Nel suo processo di formazione Karl Marx pone progressivamente in dubbio la soluzione idealistica, dal momento che il tribunale della storia gli presentava una realtà troppo discordante. In Germania la compagine statuale rimaneva appannaggio dell’aristocrazia terriera e, dunque, aveva una conformazione inconciliabile con l’ideale hegeliano sorto riflettendo sulla realtà dello Stato rivoluzionario francese.
La concezione hegeliana era anche prodotto d’una realtà specifica: il regime instaurato da Guglielmo III durante il suo breve regno. In esso si era cercato, mediante uno Stato burocratico, di dar vita a una rivoluzione dall’alto o rivoluzione passiva, volta a evitare un rivolgimento dal basso e a modernizzare la macchina statale mediante concessioni all’emergente borghesia, ponendola non contro lo Stato, ma al suo diretto servizio, secondo la tradizione dell’assolutismo illuminato.
Peraltro, bisogna considerare quanto dover essere vi sia nella posizione hegeliana. Ne va dello statuto stesso del reale. In effetti, o esso diviene – nell’interpretazione dei suoi critici – una giustificazione ideologica dell’esistente, prodotto di un razionale apparentemente formale, ma che sussume acriticamente il reale, oppure si tratta di un dover essere, un reale che si dovrebbe realizzare sulla base delle linee di sviluppo emerse con lo Stato rivoluzionario francese e poi napoleonico. E qui cade l’idealista hegeliano, dal momento che, come sottolineano Marx e Friedrich Engels: “non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza” [1].
Nella Prussia di Marx la componente più moderna e produttiva della società civile – , mercanti, banchieri e imprenditori manifatturieri – era ostacolata nel suo sviluppo e stentava a svolgere in contraddizione la sua opposizione civile allo Stato feudale, non essendo in grado di riconoscersi come classe [2] e, dunque, di unificare nel conflitto i propri interessi particolari nel fondamento di un nuovo modo di produzione, con la sua peculiare sovrastruttura politica.
I membri ideologicamente più avanzati della borghesia prussiana, gli intellettuali della sinistra hegeliana, non contribuivano realmente al processo di presa di coscienza, in quanto avevano smarrito progressivamente lo spirito della filosofia hegeliana, la ricerca del concreto esasperandone, al contrario, gli elementi più caduchi: l’astrattezza teoretica e l’idealismo soggettivo. Perciò durissimo è il giudizio che daranno della sinistra hegeliana Marx ed Engels: “essa ha lo scopo di mettere in ridicolo e di toglier credito alla lotta filosofica con le ombre della realtà, che va a genio al sognatore e sonnacchioso popolo tedesco” [3]. Per quanto concerne i limiti dell’astrattezza teoretica, osserva Marx: “si vede come il soggettivismo e l’oggettivismo, lo spiritualismo e il materialismo, l’agire e il patire smarriscano la loro opposizione soltanto nello stato sociale, e quindi perdano la loro esistenza in quanto opposizioni; si veda come la soluzione delle opposizioni teoretiche sia possibile soltanto in maniera pratica, soltanto attraverso l’energia pratica dell’uomo, e come questa soluzione non sia per nulla soltanto un compito della conoscenza, ma sia anche un compito reale della vita, che la filosofia non poteva adempiere, proprio perché essa intendeva questo compito soltanto come un compito teoretico” [4]. Pertanto il difetto fondamentale delle stesse concezioni materialiste antecedenti la fondazione del materialismo storico “è che l’oggetto, la realtà, la sensibilità, vengono concepiti solo sotto la forma dell’obietto o dell’intuizione; ma non come attività umana sensibile, prassi; non soggettivamente. Di conseguenza il lato attivo fu sviluppato astrattamente, in opposizione al materialismo, dall’idealismo – che naturalmente non conosce la reale, sensibile attività in quanto tale –. Feuerbach vuole oggetti sensibili, realmente distinti dagli oggetti di pensiero: ma egli non concepisce l’attività umana stessa come attività oggettiva” [5]. Marx intende dire che il materialismo tradizionale, e anche il materialismo di Feuerbach, considera l’oggetto come un qualcosa di separato dal soggetto, quale produttore dell’oggetto stesso. L’oggetto non è soltanto “obietto” dell’intuizione sensibile, come passività recettiva, ma è il risultato dell’attività del soggetto, della prassi. Soggetto e oggetto sono distinguibili ma non separabili. La distinzione tra soggetto e oggetto è metodologica, gnoseologica, non ontologica e organica. L’idealismo, dunque, ha messo in rilievo l’aspetto attivo del conoscere, ma lo ha concepito come puramente teoretico non come attività umana sensibile, come prassi. La chiave della soluzione, indicata da Marx, del rapporto tra soggetto e oggetto sta nella funzione della prassi, della pratica creatrice e trasformatrice. “Pensiero ed essere son dunque, sì, distinti, ma, nello stesso tempo, uniti l’uno all’altro” [6].
In tal modo i giovani hegeliani non erano in grado di additare alla classe rivoluzionaria reali obiettivi di lotta mediante cui, rafforzando il processo d’autocoscienza, avrebbe potuto gettare le basi ideali e, dunque, reali della nuova società. La sinistra hegeliana s’illudeva di poter risolvere il conflitto concreto fra società civile moderna e Stato feudale sul piano teoretico. Di qui l’idealismo, nel senso spregiativo che Marx assegnerà al termine proprio in relazione alla degenerazione soggettivistica della scuola hegeliana, che pensava d’ottenere l’emancipazione politica della società civile sconfiggendo la sovrastruttura ideologica della società feudale: la religione o la sostanza. Al contrario, come ricorda Marx: “l’arma della critica non può, in verità, sostituire la critica delle armi; la potenza materiale dev’essere abbattuta da potenza materiale; però anche la teoria diventa potenza materiale non appena si impadronisce delle masse” [7].
