Lenin e il contrasto fra democrazia socialista e borghese

Dalla dialettica fra diritto dei popoli all’autodeterminazione e necessità di costruire uno Stato capace di resistere alle forze della controrivoluzione, alla dialettica fra la volontà generale e la volontà della maggioranza parlamentare.


Lenin e il contrasto fra democrazia socialista e borghese Credits: https://www.lavocedellelotte.it/2017/10/24/la-rivoluzione-russa-e-lautodeterminazione-delle-nazioni/

Segue da Lenin e la lotta per l’autodeterminazione dei popoli

La dialettica fra diritto dei popoli all’autodecisione e la necessità di uno Stato forte in grado di resistere alla controrivoluzione

L’occidente capitalistico, sebbene continui a vantarsi di aver introdotto a livello internazionale il governo della legge e i diritti umani, viene posto dinanzi alle sue gravissime colpe storiche non appena ci si volge a indagare la storia del colonialismo prima e dell’imperialismo poi. Come ha ricordato a questo proposito Lenin: “gli uomini politici più liberali e radicali della libera Gran Bretagna […] si trasformano, quando diventano governatori dell’India, in veri e propri Gengis Khan”.

Così l’appello rivolto, subito dopo la Rivoluzione di ottobre dal governo rivoluzionario dei commissari del popolo agli schiavi delle colonie e ai “barbari” presenti nella stesse metropoli capitalistiche affinché dessero l’avvio alla lotta per la loro completa emancipazione, non poteva che apparire ai governi imperialisti del tempo una minaccia mortale alla “razza bianca”, all’Occidente e alla civiltà in quanto tale. Tale primo appello rappresentava una svolta radicale rispetto a una tradizione ideologica e politica in cui arroganza coloniale e pregiudizio razziale costituivano ancora un dato ovvio e pacifico. Si pensi, per citare un caso esemplare, al padre della socialdemocrazia e del riformismo, Eduard Bernstein che, al contrario, da un parte esprimeva tutto il suo orrore per il mancato rispetto delle regole del gioco liberal-democratico da parte dei responsabili della Rivoluzione d’ottobre, mentre dall’altra teorizzava la superiorità del mondo occidentale sulla base di una concezione della storia cara alla tradizione coloniale, sulla base della quale non si vergognava di asserire: “l’assoggettamento dei popoli coloniali non può essere ostacolato né da remore sentimentali né da astratte considerazioni giuridiche: le razze forti e civili non possono rendersi ‘schiave di una legalità formale’”.

Analogamente, per tutto il lungo periodo storico in cui sussisteranno gli Stati nazionali, la costituzione della Terza Internazionale non comporta la soppressione della diversità, né la cancellazione “delle differenze nazionali (che nel momento attuale sarebbe un sogno assurdo), ma un’applicazione dei princípi fondamentali del comunismo (potere sovietico e dittatura del proletariato) tale che li modifichi correttamente nei particolari, li adatti giustamente e li adegui alle differenze nazionali e nazionali-statali. Ricercare, studiare, discernere, indovinare, cogliere ciò che vi è di particolarmente nazionale, di specificamente nazionale nei modi concreti in cui ciascun paese si avvia a risolvere il problema internazionale unico per tutti, a conseguire cioè la vittoria sull’opportunismo e sul dottrinarismo di sinistra all’interno del movimento operaio, ad abbattere la borghesia, ad instaurare la Repubblica sovietica e la dittatura del proletariato: ecco il compito principale dell’attuale momento storico in tutti i paesi progrediti (e non soltanto in essi)” [1].

