Nella notte tra il 3 e il 4 dicembre scorso il Presidente Sudcoreano Yoon Suk Yeol ha trascinato il suo paese in un dramma che ha assunto toni shakesperiani o da tragedia greca, dramma che al momento si dovrebbe essere chiuso nel giro di poche ore grazie alla pronta reazione della popolazione, dei partiti di opposizione, dei sindacati e delle istituzioni della società civile che hanno indotto anche buona parte del partito di appartenenza del Presidente, il PPP (People Power Party) e i vertici delle forze armate e della polizia a non oltrepassare la linea rossa e a rientrare nei ranghi. Non ripercorreremo in queste righe la cronaca di quelle ore drammatiche che hanno fatto trascorrere una notte insonne alla popolazione sudcoreana e a tutti gli espatriati e immigrati che vivono in questo paese, e che alla mattina dopo hanno ripreso la solita vita di tutti quasi come se nulla fosse accaduto.
Il quasi è d’obbligo e acquisisce un peso rilevante nel valutare il significato di questo drammatico episodio che ha rievocato i fantasmi di un passato non troppo lontano di una paese che dal dopoguerra del 1953 fino alla metà degli anni ’90 ha costantemente vissuto sotto regimi autoritari quando non apertamente dittatoriali. Le vicende che si stanno susseguendo nei giorni successivi stanno infatti dimostrando che questo episodio non è soltanto il gesto di un folle, un dramma personale di un procuratore che ha assunto lo scranno della presidenza di questo paese in un momento storico molto particolare a livello globale, e che da subito, con l’indirizzo che ha impresso alla sua azione governativa ha fatto riemergere violentemente tutte le contraddizioni che caratterizzano la vita politica ed economica della Corea del Sud. Per un’analisi più approfondita della vicenda dobbiamo quindi considerare in primo luogo i principali fattori che dominano in questo momento la politica sudcoreana, sia sul piano interno che su quello delle relazioni internazionali e del contesto geopolitico.
Sul piano interno la situazione politica gli ultimi anni sono stati caratterizzati dall’acuirsi di un bipartitismo con due partiti che occupano la quasi totalità dei seggi dell’Assemblea Nazionale e dominano la scena politica, uno di centro-sinistra, il Partito Democratico (PD), e l’altro di centro-destra, il PPP sopra citato che esprime l’attuale Presidente della Repubblica. In un sistema presidenziale alla francese come quello sudcoreano, l’elezione di un presidente di parte opposta alla maggioranza del parlamento determina una situazione di stallo politico che le ultime elezioni, dello scorso aprile, hanno approfondito. In realtà il PD ha tradizionalmente una linea politica abbastanza moderata, e tuttavia la linea politica di questo Presidente ha fatto si’ che lo scontro politico si sia fortemente intensificato in questi anni, e negli ultimi mesi lo scontro si era fatto durissimo a causa del rifiuto dell’assemblea di far passare la legge di bilancio proposta dal governo, ispirato da una forte impronta di austerità fiscale, con una battaglia parlamentare senza esclusione di colpi. Anzi lo scontro politico parlamentare si è saldato a quello già in atto sul fronte giudiziario, un terreno che da sempre la politica coreana ha calcato nella breve storia del sistema democratico rappresentativo, dopo la lunga stagione delle dittature militari durata fino ai primi anni ’90.
Lo scontro sul fronte giudiziario vede due vicende incrociate, la prima che riguarda la moglie del Presidente Yoon, Keon Hee Kim, una first lady che si è fatta conoscere per una certa spregiudicatezza e un forte attivismo politico e che è rimasta invischiata in una torbida storia di speculazioni finanziarie. Sull’altro versante è il leader del PD, Lee Jae-myung, una figura carismatica e storica del partito, ad essere interessato da un’inchiesta per corruzione. Entrambi i partiti hanno usato le vicende a scopo propagandistico portando ad un ulteriore surriscaldamento dello scontro politico negli ultimi tempi.
