Reportage degli aspetti ambientali e socio-culturali rilevati in un recente viaggio in Andalusia, in una Spagna che si prepara a nuove elezioni in giugno. Tra la fortissima tradizione cattolica di Siviglia durante la fiesta de la Cruz, gli splendori dell’arte e della cultura nella Mezquita di Cordoba e all’Alhambra di Granada, le città patinate e l’efficienza della rete autostradale e gratuita contrastano con il degrado delle periferie dove morde la crisi.
di Alba Vastano
La cerco fra le nuvole, la terra andalusa. Non l’ho mai vista, l’ho sognata più volte. La sorvolo emozionata. Intravedo la Sierra Morena e fra le asperità dei monti scorgo già i caratteristici bianchi villaggi e le piane a disegni geometrici dei campi. Ed è Siviglia, il capoluogo della regione andalusa, la mia prima tappa. La percorro così com’è bañada por el sol e attraversata dal Rio Guadalquivir. Maestose le avenidas, numerosi i viottoli bianchi che le intersecano. Spettacolari ovunque gli azulejos policromi che ornano ogni edificio, ogni monumento di questa tierra encantada.
Una dimensione ambientale in cui il tempo scorre sereno e, sembra, più lentamente, come a fermare l’attimo e renderlo indimenticabile. Non è poesia, è la realtà di uno spazio così differente dal nostro caos italiano. E mi avventuro per il Barrio de Santa Cruz. È l’antico quartiere ebraico. Tanti suggestivi vicoli così bianchi che abbagliano, ma sono anche i 30 gradi all’ombra che offuscano la vista.Vi si staglia maestosa “la Giralda”, la cattedrale gotica con le sue guglie che sembrano ricamate a mano. Nei pressi, un’atmosfera popolare ricca di suoni e colori. Musicanti locali si esibiscono in melodie alla Segovia che nascono dalle note delle guitarras, mentre le bailoras di flamenco accendono di pittoresco folklore un’atmosfera di fiesta cittadina.
È la fiesta de la Cruz e in tutta le regione andalusa si celebrano i riti legati alla tradizione cattolica, cui tutto il popolo è profondamente legato. Indossare il costume tradizionale in Andalusia, in occasione delle fiestas locali, sembra sia obbligo, ma anche honor per tutta la famiglia andalusa e coinvolge almeno tre generazioni. Dai ninos agli ancianos. Tutti abbigliati come tradizione vuole. Ropas coloratissime a balze e grandi fiori a ornare la capigliatura per le mujeres. Qualcuna è davvero “guapissima”. Nel barrio ebraico sorgono anche il Real Alcazar con i suoi meravigliosi Jardines. È la Sevilla più romantica che si snoda nei vicoli pittoreschi che si affacciano sui patii ornati di fiori. Il leitmotiv sono gli azulejos moreschi, elaborati mosaici che decorano le facciate e tutti gli interni delle case andaluse.
Mi avvio verso El Arenal di Sevilla. Un’area delimitata dal Rio Guadalquivir e sorvegliata dalla possente Torre del Oro del XII secolo. Qui c’era la malavita cittadina un tempo, una specie di Suburra romana. Un barrio ristrutturato poi in occasione dell’Expo ‘92. Il fiume venne reso navigabile e la lunga riva orientale del Rio assunse il decoro che merita. Incantevole oggi la vista che si gode dalla lunga passeggiata. L’avenida principale è dominata dall’arena blanca de la plaza de toros de la Maestranza. Qui da due secoli si svolge il rito della corrida, tradizione cara ai Sevillanos e contestatissima dalle associazioni animaliste mondiali.
Ed è sulla sponda ovest del fiume che la vecchia città incontra la nueva. Sono a Triana, un barrio che prende il nome dall’imperatore Traiano. Un quartiere prevalentemente operaio, noto per i laboratori di produzione degli azulejos, e per i locali ove si esibiscono le bailoras de flamenco. Noto anche per aver dato i natali a famosi toreri e per aver dato ospitalità a Cristoforo Colombo che qui progettò i suoi viaggi oltreoceano.
Una rete autostradale funzionale e sorprendentemente gratuita per la maggior parte della regione andalusa collega le più importanti città. E sono a Cordova. Affascinante e antichissima ciudad, nasce anch’essa lungo il fiume andaluso, come capitale di una provincia romana. Anche qui musica e folklore per la fiesta de la Cruz. No parking esterni. In nessuna città dell’Andalusia è possibile sostare, molte isla peatonal a significare che le città sono a dimensione umana e si vivono percorrendole a piedi in tranquilità per ammirarne il paesaggio. Parking sotterranei ovunque per le quattro ruote.
Il cuore di Cordova batte nel vecchio barrio ebraico, la Juderìa, vicinissimo alla Mezquita, la grande moschea che risale a dodici secoli addietro. La Moschea esprime pienamente il potere che ebbe l’Islam in questa terra. Percorrendo il barrio si ha la netta sensazione che nulla nel tempo sia cambiato ed è un tuffo nel passato. Qui sembra che tutto si sia fermato al decimo secolo, quando Cordova era una delle più grandi città dell’Occidente. Ritornano i leitmotiv di tutta l’Andalusia. Vicoli bianchi, ferro battuto, azulejos ovunque, patii e giardini fioriti e ben curati. Un’attenzione particolare per i parchi e i giardini in ogni luogo di questa rigogliosa regione della Spagna. Per visitare la Cordova moderna mi sposto a Plaza de las tendillas, interamente pedonale, ove si svolge la vita commerciale della città. Il cuore dello shopping esteso su infinite piccole botteghe di artigianato locale.
