Viviamo in full immersion nella società dell’informazione. Ci navighiamo sommersi, ma quanto ne abbiamo coscienza? Possiamo modificare la nostra usuale giornata, privandoci dell’informazione a tam tam che costantemente ci accompagna tramite i media? Sembra sia impossibile, considerando quanto la nostra quotidianità sociale, e spesso anche la nostra privacy, ruoti intorno al battito costante della notizia. Parlare di informazione significa anche parlare di giornalismo “C’era una volta la professione di giornalista”e, in particolare, riferendoci esclusivamente al giornalismo italiano, è evidente come questa professione affondi le sue radici nella politica, divenendone spesso la più umile delle ancelle. Ancelle sensibili agli umori del potere, attente più che altro a creare consensi o dissensi strumentali per favorire o smentire e screditare il potente di turno nel bieco gioco della corsa alla poltrona. Poco attente invece al carattere etico e basato sulla “sostanziale verità dei fatti”, così come recita il codice deontologico della professione.
Oggi nel bombardamento delle news, in particolare tramite la più accreditata stampa borghese, ma anche su tutti i media digitali, dai network ai blog, stiamo assistendo all’atrofizzazione dell’etica dell’informazione. Chi non ha gli strumenti del mestiere ne è inconsapevole e può facilmente abboccare alla notizia ritenendola attendibile, mentre in realtà contiene messaggi fuorvianti nel porla all’attenzione dei lettori. Ѐ la strategia politica adottata da alcune linee editoriali, di maggior tiratura nazionale, per deviare l’informazione e favorire consensi di carattere politicista.
Per questo motivo nell’attuale società dominante neoliberista, per un giornalista che, nel rispetto del codice deontologico, si attenga alla sostanziale verità dei fatti ed esprima la sua opinione per smascherare il re, fare una corretta informazione diventa praticamente impossibile. Significherebbe per lui non poter più esercitare la professione, significherebbe vedersi messo al bando, poiché rifiuta l’idea di condividere con il sistema di potere la nuova, corrotta “etica pubblica”, dove nel confronto diretto fra informazione e potere, la meglio la ottiene sempre quest’ultimo, avendo i mezzi per essere dominante sui media.
E allora oggi il giornalismo non è più una professione virtuosa? Enrico Morresi, giornalista e scrittore (“Etica della notizia e critica della morale giornalistica”) afferma “Il virtuous journalist è un illuso se ritiene di far valere i propri criteri morali dentro un sistema massmediatico in cui ben altre sono le ragioni che contano: la tiratura, l’audience della trasmissione, gli introiti pubblicitari che si riesce ad attirare…”. Sebbene lo stesso chiarisca che “L’informazione giornalistica è un bene pubblico ed è dunque un’etica pubblica a doverne sostenere principi, regole e applicazioni”.
Ma a tutelare un giornalista che intenda essere virtuoso è la deontologia, che è il cuore della professione. L’articolo 2 della legge professionale n.69/1963 così recita: “Ѐ diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d’informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede”. Laddove per “sostanziale” verità dei fatti, non s’intende una verità dogmatica, quindi assoluta per la serie utopica e inconsistente del dogma “Io sono la verità e la vita”, ma debba intendersi come la intendeva Michel Foucault, il praticare la parresia, ovvero riportare i fatti e avere il coraggio di “dire tutto ciò che si pensa”.
L’esatto contrario della phronesis, tanto decantata dai classici greci, cioè dell’astuzia, che è una mistificazione della verità. Nel coraggio di dire ciò che si pensa c’è il giornalista virtuoso, ma il prezzo da pagare oggi è evidentemente troppo alto. Praticare la parresia e sopravvivere oggi nel campo dell’informazione è un atto di coraggio e chi ne fa professione difficilmente troverà i mezzi per una dignitosa sussistenza. C’è un’unica chance per attenersi alla verità dei fatti, decantata dai codici etici degli operatori dell’informazione, e per praticare la parresia , gettarsi nella controinformazione. Il cammino è irto e spigoloso e la sussistenza altamente minata, ma resta la dignità e la certezza di offrire ai lettori la trasparenza sulle notizie. Togliersi il bavaglio, a cui troppi operatori dell’informazione sono soggetti, è un virtuoso atto di coraggio che ancora si può fare. Si deve.