Sul fronte delle relazioni internazionali ovviamente la questione centrale per la politica estera sudcoreana è sempre quella dei rapporti con la Corea del Nord. Questo è uno dei terreni di maggiore divergenza tra i due partiti, poichè il PD, nel corso della precedente presidenza di Moon Jae-in, era riuscito a raggiungere dei risultati storici in termini di distensione, il cui culmine era stata la sfilata congiunta degli atleti dei due paesi alla cerimonia di inaugurazione delle Olimpiadi invernali svoltesi peraltro proprio in Corea del Sud, a Pyeongchang nel 2018. Con l’avvento del Presidente Yoon, negli ultimi due anni, la politica estera sudcoreana ha subito un netto cambiamento di rotta, con un totale allineamento al fronte occidentale egemonizzato dagli USA, e un forte avvicinamento anche al Giappone, fatto inedito nella storia sudcoreana che ha sempre fatto i conti con la dolorosa memoria di un’occupazione giapponese durata dalla fine del XIX secolo fino alla seconda guerra mondiale, con diverse modalità. Questo avvicinamento non è mai stato gradito alla grande maggioranza della popolazione, anche perché il Giappone continua spesso ad adottare in diversi ambiti una linea negazionista.
In ogni caso la presidenza Yoon si è fin qui caratterizzata per rimarcare la massima fedeltà agli Stati Uniti, anche accettando di pagare un costo economico non indifferente, in una fase di approfondimento del conflitto USA-Cina, dovendo ridimensionare notevolmente i rapporti economici con una Cina che per decenni ha rappresentato uno dei principali partner commerciali e avendo notevoli investimenti industriali in Cina, con intere filiere che si sono dovute smantellare e ricostruire con notevoli investimenti produttivi negli stessi USA condotti dai principali conglomerati sudcoreani, soprattutto in settori strategici come l’automotive, i semiconduttori e le tecnologie digitali, beneficiando quindi l’alleato maggiore sia dal punto di vista geopolitico che anche sul piano economico interno.
Tutto questo ha portato ovviamente in questi ultimi anni al rialzarsi delle tensioni con la Corea del Nord, provocate soprattutto da una sempre più attiva partecipazione delle forze sudcoreane ad esercitazioni navali congiunte con USA e Giappone nelle acque del Pacifico in funzione non soltanto anti nordcoreana ma anche anticinese. Questo ha portato il regime di Pyongyang ad alzare il livello di allerta e a rispondere con sempre più frequenti lanci di missili nucleari a scopo di deterrenza e senza causare alcun danno al territorio sudcoreano. Ultimamente la Nord Corea aveva avviato la distruzione di alcune infrastrutture stradali nel proprio territorio nelle aree di confine con la zona demilitarizzata giustificate dal timore di possibili invasioni militari da parte della Sud Corea e degli USA, che continuano a mantenere basi militari nel territorio sudcoreano con diverse migliaia di effettivi.
Infine sul fronte economico questi sono stati anni di stagnazione per l’economia coreana che si trova di fronte ai limiti del proprio modello di sviluppo industriale, il cui miracoloso decollo si deve in gran parte al forte sostegno USA negli anni delle dittature militari. Tuttavia, come già evidenziato, con l’ascesa sul piano globale della Cina a potenza manifatturiera prima e poi anche tecnologica e finanziaria, la Corea del Sud si era fortemente integrata economicamente seguendo gli interessi dei suoi grandi conglomerati industriali, che invece negli ultimi anni hanno dovuto riorganizzare le proprie filiere produttive in base ai provvedimenti adottati da Washington.
La stessa politica monetaria condotta in questi anni dalla Federal Reserve USA ha generato un impatto negativo per l’economia domestica coreana, con la svalutazione del Won e tensioni inflazionistiche dovute ai costi energetici, solo parzialmente compensato dalla spinta alle esportazioni verso gli USA, soprattutto semiconduttori e componenti tecnologiche.
La difficile congiuntura economica è impattata soprattutto sulle piccole imprese, sul commercio al dettaglio e sulle classi lavoratrici, con emergere di maggiore conflittualità sociale che sempre più sta facendo emergere le contraddizioni di questa presidenza e del suo partito, PPP, non esente dal cavalcare posizioni populiste (ad esempio per riduzione del carico fiscale per le piccole imprese) non sempre poi realizzate nella pratica.
Tutte queste tensioni e contraddizioni hanno giocato un ruolo nel determinare la decisione di intraprendere un’avventura golpista, facendo tuttavia al contempo perdere il contatto con la realtà di un paese e di una popolazione soprattutto che, pur essendo divisa su tanti temi, nella sua grande maggioranza non è disposta in nessun modo ad accettare un ritorno ad un passato autoritario, almeno non nello smantellamento delle istituzioni della democrazia liberale e rappresentativa, che comunque in passato qualche progresso hanno consentito anche alle classi subalterne.
