Antonio Gramsci rigetta il “sarcasmo” [1] di Benedetto Croce verso gli ideali di eguaglianza che, per quanto possano apparire utopistici agli intellettuali tradizionali, hanno assunto concretezza storica nel momento in cui hanno mobilitato le masse, corrispondendo a un loro bisogno reale. Del resto, come denuncia ancora a ragione Gramsci, è un luogo comune proprio degli intellettuali tradizionali come Croce ritenere che l’Italia avrebbe già “attraversato tutte le esperienze politiche dello sviluppo storico moderno e che pertanto ideologie e istituzioni” democratiche “sarebbero per il popolo italiano cavoli rifatti, repugnanti al palato. Intanto non è vero che si tratti di cavoli riscaldati: il «cavolo» è stato mangiato solo «metaforicamente» dagli intellettuali, e sarebbe riscaldato solo per questi. Non è «riscaldato» e quindi disgustoso per il popolo (a parte il fatto che il popolo, quando ha fame, mangia cavoli riscaldati anche due o tre volte)” (10, 22: 1259-260). Del resto, come osserva ancora Gramsci, gli intellettuali tradizionali come Croce possono irridere, con il loro cinismo da cretini direbbe Marx, i valori democratici dell’eguaglianza, esaltando di contro a essi “la libertà – sia pure speculativa –. Essa sarà compresa come eguaglianza” dalle masse popolari e persino le opere di Croce saranno intese dal popolo “come l’espressione e la giustificazione implicita di un costituentismo che trapela da tutti i pori di quell’Italia «qu’on ne voit pas» e che solo da dieci anni sta facendo il suo apprendissaggio politico” (10, 22: 1260). All’ironia scettica dei liberali, che mira a distruggere con la forma utopistica il contenuto del sentimento egualitario [2], Gramsci contrappone il “sarcasmo appassionato, appassionatamente «positivo», creatore, progressivo” di Karl Marx. Quest’ultimo non mira, come il sarcasmo di conservatori e reazionari, a irridere e distruggere il “nucleo vivo delle aspirazioni contenute in quelle credenze”, “il sentimento più intimo di quelle illusioni” egualitarie e democratiche proprio della masse popolari, ma a dileggiarne la forma immediata e utopistica connessa “a un determinato mondo «perituro», il puzzo di cadavere che trapela attraverso il belletto umanitario dei professionisti degli «immortali principii»” al fine di sviluppare una nuova forma, in grado di “determinare meglio quelle aspirazioni” (26, 5: 2300).
Come chiarisce giustamente Gramsci il sarcasmo di destra andrebbe piuttosto definito come ironia, in quanto sarebbe “solo letterario o intellettualistico e indicherebbe una forma di distacco piuttosto connessa allo scetticismo più o meno dilettantesco dovuto a disillusione, a stanchezza, a «superominismo». Invece nel caso dell’azione storico-politica l’elemento stilistico adeguato, l’atteggiamento caratteristico del distacco-comprensione, è il «sarcasmo» e ancora in una forma determinata, il «sarcasmo appassionato». Nei fondatori della filosofia della prassi – cioè in Marx e in Engels – si trova l’espressione più alta, eticamente ed esteticamente, del sarcasmo appassionato” (26, 5: 2300).
Così, ad esempio, il cristianesimo si sforza di “conciliare in forma mitologica le contraddizioni reali della vita storica”, in quanto l’eguaglianza fra gli uomini come figli di dio sarà realizzata solo nell’aldilà, cioè in un universo trascendente che esiste solo nella fantasia [3]. Tuttavia, sebbene a livello di “aspirazione razionale o sentimentale” (7, 35: 885) – cioè sul piano del dover essere – tale ideale ha segnato in profondità il corso del mondo e, divenendo senso comune di massa, ha contribuito al sorgere d’una coscienza di classe caratterizzata dalla differenza fra ideale di eguaglianza e differenza reale fra ceti sociali. In altri termini gli ideali cristiani hanno segnato “il travaglio continuo della storia”, per cui sebbene si tratta indubbiamente di utopie, non erano tali quando sorsero. Del resto, a parere di Gramsci, l’utopia ha “un valore filosofico, poiché essa ha un valore politico, e ogni politica implicitamente è una filosofia sia pure sconnessa e in abbozzo” (11, 62: 1488). Al punto che Gramsci ritiene che “in ogni sommovimento radicale delle moltitudini, in un modo o nell’altro” (ibidem), sotto forme e ideologie determinate, sia stata rivendicata tale eguaglianza e si sia concretizzata in un programma politico, togliendo la propria veste utopistica. Così il programma giacobino, fondato sull’eguaglianza, era solo apparentemente utopista, in quanto della sua attuabilità “erano persuase le grandi masse popolari che i giacobini suscitavano e portavano alla lotta” (19, 24: 2028).
