatoriale non distruggeva affatto “la democrazia tra i proprietari di schiavi, per i proprietari di schiavi” [6]. 

La dittatura non comporta la “soppressione della democrazia per la classe che esercita questa dittatura sulle altre classi”, necessita però la “soppressione (o sostanziale restrizione, che è anch’essa una forma di soppressione) della democrazia per la classe su cui o contro cui la dittatura viene esercitata” [7]. Sino a che vi saranno degli sfruttatori a dominare sulla massa degli sfruttati, lo Stato democratico sarà inevitabilmente una democrazia per gli sfruttatori”; al contrario lo Stato degli sfruttati si costituirà quale “democrazia per gli sfruttati e repressione per gli sfruttatori, e la repressione di una classe implica l’ineguaglianza per questa classe, la sua esclusione dalla «democrazia»” [8]. 

Anche perché dal punto di vista marxista, proprio al contrario di quanto vuol far credere Kautsky, la dittatura non è una forma di governo, ma è la forma stessa dello Stato [9]. Del resto, nonostante i tentativi dei socialpacifisti di nascondere il proprio opportunismo dietro citazioni di Marx ed Engels, Lenin non ha difficoltà a dimostrare come entrambi “hanno parlato ripetutamente della dittatura del proletariato sia nelle lettere che nei testi a stampa, prima e soprattutto dopo la Comune” [10]. Del resto il concetto di “dittatura del proletariato” è dedotto conseguentemente dal compito assegnato al proletariato da Marx ed Engels lungo “ben quaranta anni, dal 1852 al 1891” di “«spezzare» la macchina statale borghese” [11]. La dittatura del proletariato è, dunque per Lenin, la forma che dovrà assumere lo Stato dopo che la rivoluzione socialista ha spezzato la macchina statale borghese [12]. Perciò Lenin non può che farsi beffe di Kautsky che pare non voler comprendere l’esigenza di una dittatura rivoluzionaria: “Kautsky, con l’erudizione di un dottissimo imbecille da tavolino o con il candore di una bambina di dieci anni, domanda: perché mai occorre la dittatura, quando si ha la maggioranza? E Marx e Engels spiegano:

  • per schiacciare la resistenza della borghesia,
  • per ispirare terrore ai reazionari
  • per assicurare l’autorità del popolo armato in faccia alla borghesia
  • per dare al proletariato la possibilità di schiacciare con la violenza i suoi avversari” (Contro: 403 Kautsky).

Per altro, come mostra Lenin, il contenuto fondamentale della rivoluzione socialista e il problema centrale della stessa lotta di classe è proprio la dittatura del proletariato [13]. Per altro la rivoluzione sociale non può che implicare la dittatura della classe rivoluzionaria, per mantenere il potere conquistato, tanto che Lenin afferma: “chi non abbia capito la necessità della dittatura di ogni classe rivoluzionaria ai fini della vittoria non ha capito niente della storia delle rivoluzioni o non vuole saper niente in questo campo” [14]. Senza contare che, anche dopo la conquista del potere da parte del proletariato, permane il predominio della borghesia a causa dei legami internazionali e della capacità di egemonia della piccola borghesia sulle masse popolari: “dopo aver realizzato la prima rivoluzione socialista, dopo aver abbattuto la borghesia di un paese, il proletariato di questo paese rimane ancora a lungo più debole della borghesia, già solo in virtù dei formidabili legami internazionali della classe borghese e, inoltre, a causa della spontanea e continua ricostituzione e rinascita del capitalismo e della borghesia ad opera dei piccoli produttori di merci nel paese stesso che ha abbattuto il dominio borghese. Si può vincere un nemico più potente soltanto con la massima tensione delle forze” [15].

Per altro, la dittatura del proletariato è resa indispensabile dalla necessità di distruggere le vecchie istituzioni dello Stato precedente: “il governo rivoluzionario provvisorio deve agire dittatorialmente (tesi che, nel sacro orrore per la parola d’ordine della dittatura, i menscevichi non hanno mai potuto comprendere), in quanto il compito di questa dittatura è di distruggere i resti delle vecchie istituzioni” [16].

 

Note:

[1] Vladimir I. U. Lenin, L’estremismo malattia infantile del comunismo [aprile-maggio 1920], in Id., Contro l’opportunismo di destra e di sinistra e contro il trotskismo, Edizioni progress, Mosca 1978, p. 456.

[2] Karl Marx, La guerra civile in Francia, citato in  Vladimir I. U. Lenin La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky [novembre 1918], in Id., op. cit., p. 394.

[3] Id., La rivoluzione proletaria…, in op. cit., p. 390.

[4] Ivi p. 398.

[5] Id., Per la storia della questione della dittatura [20 ottobre 1920], in op. cit., pp. 469-70.

[6] Id., La rivoluzione proletaria…, in op. cit., p. 385.

[7] Ibidem.

[8] Ivi, p. 401.

[9] Per dirla con Lenin: “parlare, infine, di forme di governo è una falsificazione, non solo sciocca ma anche grossolana, di Marx, il quale parla qui con la massima evidenza della forma o tipo di Stato e non della forma di governo” Ivi, p. 387.

[10] Ivi, p. 383.

[11] Ibidem.

[12] Come osserva a tal proposito Lenin: “Kautsky non può non sapere che tanto Marx quanto Engels hanno parlato ripetutamente della dittatura del proletariato sia nelle lettere che nei testi a stampa, prima e soprattutto dopo la Comune. Kautsky non può non sapere che la formula della «dittatura del proletariato» è soltanto una definizione più concreta storicamente e scientificamente più esatta del compito del proletariato di «spezzare» la macchina statale borghese, compito del quale sia Marx che Engels, tenendo conto delle rivoluzione del 1848 e ancor più di quella del 1871, hanno parlato per ben quaranta anni, dal 1852 al 1891” Ibidem.

[13] Nota a tal proposito Lenin: “La questione principale trattata da Kautsky nel suo opuscolo è quella del contenuto fondamentale della rivoluzione proletaria, cioè appunto della dittatura del proletariato. (…) Si può dire senza esagerazione che questo è il problema centrale di tutta la lotta di classe»” Ivi, p. 381.

[14]  Id., Per la storia della…, op. cit., p. 465.

[15] Id.,  L’estremismo malattia…, op. cit., p. 457.

[16] Id., Per la storia della…, op. cit., p. 470.

08/05/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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