Tanto più che il paese della rivoluzione socialista deve consentire a ogni popolo il diritto all’autodeterminazione, anche se questo non vuol certo dire che dovrà incoraggiarlo. Come chiarisce opportunamente Lenin: “la ‘società socialista’ vuole ‘ritirarsi dalle colonie’ unicamente nel senso di garantire loro il diritto di separarsi liberamente, ma non già nel senso di consigliar loro di separarsi” [2]. Del resto, come fa notare acutamente Lenin, più ampio sarà il diritto alla separazione garantito a ogni popolo, meno forte sarà la tendenza all’isolazionismo. Dunque, scrive Lenin: “quanto più la struttura democratica di uno Stato è vicina alla piena libertà di separazione, tanto più rare e più deboli saranno in pratica le tendenze alla separazione poiché i vantaggi dei grandi Stati sono incontestabili, sia dal punto di vista del progresso economico come da quello degli interessi delle masse, e, inoltre, questi vantaggi crescono sempre più con lo sviluppo del capitalismo” [3].

Il confronto-scontro fra democrazia borghese e democrazia socialista (sovietica)

D’altra parte, all'opposto della Rivoluzione francese, che aveva prodotto un incendio su scala europea e proiettato all'esterno le sue tensioni profonde, facendo cadere le strutture sociali dell'Antico Regime in tutto il continente, la Rivoluzione russa non riuscì a rompere il suo isolamento e a estendersi in Europa occidentale. Interiorizzò le sue contraddizioni interne e poté sopravvivere al prezzo di una dittatura non democratica del proletariato, di una società costantemente militarizzata per difendersi dagli attacchi esterni e dallo scarto fra il proposito di una democrazia reale e la sua effettiva realizzazione. Ciò non toglie che chi contrappone ragioni di ordine giuridico formale alla volontà generale nazional-popolare è il più delle volte, oggettivamente, un liberale e un controrivoluzionario. Così, ad esempio, in riferimento alla annosa questione della chiusura dell’Assemblea costituente liberal-democratica da parte dei bolscevichi, afferma Lenin: “ogni tentativo, diretto o indiretto, di considerare la questione dell’Assemblea costituente dal lato formale, giuridico, nel quadro della comune democrazia borghese senza tener conto della lotta di classe e della guerra civile, significa tradire la causa del proletariato, passare alle posizioni della borghesia” [4].

Del resto, tale posizione che si pretende ultra-democratica perde di vista la necessaria dialettica fra volontà della maggioranza e volontà generale su cui aveva richiamato l’attenzione Rousseau, il padre della democrazia moderna. Rousseau, in polemica con la concezione liberale che riconosceva unicamente la volontà della maggioranza, richiamava l’attenzione sulla necessità di affermare, in taluni casi, la volontà universale, ovvero gli interessi reali della maggioranza, anche di contro all’opinione che quest’ultima, in quel determinato momento storico, ne possa avere. Senza contare che, se si va alla sostanza, senza fermarsi ai formalismi sofistici si comprende come lo stesso risultato del voto che aveva assegnato la maggioranza nell’Assemblea costituente ai Socialisti rivoluzionari (di destra) era in realtà falsato da quanto era avvenuto fra l’indizione delle elezioni e il loro svolgimento: “il partito che dal maggio all’ottobre ha avuto nel popolo, e particolarmente tra i contadini, il numero maggiore di sostenitori, il partito dei socialisti-rivoluzionari, alla metà dell’ottobre 1917 ha presentato delle liste uniche di candidati per l’Assemblea costituente, ma si è scisso nel novembre 1917, dopo le elezioni e prima della convocazione dell’Assemblea costituente” [5], in una sinistra sostenitrice della Rivoluzione socialista e una destra che pretenderebbe tornare alla precedente rivoluzione borghese.

Senza contare che fra l’indizione dell’elezione per l’Assemblea costituente e la sua realizzazione lo scenario politico era, anche da un punto di vista esclusivamente democratico, radicalmente mutato dopo che il partito bolscevico aveva raccolta la maggioranza dei voti al Congresso dei Soviet, il massimo organo in cui si esprime la democrazia sociale ed economica. In effetti, come sottolinea Lenin: “con la vittoria del 24-25 ottobre nella capitale, quando il II Congresso dei Soviet dei deputati degli operai, dei soldati di tutta la Russia, questa avanguardia dei proletari e della parte politicamente più attiva dei contadini, ha dato la prevalenza al partito dei bolscevichi e lo ha portato al potere” [6].