Il mio viaggio continua. Non è possibile non visitare Granada e la sua Alhambra. Dall’autostrada si staglia all’orizzonte la Sierra Nevada, la più alta catena montuosa iberica. Quattordici picchi, oltre i 3000 metri, ove la neve sosta fino a luglio e torna a cadere in autunno. Alla vista inizia a scorrere la provincia di Granada che si trova in altura, dove i monti della Sierra incontrano la pianura. Troneggia in altura il palazzo reale del regno moresco, l’Alhambra. Prima e obbligatoria escursione di ogni turista in visita alla città, l’Alhambra venne fatta edificare dai califfi Ismail I e Muhammad V, della dinastia dei Nasridi che nella grandiosa opera di costruzione della reggia vollero trasmettere l’idea di potere assoluto e di paradiso in terra.
La maestosa costruzione nel tempo ha subito vari saccheggi e un incendio per mano delle truppe napoleoniche. Venne sempre riedificata e ancora oggi appare splendida e maestosa. Meta continua di turisti, ma anche dei residenti locali che nei giardini e da quell’altura trovano refrigerio e possono godere della vista della bianca e estesa città di Granada, la più vasta e popolata dell’Andalusia. E dopo la frescura dell’Alhambra, sosto in città per la notte e mi avventuro nel caos che caratterizza in questa ciudad la fiesta de la Cruz. La “tranquilidad” qui è svanita nei festeggiamenti rituali.
Processioni di mujeres ornate di enormi fiori multicolori, bambini scalpitanti, musica assordante, ristoranti traboccanti di famiglie in costume. Tutti a bere cerveza e a gustare tapas, paella e tortillas. L’effetto è assordante. Meglio tornare alla quiete di Sevilla. Ma non prima di aver visitato Cadice, la città più antica d’Europa, protesa sulla costa dell’Oceano Atlantico.
L’autostrada aiuta il viandante. È perfetta nei collegamenti, nelle sistematiche indicazioni delle località da raggiungere, per le innumerevoli aree di servizio. E soprattutto è gratuita. Non finisco di stupirmene piacevolmente. Il rent-a-car locale mi ha messo a disposizione, in cambio di una ragionevole quota di noleggio, un’ auto nuovissima, ultratecnologica. “Sì viaggiare” recitava una canzone del nostro Battisti e così è davvero piacevole. A Cadiz arrivo in una mattinata ventosa e un po’ grigia. Vi trovo una dimensione opposta a quella della superba nell’arte, ma caotica, ciudad di Granada. Poche persone si aggirano sul litorale, ma il paesaggio che vi si affaccia è maestoso e immenso, come può esserlo solo l’Oceano. Non l’ho mai visto e mi perdo a osservarlo oltre, più che posso.
Un transatlantico diretto a Rotterdam vi sosta e immagino le avventure dei primi esploratori che salparono da quelle coste. Di Cadiz la leggenda vuole che Ercole ne sia stato il fondatore, mentre la storia riconduce la fondazione ai Fenici che crearono Gadir nel 1100 a.C., dopo la Reconquista, la guerra fra Mori e Cristiani che vide vincitori questi ultimi. E dopo vari assalti britannici, durante la guerra per i commerci mondiali nel sedicesimo secolo, la città divenne capitale di Spagna e vi fu scritta la prima costituzione. Lord Byron scrisse che Cadiz “è la città più bella che abbia mai visto e con le donne più belle di Spagna”.
Oggi dov’è finito l’antico splendore? Oggi agli occhi del turista appare una città di porto, con dei piccoli barrio un po’ trascurati e di minore rilievo rispetto alle altre città andaluse. Restano gradevoli però i giardini curati con il solito stile degli azulejos e imponente è la Catedral nueva con la cupola di piastrelle dorate. Sono fuori tempo per vivere il famoso Carnevale della città che neanche la dittatura franchista riuscì a sopprimere.
Fuori dalle patinate città andaluse, nelle periferie estreme e nei suburbios, un’altra vista, un’altra dimensione. Visito Camas, in provincia di Sevilla. Una fabbrica è chiusa per sciopero. Leggo vicino ai cancelli chiusi “Institution espanol especulador” e “Basta de engano”. Felipe, un parcheggiatore attempato, mi dice “mis cuatro hijos estàn sin trabajo”. Capisco che la crisi è dietro gli azuelejos brillanti, dietro la copertura della fiesta de la Cruz, dietro l’arte e i magnifici jardines e i patii fioriti. La crisi c’è anche qui, è solo spostata ai margini delle fiorenti città. Il 26 giugno gli Spagnoli andranno a votare di nuovo.
Il re Filippo V ha indetto nuove elezioni dopo quelle di dicembre che non hanno portato nessun partito alla maggioranza necessaria per governare. Nessuno dei due principali partiti spagnoli il Psoe, dominante in Andalusia, e il Ppe, si è garantito i seggi necessari per ottenere la maggioranza in Parlamento. E’ saltata la proposta di accordo fra Iglesias (Podemos) e Sanchez (Psoe). In Spagna si rischia anche questa volta di vanificare le elezioni. Intanto nelle città si va appresso ad una croce fiorita con spirito nazionalista, mentre el trabajo manca, come in Italia. Una dicotomia incomprensibile in una terra “hermosa y atraversada por el sol”.