Marx e i diritti umani secondo la borghesia

Dai diritti negativi e meramente formali della concezione borghese dei diritti umani, ai diritti economico-politici della tradizione marxiana


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Continua da “Marx e la rivendicazione in funzione emancipatrice dei diritti umani

Lo scopo finale della prassi politica consiste, secondo Marx, nel togliere, superandoli dialetticamente, i limiti fatti emergere della precedente riflessione teorica. Nel caso specifico si tratta, dunque, dell’effettiva realizzazione della sovranità popolare e della piena effettualità storica di un’eguaglianza e libertà solo formali nella società liberaldemocratica, negative e alienate nell’astrazione giuridica.

Non è, dunque, risolutivo limitarsi al mero ampliamento dei diritti umani ai grandi esclusi dalla società liberale (donne, lavoratori manuali e popoli coloniali), ma occorre battersi per la loro metamorfosi, che necessita, anzi presuppone il rovesciamento del predominio del profitto privato sul diritto pubblico. Del resto la stessa realizzazione degli obiettivi intermedi, del programma minimo dei comunisti, hanno storicamente richiesto il parziale superamento della lacerazione fra ambito politico e socio-economico, caratteristico della società liberale classica e neoliberista. Solo politicizzando la sfera economica è stato possibile riconoscere quali portatori di diritti i lavoratori salariati, le donne, i bambini e parzialmente gli immigrati; al contempo tale riconoscimento è divenuto effettuale solo ampliando sul piano sociale e politico i diritti negativi della sfera politico-giuridica.

I diritti umani nella loro definizione borghese non possono che mancare, in effetti, il loro fine universalistico, in quanto sono al contempo troppo particolari – escludendo dal loro pieno godimento i non proprietari – e troppo astratti, formali, non riconoscendo i diritti socio-economici, pubblici come altrettanto imprescrittibili dei diritti dell’individuo privato (borghese). Così, ad esempio, come ricorda Marx a proposito dello stesso diritto umano (borghese) alla sicurezza e alla difesa della proprietà privata nelle società borghesi riguarda, in realtà, unicamente la difesa della proprietà privata dei grandi mezzi di produzione e, dunque, anche dal punto di vista della sicurezza personale e della salvaguardia della proprietà privata, solo con l’abbattimento del regime borghese a opera della Comune “per la prima volta (…) le vie di Parigi furono sicure e senza nessun servizio di polizia” [1].

Tale lotta per l’estensione, la politicizzazione e la socializzazione della sfera astratta dei diritti umani (borghesi) quanto più si realizza tanto più richiede un suo superamento dialettico, un salto qualitativo. Il suo compimento necessita il superamento della scissione, tipica della società borghese, fra Stato politico e società economico-civile. Il pieno riconoscimento dei diritti sociali implica il togliere lo statuto meramente politico che hanno nella società liberal-democratica, come la piena estensione dei diritti politici a tutti gli individui necessita il superamento del dominio privato sulla sfera economica, in particolare il superamento del particolarismo di rapporti proprietari che costringono i diritti universali dell’uomo ad arrestarsi ai cancelli dell’apparato produttivo [2]. La libertà è effettuale solo in quanto si coniuga alla proprietà, per tale motivo nello stesso linguaggio che li enuncia i diritti dell’uomo in quanto tale si definiscono quali diritti del bourgeois (del proprietario borghese).

Non si tratta, dunque, dal punto di vista di Marx, né di abdicare nel presente all’esigenza storica di condurre avanti la lotta, nel limiti imposti dal diritto, per una piena estensione dei diritti umani in tutto il mondo, né di rinunciare al compito altrettanto storicamente necessario di denunciarne i loro limiti borghesi in nome di una loro realizzazione qualitativamente superiore, possibile solo in una società socialista. Ferma restando la necessità di approfondire la critica all’astrattezza e astoricità dei diritti umani (borghesi), al loro fondamento antropologico, e alla loro incapacità di incidere sul reale, si tratta non solo di estenderli quantitativamente alle minoranze – almeno nel mondo occidentale – che ne sono formalmente escluse, ma anche qualitativamente alle maggioranze, alla gran massa dei lavoratori che ne godono solo dal punto di vista meramente formale.

