L’ultima opera di David Fincher (autore di “Seven”, “Fight Club”, “Zodiac”) non è particolarmente originale, ma getta una luce inquietante su una società statunitense dominata dalla televisione che si occupa anche dei dettagli della vita privata dei suoi cittadini. Gli Usa dopo aver sconfitto l’Urss si sono arresi al “luogocomunismo”.
di Stefano Paterna
Il matrimonio all'epoca della Tv. “Gone Girl” (L'amore bugiardo nella titolazione italiana) di David Fincher ci parla di un rapporto matrimoniale disastroso, ben al di là della soglia dell'omicidio, eppure totalmente esposto alla vetrina dei mass media.
Negli Stati Uniti contemporanei, contrassegnati da una crisi economica che è trascesa fino a divenire crisi morale, non c'è più spazio di sorta per una dimensione realmente privata della propria vita, né tanto meno per qualsivoglia anticonformismo, sia pure il più lieve. Si vive (e si muore) nello spazio di una trasmissione di intrattenimento pomeridiana o serale, all'insegna dei cliché più tristi su quello che dovrebbe essere la vita di coppia: condivisione degli interessi, comunicazione reciproca, orrore puramente formale dell'adulterio, sacralizzazione della maternità.
Fincher ci aveva abituato in passato a visioni della realtà claustrofobiche (Seven del 1995 e Panic Room del 2002), allucinate e poetiche insieme (lo straordinario Fight Club del 1999), mai banali anche quando si attardava nell'usurato genere del thriller (Zodiac del 2007), questa volta non riesce nell'impresa. Innanzitutto, non consegue il risultato del buon thriller perché viola la semplice regola di mantenere nel dubbio lo spettatore fino all'ultimo secondo (di fatto a metà della lunghissima pellicola si hanno ben chiari i destini dei personaggi principali). Inoltre, non ci offre spunti di grande originalità nemmeno dal punto di vista dell'analisi sociale. Il controllo che la Tv esercita sulla vita dei cittadini era gìà stato trattato con maggiore efficacia nell'ormai classico e bellissimo “The Truman Show” di Peter Weir del 1998. Anche lì, peraltro, il rapporto di coppia puramente decorativo era trattato sia nel senso dell'autoinganno del protagonista interpretato dal grande Jim Carrey, sia indirettamente dal lato dell'inganno del pubblico di massa televisivo.
Rimane certamente la grande maestria tecnica del regista statunitense e l'interpretazione impeccabile dei due protagonisti: Ben Affleck e Rosamunde Pike. D'altra parte, per quanto riguarda il primo aspetto, da un autore che ha curato gli effetti visivi di film come “Guerre Stellari – Il Ritorno dello Jedi”, “La Storia Infinita” e “Indiana Jones e il tempio maledetto”, non ci si poteva attendere di meno.
Spunti interessanti di riflessione, comunque, non mancano e sono di genere ovviamente pessimistico sulla realtà Usa, ma che ormai è anche e pienamente nostra: quella che per decenni si è definita in contrapposizione al comunismo come la terra della libertà individuale è ormai ridotta a una sorta di “villaggio globale” estremamente provinciale, caratterizzato da una morale piccolo-borghese angusta e cattiva, dove tutti (ma inegualmente distribuiti in base alle diverse capacità di reddito) si vestono più o meno allo stesso modo, mangiano le stesse cose, pensano sé stessi e gli altri nello stesso modo, quello propinato dall' “agenda setting” televisiva. Ci si difende e ci si accusa, pertanto, non in base a prove testimoniali, ma a luoghi comuni: la vera moneta non inflazionata delle società capitalistiche contemporanee.
C'è però spazio per il peggio. E quindi all'immaturità e alla vacuità della personalità maschile, è possibile abbinare l'estrema ferocia di una personalità femminile distorta da un'educazione puramente classista e perbenista che utilizza per colpire il proprio partner perfino le condizioni diffuse di sopruso e di violenza alle quali tante donne vengono sottoposte.