Allo stesso modo, andrebbero considerate le ripercussioni di tali politiche nella filosofia classica tedesca. Per quanto possa apparirci utopico, l’ideale di un’eguaglianza fra gli uomini fondata sulla comune capacità di ragionare e agire moralmente fondava l’unità di intenti fra intellettuali e masse nella lotta contro il privilegio feudale. Gli stessi concetti idealisti di Stato etico e società civile hanno a fondamento l’ideale di eguaglianza, in base al quale gli uomini accetterebbero “la legge spontaneamente, liberamente e non per coercizione, come imposta da altra classe, come cosa esterna alla coscienza” (6, 88: 764).
Le utopie egualitarie hanno particolare rilievo per Gramsci poiché prefigurano aspetti realizzati o da realizzare nella società regolata. Così l’utopia pedagogica di una “scuola unitaria” sviluppata da Lavoisier durante la Rivoluzione francese, anch’essa fondata sull’ideale di eguaglianza della “natura umana”, assume in Lenin il “significato dimostrativo-teorico di un principio politico” (11, 62: 1489). L’eguaglianza reale si realizza nella misura in cui si viene colmando la distanza fra governanti e governati, resa possibile da una nuova società che pone ogni suo membro nella condizione di ricevere la formazione necessaria a svolgere funzioni direttive.
Gli ideali che prefigurano quelli gramsciani “di Stato senza Stato” o di “società regolata” erano presenti quali utopie progressive nell’idealismo tedesco, mentre assumono invece carattere regressivo nelle concezioni degli intellettuali organici alla classe media e alla piccola borghesia [4] i quali pretendono che l’eguaglianza effettiva, fondamento reale della società comunista, siano realizzabili all’interno del modo di produzione capitalistico, occultando così i rapporti di proprietà borghesi che ostacolano la realizzazione pratica di tali ideali. Lampante esempio di ciò si ha, come denuncia Gramsci nell’attualismo italiano: “per ragioni politiche è stato detto alle masse: «ciò che voi aspettavate e vi era stato promesso dai ciarlatani, ecco, esiste già», cioè la società regolata, l’uguaglianza economica, ecc. Spirito e Volpicelli (dietro Gentile, che però non è così sciocco come i due) hanno allargato l’affermazione, e l’hanno «speculata», «filosofizzata», sistemata, e si battono come leoni impagliati contro tutto il mondo, che sa bene cosa pensare di tutto ciò. Ma la critica di questa «utopia» domanderebbe ben altra critica, avrebbe ben altre conseguenze che la carriera più o meno brillante dei due Aiaci dell’«attualismo» e allora assistiamo alla giostra attuale. In ogni modo è ben meritato che il mondo intellettuale sia sotto la ferula di questi due pagliacci” (6, 82: 755-56).
Note:
[1] Gramsci, Antonio, Quaderni del carcere, edizione critica a cura di Gerratana, Valentino, Einaudi, Torino 1977, volume II, p. 1260. D’ora in avanti citeremo quest’opera fra parentesi tonde direttamente nel testo, indicando il quaderno, il paragrafo e – dopo i due punti – il numero di pagina di questa edizione.
[2] Dunque, a parere di Gramsci, “di fronte alle credenze e illusioni popolari (credenza nella giustizia, nell’eguaglianza, nella fraternità, cioè negli elementi ideologici diffusi dalle tendenze democratiche eredi della Rivoluzione francese), c’è un sarcasmo appassionatamente” rivoluzionario come quello di Marx che deve essere contrapposto al “sarcasmo di «destra», che raramente è appassionato, ma è sempre «negativo», scettico e distruttivo non solo della «forma» contingente, ma del contenuto «umano» di quei sentimenti e credenze (…). Il sarcasmo di destra cerca invece di distruggere proprio il contenuto delle aspirazioni (non, beninteso, nelle masse popolari, che allora si distruggerebbe anche il cristianesimo popolare, ma negli intellettuali), e perciò l’attacco alla «forma» non è che un espediente «didattico»” (26, 5: 2300).
[3] Per dirla con Gramsci il cristianesimo sostiene che “l’uomo ha la stessa «natura», che esiste l’uomo in generale, in quanto creato da Dio, figlio di Dio, perciò fratello degli altri uomini, uguale agli altri uomini, libero fra gli altri e come gli altri uomini, e che tale egli si può concepire specchiandosi in Dio, «autocoscienza» dell’umanità, ma afferma anche che tutto ciò non è di questo mondo e per questo mondo, ma di un altro (– utopico –)” (11, 62: 1488).
[4] Del resto, secondo Gramsci, “la confusione di Stato-classe e Società regolata è propria delle classi medie e dei piccoli intellettuali, che sarebbero lieti di una qualsiasi regolarizzazione che impedisse le lotte acute e le catastrofi: è concezione tipicamente reazionaria e regressiva” (6, 12: 693).