Del resto, come ha osservato a questo proposito Ernst Bloch: “essendo le [stesse] libertà borghesi pur sempre e innanzitutto più borghesi che libertà, l’esame che si può fare dei Diritti dell’Uomo in base ai loro contenuti ideologici è del tutto ovvio; e ne risultano dapprima persino prudenza, parziale negazione, limitatezza” [3]. Tanto più che nella loro classica e originaria formulazione borghese i diritti umani non implicano che gli uomini godano effettivamente degli stessi diritti, ma solo che abbiano la possibilità, sul fondamento dell’eguaglianza giuridica, di goderne, ovvero che non gli sia preclusa l’opportunità legale di divenire cittadini a tutti gli effetti attivi anche dal punto di vista politico, sebbene ne siano al contempo esclusi nelle società liberali classiche in quanto non proprietari. Fondamento di tale concezione dei diritti umani è, dunque, una libertà meramente negativa (freedom from) [4], che vede nell’altro solo un limite, sancito dal diritto.

L’arbitrio individuale potenzialmente assoluto di tale libertà è in realtà solo formale, dal momento che i suoi reali bisogni possono essere effettivamente soddisfatti solo in un contesto sociale decisamente più complesso, come quello rappresentato dalla società civile. La realizzazione del diritto imprescrittibile dell’uomo è vincolato, dunque, al campo di compatibilità di un insieme sociale dato, su cui il singolo in quanto tale non ha alcuna possibilità reale d’incidere. Non potendo contare né sul sostegno della comunità civile, ridotta alla funzione di eliminare ogni ostacolo al potenziale dispiegarsi dell’arbitrio individuale, né sul suo simile prigioniero dello stesso scopo individualista, le condizioni in base alle quali la libertà da potenziale potrebbe divenire attuale, essere effettivamente realizzata, sono completamente al di fuori del controllo del singolo individuo, tanto più se si tratta di un non proprietario.

Non potendo disporre delle circostanze, delle condizioni sociali e naturali per la sua realizzazione positiva, per la grande maggioranza degli individui essa resta una possibilità solo astratta, escludendo nei fatti la massa dei non proprietari, per non parlare delle nazioni oppresse dall’imperialismo e delle donne ostaggio di una società patriarcale. La sua piena attuazione richiede un mutamento profondo delle condizioni sociali della sua realizzazione. Lo stesso vale per il principio d’eguaglianza che, per la sua determinazione giuridica formale, è realizzato apparentemente nella sfera della circolazione, ma effettivamente violato in quella della produzione.

Del resto, le stesse aspirazioni dei diritti umani (borghesi) alla libertà e all’eguaglianza sino a che restano confinate, come avviene in ogni società capitalista, alla sfera politico-giuridica, nel piano della circolazione, finché vengono definite sulla base antropologica liberale dell’individuo contrapposto alla comunità non possono che rovesciarsi nel loro contrario nel riprodursi, su scala allargata, del privilegio a livello sociale nella sfera della produzione. Così, ad esempio, se la rivoluzione politica borghese ha tolto – mediante il suffragio universalizzato, lo stato di diritto, la separazione fra chiesa e Stato – alla proprietà privata, al privilegio, alla religione la loro esistenza politica, “a questa proclamazione della loro morte politica, corrisponde la loro vita più potente, che ora obbedisce senza ostacoli alle sue proprie leggi e dispiega tutta l’ampiezza della loro esistenza” [5]. Solo mediante la socializzazione e il controllo pubblico sui grandi mezzi di produzione sarà possibile, in una società in transizione al socialismo, togliere la lacerazione fra sfera politica e sociale, fra eguaglianza giuridico-politica e disuguaglianza sociale.