Tanto più che a seguito della Rivoluzione socialista tutte le strutture direttive, che esercitano il potere, si sono trasformate, con il passaggio dalla dittatura della borghesia a quella del proletariato. Osserva a tal proposito Lenin: “la rivoluzione ha abbracciato in seguito, durante i mesi di novembre e dicembre, tutta la massa dell’esercito e dei contadini e si è manifestata prima di tutto nella destituzione e nella nuova elezione dei vecchi organi superiori (comitati delle armate, comitati di governatorato dei contadini, CEC del Soviet dei deputati dei contadini di tutta la Russia, ecc.), i quali rispecchiavano una tappa superata della rivoluzione, la tappa del conciliatorismo, la tappa borghese e non proletaria, e che dovevano perciò inevitabilmente sparire dalla scena sotto l’assedio delle masse popolari più larghe e profonde” [7]. Infine, è lo stesso sempre più sinistro incombere della guerra civile a rendere inaccettabile, per chi non intende rinunciare alla Rivoluzione socialista, lo svilupparsi di un dualismo di potere fra i soviet, dove le forze rivoluzionarie sono maggioritarie, e l’Assembla costituente in cui prevalgono le forze ostili alla dittatura del proletariato, preferendogli nei fatti la (precedente) dittatura della borghesia. Sostiene, dunque, Lenin: “il corso degli avvenimenti e lo sviluppo della lotta di classe nella rivoluzione hanno fatto sì che la parola d’ordine ‘Tutto il potere all’Assemblea costituente’, la quale non prende in considerazione le conquiste della rivoluzione operaia e contadina, il potere sovietico, le decisioni del II Congresso dei Soviet dei deputati degli operai e dei soldati di tutta la Russia e del II Congresso dei deputati dei contadini di tutta la Russia, ecc., è diventata in realtà la parola d’ordine dei cadetti e dei seguaci […]. È chiaro per tutto il popolo che l’Assemblea costituente, se fosse in disaccordo con il potere sovietico, sarebbe inevitabilmente condannata alla morte politica” [8].

D’altra parte Lenin ci tiene a chiarire come la restrizione del diritto di voto per gli sfruttatori, che si è dovuta attuare nello specifico corso storico successivo alla rivoluzione socialista in Russia, non è qualcosa di necessario, ma è accidentale, anche se ciò non toglie che sia probabile che possa accadere anche in altri processi rivoluzionarie in circostanze analoghe. Scrive a questo proposito Lenin: “sarebbe un errore affermare in anticipo che le imminenti rivoluzioni proletarie d’Europa, tutte o la maggior parte di esse, apporteranno immancabilmente una restrizione del diritto di voto per la borghesia. Questo può accadere. Dopo la guerra e dopo le esperienze della rivoluzione russa questo è probabile che accada, ma non è obbligatorio per realizzare la dittatura, non è un indizio indispensabile del concetto storico e classista della dittatura. L’indizio, la condizione indispensabile della dittatura è la repressione violenta degli sfruttatori come classe e quindi la violazione della ‘democrazia pura’, cioè dell’uguaglianza e della libertà, nei confronti di questa classe” [9].

Segue nel numero 263 de La Città futura on-line dal 28 dicembre


Note:
[1] V.I.U. Lenin, L’estremismo malattia infantile del comunismo [aprile-maggio 1920], in Id., Sulla rivoluzione socialista, edizioni progress, Mosca 1979: p. 487.
[2] Id., Intorno a una caricatura del marxismo e all’economismo imperialistico [agosto-ottobre 1916], in op. cit., p. 73.
[3] Id., La rivoluzione socialista e il diritto delle nazioni all’autodecisione [gennaio-febbraio 1916], in op. cit. p. 39.
[4] Id., Tesi sull’Assemblea costituente [dicembre 1917], in op.cit., p. 282.
[5] Ivi: p. 279.
[6] Ibidem.
[7] Ivi: 280.
[8] Ivi: 281.
[9] Id. La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky [novembre 1918], in op. cit., p. 383.

30/11/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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Renato Caputo

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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