Questo è apparso chiaro nelle poche ore che hanno separato l’annuncio della legge marziale, con farneticanti dichiarazioni in merito ad un pericolo sovversivo delle forze “anti-stato” e della consueta minaccia del comunismo e accuse di connivenza con la Nord Corea lanciate all’opposizione, dal voto dell’assemblea nazionale con cui la legge è stata respinta e dichiarata incostituzionale. Tale risultato è stato possibile grazie alla pronta reazione popolare che ha visto radunarsi fuori dalla sede dell’assemblea nazionale, decine e poi centinaia e migliaia di persone nel giro di poche ore, e che ha visto i parlamentari dei partiti di opposizione e anche di una frangia del PPP riunirsi prontamente e difendere l’aula assembleare dal tentativo di occupazione da parte delle truppe scelte inviate con gli elicotteri, tutto sotto i riflettori dei media e della stampa che ha permesso la visione in diretta degli eventi a tutta la popolazione coreana e mandata in onda a livello planetario.
La leggerezza e la maldestria mostrata dal presidente e dalla sua cerchia nel non aver considerato la possibilità di una reazione del genere appaiono come segnali di una visione autoritaria e paternalistica che ancora caratterizza una parte delle élite politiche e delle classi dirigenti coreane.
Tuttavia gli eventi di questi ultimi giorni seguiti alla notte del fallito golpe dimostrano che la tesi del colpo di testa di un singolo non può spiegare completamente la dinamica in atto. In primo luogo si è assistito ad un comportamento molto ambiguo da parte del PPP, che dopo aver preso le distanze e manifestato la totale estraneità rispetto alla mossa del Presidente , almeno una fazione maggioritaria di esso guidata dal leader Han Dong-hoon, tuttavia si è poi adoperato per impedire ad ogni modo il tentativo di impeachment portato avanti dal PD, tentativo che poi in effetti è fallito con il voto di sabato sera che non ha permesso di raggiungere il quorum di 200 voti sui 300 membri dell’Assemblea, proprio perché tutti i parlamentari del PPP, tranne due, sono usciti dall’aula prima del voto.
La proposta del PPP di ottenere una rimozione dall’incarico del Presidente e sostituirlo con una sorta di duumvirato tra l’attuale premier, Han Duck-soo, e il leader Han Dong-hoon (ribattezzato governo Han-Han) fino alla scadenza del mandato, ha scatenato una forte reazione popolare, con manifestazioni di piazza imponenti che si sono susseguite anche dopo il voto di sabato sera. Tale soluzione peraltro viene denunciata dal PD come non costituzionale, denuncia giuridicamente fondata. L’ultimo episodio è stata la dichiarazione del Presidente Yoon, la mattina di lunedì 9 dicembre, con cui ha ceduto alla richiesta di rassegnare le dimissioni ma con l’ambiguità di voler rimettere il suo mandato al suo partito e non all’Assemblea Nazionale, soluzione, oltre che incostituzionale, ovviamente inaccettabile per le opposizioni e per la grande maggioranza della popolazione, e nel frattempo il PD sta per presentare una mozione di impeachment anche per il Primo Ministro.
Appare quindi evidente che l’impeachment preoccupa non soltanto il Presidente ma una buona componente del governo e del suo partito di riferimento, segno che si vogliono celare probabilmente delle responsabilità più diffuse e ramificate di quanto non sia apparso dallo svolgimento degli eventi nei primi giorni. Peraltro sono state avviate contemporaneamente 3 inchieste indipendenti tra loro rispettivamente dalla procura, dalla polizia e dal comitato di sicurezza nazionale, determinando già una forte confusione nella conduzione delle indagini e relativi conflitti di competenza che alla fine hanno il solo effetto di indebolire la ricerca della verità su come si sono realmente svolti i fatti.
In questo contesto è quindi difficile ad oggi prevedere lo sviluppo degli eventi dei prossimi giorni. Di certo la continuità della mobilitazione popolare avrà un peso importante nell’esercitare forti pressioni e costringere quindi almeno una parte del PPP a prendere realmente le distanze da Yoon e dai suoi probabili sostenitori più o meno occulti e a far passare finalmente il voto per l’impeachment del Presidente Yoon. Nel frattempo il futuro della Corea del Sud appare sempre meno roseo di come la strategia di leadership globale perseguita negli ultimi dall’attuale governo avrebbe voluto far intendere e i timori per nuovi tentativi di svolte autoritarie, magari in modalità diverse e meno maldestre di quella della scorsa settimana, non possono essere del tutto trascurati.