Allo stesso modo la fratellanza universale, al di là dei limiti di classe necessariamente presenti nel concetto borghese, in cui ogni presunto superamento di tale divisione non è che una pia e ingenua illusione o una consapevole mistificazione dei rapporti di dominio reali e della lotta di classe da parte del padronato, si realizza solo nell’internazionalismo proletario che pone l’obiettivo del superamento delle classi sociali e delle differenze nazionali. Solo allora essa – in una società fondata sulla pianificazione e, dunque, in grado di evitare crisi di sovrapproduzione risolvibili esclusivamente all’interno del capitalismo con le spese militari e la conquista di nuovi mercati e materie prime – non sarà più in costante contraddizione con i rapporti di produzione dominanti.

Note

[1] Karl Marx, La guerra civile in Francia, in K. Marx - Friedrich Engels, Le opere, a cura di L. Gruppi, Ed. Riuniti, Roma 1971, p. 919.
[2] Come osserva Marx, per quanto concerna la legislazione industriale in una situazione “normale” di bassa conflittualità proletaria: “ora, avendo io coscienziosamente studiato i tempestosi dibattiti parlamentari da cui è uscita l’attuale legislazione industriale, gli ispettori di fabbrica devono consentirmi di dissentire dalla loro frase conclusiva [‘se il parlamento avesse immaginato che si sarebbero escogitate siffatte infrazioni, si sarebbe indubbiamente premunito con adeguate misure’], e tener ferma la mia opinione che la legislazione industriale è stata formulata con l’intenzione deliberata di facilitare in ogni modo l’evasione e il raggiro. L’aspro antagonismo fra proprietari terrieri e proprietari di fabbriche, da cui quelle leggi sono nate, era tuttavia mitigato dal comune disprezzo che le due classi dominanti nutrono per ciò ch’esse definiscono gli ‘interessi volgari’”. K. Marx, La situazione delle fabbriche in Gran Bretagna [1859], in Marx-Engels, Opere complete, volume XVI, Editori Riuniti, Roma 1983, pp. 193-94. “‘Alla tentazione di maggiori profitti cedono quegli imprenditori nel cui codice morale la disobbedienza a un atto del parlamento non costituisce infrazione, e che calcolano che l’ammontare di qualsiasi multa ch’essi debbono pagare se vengono scoperti sia comunque ben piccola parte del guadagno che deriva loro dal fatto di disattendere le restrizioni di legge’”. Dal rapporto dell’ispettore di fabbrica Leonard Honer [1858], citato da Marx in ivi, p. 196. Considerazione che purtroppo, come appare evidente, hanno mantenuto ancora oggi la loro pregnanza e attualità.
[3] Ernst Bloch, Karl Marx [1968], trad. it. di L. Tosti, Il mulino, Bologna 1973, p. 74.
[4] Come ha acutamente fatto notare B. Bourgeois già “nel celebre Contributo alla critica della filosofia del diritto di Hegel, Marx rapporta una tale negazione, liberatrice, di ogni esistenza particolare, privata, alla sua condizione assoluta di realizzazione. Essa non è reale che come assunzione positiva attiva dell’essere-negato passivo di ogni particolarità dell’esistenza, di ogni diritto dell’uomo, cioè dell’esistenza, nella sua realtà stessa, assolutamente astratta, o dell’esistenza effettiva dell’uomo come uomo, uomo vuoto, spogliato di tutto. La negazione dei Diritti dell’uomo, che condiziona la posizione dell’uomo, è già lì, come anticipazione reale di se stessa, nell’essere negativo del proletariato”. Bernard Bourgeois, Philosophie et droits de l'homme: de Kant à Marx, éditions PUF, Parigi 1990, p. 111.
[5] K. Marx e F. Engels, La sacra famiglia [1845], traduzione italiana di A. Zanardo, Editori riuniti, Roma 1967, p. 153.

24/11/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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