Di qui la crescente insofferenza di Marx verso la Germania per l’arretratezza della riflessione teorica, sempre più incapace di dar conto della propria epoca con il pensiero, al di là della miseria dell’esistente [8], e verso una borghesia incapace di prendere coscienza e battersi realmente per i propri interessi. Per sviluppare realmente il sistema hegeliano non ci si poteva limitare a estremizzarne il lato soggettivo, razionale, abbandonandone la dialettica con il momento oggettivo che lo rende concreto [9].
Forzando la componente soggettiva si finisce per perdere di vista le contraddizioni reali della propria epoca storica per tornare al dover essere, al donchisciottesco cavaliere della virtù che deve cedere il passo di fronte all’uomo del corso del mondo. Il superamento del sistema hegeliano non poteva avvenire forzandone lo spirito assoluto in senso soggettivo. In tal modo i giovani hegeliani o avevano creduto di superare Hegel, ma erano tornati al dover essere kantiano-fichtiano o ne aveva forzato l’idealismo in senso soggettivo fino a perdere ogni contatto con il reale, con la dialettica del concreto, fornendone una caricatura che avrebbe portato a considerare lo stesso Hegel un cane morto. Al contrario, il reale su cui si fondava il razionale hegeliano non era come pretendevano i suoi critici liberali la miseria tedesca, quanto piuttosto il processo di rivoluzione politica apertosi in Francia nel 1789 e ancora in pieno svolgimento negli anni Quaranta del XIX secolo.
Le letture del giovane Marx si concentrarono, dunque, sulla Rivoluzione francese nel tentativo di superare dialetticamente la hegeliana Filosofia del diritto, apice sino allora della riflessione filosofica sullo spirito oggettivo più affine agli interessi di Marx dello spirito assoluto. Tanto che definisce l’hegeliana riflessione sul diritto l’unica opera tedesca a stare al passo con “l’autentica epoca presente” [10]. Tuttavia solo entrando direttamente in contatto, in Francia e poi in Belgio, con il settore più avanzato del movimento rivoluzionario Marx sarà in grado di dare un effettivo contributo allo sviluppo della filosofia politica. Il settore sociale che faceva sua la tradizione più radicale della Rivoluzione francese e si sforzava di svilupparla ulteriormente non era l’intellighenzia democratico-borghese come in Germania, ma i primi quadri, spesso piccolo-borghesi, del proletariato in formazione.
Note:
[1] K. Marx e F. Engels, L’ideologia tedesca [1846], tr. it di F. Codino, Editori Riuniti, Roma 1967, p. 13.
[2] Il concetto di classe in Marx non ha nulla di positivo, di sociologico. Il momento dell’in sé non è sufficiente al sorgere d’una classe sociale se non in potenza, ovvero nel concetto. Come chiarisce Marx: “nella misura in cui milioni di famiglie vivono in condizioni economiche tali che distinguono i loro modi di vita, i loro interessi, e la loro cultura da quelli di altre classi e li contrappongono ad esse in modo ostile, esse formano una classe” K. Marx, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte [1852], tr. it. di P. Togliatti, Editori Riuniti, Roma 1991, p. 143.
[3] K. Marx e F. Engels, L’ideologia tedesca, op. cit., p. 3.
[4] K. Marx, Manoscritti economico filosofici del 1844 a cura di Norberto Bobbio, Giulio Einaudi editore, Torino 1968 p. 120.
[5] Id., Tesi su Feuerbach [1845], in Marx-Engels, Le opere, Editori Riuniti, Roma 1971, p. 188.
[6] Id., Manoscritti economico…, op. cit., p. 115.
[7] Id., Critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione [1843], in Id., Scritti politici giovanili, a cura di Luigi Firpo, Einaudi, Torino 1975, p. 404.
[8] Come osservano a tal proposito Marx ed Engels: “se da un lato la speculazione, apparentemente, crea liberamente da sé, a priori, il proprio oggetto dall’altro lato, proprio perché vuole negare per mezzo di sofismi la dipendenza razionale e naturale dall’oggetto, essa cade nella servitù più irrazionale e più innaturale verso l’oggetto, le cui determinazioni più casuali, più individuali, essa è costretta a costruire come assolutamente necessarie ed universali”. K. Marx, F. Engels, La sacra famiglia [1845], traduzione italiana di A. Zanardo, Editori riuniti, Roma 1967, p. 75.
[9] Da qui la prima presa di distanza critica da Feuerbach: “sugli aforismi di Feuerbach non sono d’accordo solo in un punto, cioè che egli insiste troppo sulla natura e troppo poco sulla politica. Tuttavia questa è l’unica alleanza tramite cui la filosofia può diventare una verità” Lettera di Marx a Ruge del 13-3-1843, in K. Marx, F. Engels, Opere complete, vol. I, Karl Marx 1835-1843, a cura di M. Cingoli e N. Merker, Editori Riuniti, Roma 1980, pp. 419-20.
[10] K. Marx, Critica della filosofia…, in op. cit., p. 401.