Confermata l’esistenza dei fermioni di Majorana e dello spin quantico liquido. Lo studio dell’Oak Ridge National Laboratory del Tennessee ci parla di un nuovo stato della materia ipotizzato dal fisico italiano Ettore Majorana, che faceva parte del gruppo di via Panisperna e che scomparve misteriosamente nel 1938.
di Guido Capizzi
La rivista Nature Materials ha pubblicato uno studio sul fermione di Majorana osservato dall’equipe di scienziati dell’Oak Ridge National Laboratory che sono riusciti a creare, per la prima volta in laboratorio, lo spin quantico liquido, un nuovo stato della materia, teorizzato da Phil Anderson nel 1973.
Sui materiali magnetici presenta un disordine e un caos che richiamano quello delle molecole di un liquido ma, a differenza dei liquidi normali che raffreddando riacquistano un ordine, in questo caso il caos permane anche a temperature più basse. E mentre nei normali materiali magnetici i singoli elettroni si comportano come minuscole calamite che, scendendo la temperatura, si allineano con i poli magnetici puntando tutti nella stessa direzione, nei materiali nello stato spin quantico liquido anche vicino allo zero assoluto essi restano disallineati.
Si crea una “zuppa” causata da fluttuazioni quantiche. Osservando le onde create dalla diffusione dell’urto anelastico dei neutroni con i cristalli, sono state evidenziate delle gobbe coerenti con quanto predetto teoricamente per lo spin quantico liquido. Come dire che uno dei misteri più interessanti e ostici della fisica quantistica è stato risolto.
Per molti anni il fermione di Majorana è rimasto teorico. Il fisico siciliano, nel 1938, ne aveva ipotizzato l’esistenza e lo aveva indicato come entità che fosse contemporaneamente materia e antimateria. Il fermione di Majorana entrava in un’ampia teoria secondo la quale le equazioni sviluppate per descrivere i fenomeni macroscopici della fisica quantistica implicavano l’esistenza di una controparte, cioè l’antimateria, per ogni particella nota. Quindi all’elettrone doveva corrispondere un antielettrone (chiamato poi positrone) con la stessa massa, ma con carica opposta.
Tanti esperimenti hanno consentito negli anni di osservare queste particelle, ma del fermione di carica neutra non si trovava traccia, finché nel 2001 il fisico Alexei Kitaev sostenne che il fermione di Majorana sarebbe apparso alle estremità di un filo superconduttore, ovvero un determinato tipo di superconduttività realizzata su un filo sufficientemente lungo avrebbe indotto la formazione ai suoi estremi di fermioni di Majorana che non sarebbero andati incontro ad annichilazione. Seguendo questa teoria alcuni ricercatori della Delft University nel 2012 tentarono un esperimento su un semiconduttore ottenendo risultati promettenti, ma non riconosciuti come validi dalla comunità scientifica.
Nel 2014 Ali Yazdani riuscì a trovare all’estremità di un filo di ferro superconduttore la particella. Quest’ultima ricerca ha costituito la base dello studio condotto all’ Oak Ridge National Laboratory. La scoperta potrebbe avere applicazioni interessanti: essere in grado di generare fermioni di Majorana porterebbe a un notevole avanzamento della tecnologia legata ai computer, si realizzerebbero super-computer quantistici in grado di avere prestazioni inimmaginabili. Il neutrino è al centro dell’attenzione degli scienziati. Riuscire a rivelare l’esistenza di questo fenomeno farebbe dire che il neutrino è la particella di Majorana, ovvero la sua stessa antiparticella, spiegando perché l’universo contiene materia.
In fisica il decadimento beta consiste nella trasformazione di un neutrone in un protone con l’emissione di un elettrone e di un antineutrino. Nel caso del doppio decadimento si possono verificare due fenomeni.
Il primo è il doppio decadimento beta con due neutrini, ovvero il decadimento di due neutroni, con stesso meccanismo del singolo decadimento.
