Il nome di Dario Lanzardo (La Spezia, 1934 – Torino, 2011) è forse oggi poco conosciuto dalle giovani generazioni di militanti politici nel nostro Paese. Nato a La Spezia nel 1934, fu fotografo, scrittore, redattore della rivista “Quaderni Rossi” e curatore di diverse edizioni degli scritti di Raniero Panzieri. Lanzardo curò anche la riorganizzazione dell'archivio dell'Istituto Giorgio Morandi presso la Fondazione Feltrinelli.
Nel 1979 venne pubblicato da Feltrinelli il suo lavoro sulla rivolta di Piazza Statuto a Torino, avvenuta l'8 luglio del 1962 [1]. Un episodio, questo, considerato come non solo il prodromo della grande ondata di lotte del 1968-'73, ma anche come il momento di esplosione della classe operaia torinese dopo più di dieci anni di sconfitte, repressioni padronali e accordi “bidone”. Dopo più di 35 anni, quella di Lanzardo è ancora di fatto l'unico studio che ha cercato di gettare una luce complessiva e profonda sui fatti di Piazza Statuto: il resto sono alcuni articoli di riviste importanti (come “Quaderni Rossi”, “Quaderni Piacentini” e “Quaderni di Rassegna Sindacale”), accenni su testi di storia sindacale (come il libro di Sergio Turone) o tesi di laurea su aspetti specifici.
L'importanza della ricerca di Lanzardo è quindi grande, sia per ragioni di merito, sia di metodo storico. Innanzitutto, il testo è fra i pochi che illustra non solo le tensioni interne alla FIAT e che sfociarono nella ripresa della lotta nel 1962, ma anche il carattere esemplare di alcune vertenze (come alla Lancia e alla Michelin) che fra il 1959 e il 1961 ne prepararono il terreno. Inoltre, esso è l'unico che ricostruisce minuziosamente i fatti che caratterizzarono quelle giornate: la convocazione dello sciopero per il 7 luglio, la firma dell'accordo separato fra UIL e direzione FIAT, i picchetti di fronte agli stabilimenti, il corteo spontaneo dalla SpA Stura e poi il convergere degli altri operai del gruppo verso Piazza Statuto. Inoltre, l'avvicendamento fra gli operai FIAT (che inscenarono gli scontri del 7 luglio) con quelli delle fabbriche dell'indotto e delle altre fabbriche (l'8 luglio) e poi con i giovani delle periferie, spesso meridionali, ma non solo, che avevano “solo” voglia di sfogare la propria frustrazione contro una città che li discriminava e li sfruttava in modo violento.
E ancora: la partecipazione di tantissimi iscritti alla FIOM e di giovani militanti del PCI e della FGCI, nonostante l'atteggiamento “doppio”, ambiguo, della direzione del partito, che da una parte negli anni li aveva incitati contro i sindacati “gialli” e che ora, nel nome delle “compatibilità democratiche”, prendeva le distanze dagli scontri sostenendo la versione della “provocazione” teppistica e fascista.
Insomma, Dario Lanzardo ha compiuto un'importante azione di ricostruzione e di “ripulitura” dei fatti, dimostrando che in Piazza Statuto avvennero tre giorni di rivolta vera, spontanea, senza alcuna direzione politica (e questo forse ne rappresentò il limite più grande). Non una provocazione fascista contro il movimento operaio, né un'insurrezione comunista contro lo Stato democratico, né ancora un moto rivoluzionario anticapitalistico, quella di Piazza Statuto fu una rivolta di una classe sociale e di una generazione che aveva cominciato a rispondere in modo violento alla violenza delle condizioni di lavoro in fabbrica e a un dispotismo aziendale che si era fatto asfissiante.
Ci sarà occasione (anzi ci dovrà essere) per approfondire le questioni di merito intorno ai fatti di Piazza Statuto. Qui preme maggiormente evidenziare il tentativo di Lanzardo di uscire allo stesso tempo da una ricerca accademica, che egli definisce «formale», «inutile», e oppure «mistificante», perché al servizio diretto delle forze politiche o sindacali del movimento operaio (PCI, PSI, CGIL) o di teorie e interpretazioni storiche pre-costituite (come nel caso di Renzo Del Carria nel suo Proletari senza rivoluzione). Un tentativo di fare ricerca storica, compiere un lavoro “scientifico” per scoprire le contraddizioni reali (alcune anche “scomode”) che avrebbero determinato i profondi cambiamenti economico-sociali degli anni successivi.
Il carattere militante del lavoro di Lanzardo e la sua utilità non risiedono solamente nella tesi storiografica che vi viene affermata. Esso poggia anche sulla base di un metodo di ricerca che gli altri che avevano o hanno scritto di Piazza Statuto non hanno mai utilizzato: quello dell'inchiesta, dell'intervista ai protagonisti di quelle giornate. Lo scrittore spezzino mette quindi a confronto fra di loro (e con le ricostruzioni dei giornali e delle organizzazioni politico-sindacali) alcuni protagonisti di quei fatti: attivisti e delegati sindacali, funzionari e giovani militanti del PCI, operai di altre fabbriche, giovani proletari e/o studenti che accorsero nella piazza o che, passando casualmente, vi rimasero.
Il volume è quindi diviso in una prima parte che viene intitolata L'uso politico, dedicata alla interpretazioni ideologiche o mistificatrici, e in una seconda intitolata La “memoria di parte”, dove si lascia invece spazio alle interviste dei protagonisti.
La rivolta di Piazza Statuto è quindi un libro ancora estremamente importante e utile per chi voglia fare ricerca militante “sul campo”, non solo per il suo valore intrinseco, ma anche perché indica una grande lezione di ricerca militante: «le verità sulla storia della lotta di classe sono importanti, ma più importante ancora – soprattutto se scoperte a distanza di tempo – è il modo per arrivarci».
Note:
Cfr. D. Lanzardo, La rivolta di Piazza Statuto, Feltrinelli, Milano 1979.