Il secondo è il doppio decadimento, fenomeno più complesso: l’antineutrino emesso nella trasformazione del primo neutrone in protone viene assorbito come neutrino nella trasformazione del secondo neutrone. In questo modo, l’effetto complessivo sarebbe l’assenza di neutrini e implicherebbe che il neutrino e l’antineutrino siano la stessa particella.
Sono entrambi enti rarissimi, ma il decadimento senza neutrini è ancora più raro, con un tempo di dimezzamento che è, in media, di circa 10^21. La trasformazione avverrebbe per metà dei neutroni osservati in un tempo pari a circa 100 miliardi di volte l’età dell’universo. Lo sviluppo di una teoria della materia, oggi detta Modello Standard, risale agli anni Sessanta e sostiene che tutte le particelle dotate di massa posseggono un oggetto quantistico (lo spin), che è paragonabile al momento magnetico derivante dal moto rotatorio della particella su se stessa. Le antiparticelle si distinguono dalle loro particelle per avere carica elettrica opposta e spin opposto, obbedendo a leggi fisiche distinte. Se entrassero in contatto tra loro, particelle e antiparticelle annichilerebbero, generando fotoni ad alte energie (raggi gamma), che privi di massa e di spin sono le antiparticelle di se stesse. Ma il neutrino potrebbe essere l’eccezione e per questo si colloca in una posizione scomoda nell’attuale Modello Standard, perché ha una massa (non prevista dal Modello Standard) e potrebbe corrispondere all’antineutrino così da apparire simile al fotone e si concretizzerebbe l’ipotesi di Majorana.
È nel 1937 che Ettore Majorana, raffinatissima mente del gruppo di Enrico Fermi, avanzò l’ipotesi che neutrino e antineutrino potessero essere la stessa particella.
“Ettore Majorana, ordinario di Fisica all’Università di Napoli, è misteriosamente scomparso. Di anni 31, metri 1,70, snello, capelli neri, occhi scuri, una lunga cicatrice sul dorso di una mano. Chi ne sapesse qualcosa è pregato di scrivere”, così scrivevano i quotidiani nel 1938.
Le ultime notizie sul giovane scienziato erano datate 26 marzo, quando da un hotel di Palermo aveva annunciato a un suo collega l’intenzione di imbarcarsi sul primo traghetto per Napoli. Poi non se ne seppe più nulla. Sciascia ci ha lasciato un ottimo libro-inchiesta con tanti forse: forse Majorana si suicidò gettandosi in mare; forse fu assassinato; forse scese dalla nave (o non vi mise affatto piede) e si ritirò in un convento; forse rimase in Sicilia, sua terra d’origine; forse si rifugiò in Sud America.
“O forse in Germania, dove condusse studi top secret sull’energia nucleare al soldo dei nazisti”, afferma Federico Di Trocchio, docente di Storia della scienza all’Università La Sapienza di Roma e autore di varie pubblicazioni sul caso Majorana.
La Procura di Roma nel 2008 indagò sulla vicende, per poi concludere che Majorana fuggì segretamente in Sud America in base a una foto scattata in Venezuela nel 1955, in cui appare un uomo, conosciuto con il cognome Bini. L'uomo ritratto risulta compatibile con i tratti somatici del fisico catanese.
Dove sta la verità? La biografia di Majorana è sintetizzata da lui stesso nel 1932: “Sono nato a Catania il 5 agosto 1906, nel 1929 mi sono laureato in Fisica teorica sotto la direzione di Enrico Fermi. Ho frequentato l’Istituto di Fisica attendendo a ricerche di varia indole”. Figlio di un ingegnere e nipote dell’insigne fisico Quirino Majorana, fin da bambino Ettore brillò per le sue doti di matematico, che nella capitale mise al servizio di un gruppo di giovani fisici coordinati dal docente Enrico Fermi e passati alla storia come “i ragazzi di via Panisperna”. Tra loro, Ettore si distingueva per il carattere riservato e la genialità.