“Your faith was strong but you needed proof/You saw her bathing on the roof/Her beauty and the moonlight overthrew you/She tied you To a kitchen chair/She broke your throne, and she cut your hair/And from your lips she drew the Hallelujah”
La tua fede era salda ma avevi bisogno di una prova/La vedesti fare il bagno dalla terrazza /La sua bellezza e il chiaro di luna ti vinsero/Lei ti legò Alla sedia della cucina/Ti spaccò il trono, ti rase i capelli /E dalle labbra ti strappò l’Alleluja
(L.Cohen)
Se ne va, mentre tutto il mondo canta il suo Hallelujah, metafora del binomio fra religione e sesso, una dicotomia che pervade spesso i suoi testi. Se ne va a 82 anni, The voice 2. In antitesi, in contrapposizione al mito di The voice (the big Frank). Leonard Cohen ha raccontato nei suoi testi, oltre al mal d’amore, anche il malessere dell’esistenza, quell’inesorabile male di vivere che condanna all’immobilismo e all’immutabilità. Quando si ascolta Cohen, fuori sembra sempre che piova. L’atmosfera ideale per accompagnare la sua melodia è questa, quella che dà una giornata plumbea, piovosa. Si ascolta, preferibilmente in penombra, col ticchettio della pioggia sui vetri e ci si strugge di mal d’animo. Per un amore perduto, o per l’ineluttabilità di un destino cinico e baro.
L’amore cantato da Leonard, uno dei più famosi songwriter dalla seconda metà del Novecento a oggi, non è quello banale delle canzonette da festival, ma è sensualità pura, è tormento. “Il pianeta”, ascoltando le note vellutate e profonde della sua voce, si è innamorato perdutamente del suo pessimismo cosmico. Choen canta in solitudine e per la solitudine. Non si può immaginare un Cohen che ravvivi il morale, la cui musica infonda vivacità e allegria. Chi ascolta e si compenetra nella musica di Cohen si strugge pensando all’alienazione, all’impossibilità di un mondo migliore, alle ingiustizie sociali sul lavoratore sfruttato, al capitalismo e allo sfruttamento del padrone sul lavoratore schiavizzato e deprivato dei diritti. O pensa a un amore impossibile, dannato e passionale. Binomi preferiti nei suoi testi: schiavo e padrone e sesso e religione.
Leonard è il songwriter degli “apocalittici”, quella fascia sociale di intellettuali che Umberto Eco distingue dagli “integrati”.Raffinato poeta e scrittore di romanzi, entra con i suoi testi in una dimensione intima, con una musicalità straordinaria. Conforme più che altro alla chanson di Jacques Breil e George Brassens. Così come a Yves Montand e Juliette Greco e all’usignolo, Edith Piaf. Quel mondo di chansonniers e poeti de la rive Gauche della Senna. Quel mondo di artisti dell’esistenzialismo a cui si rifà anche la nostra scuola genovese con Gino Paoli e Fabrizio De Andrè. A Cohen De André si ispira in alcuni suoi testi. “Suzanne” in particolare, brano elegantissimo e simbolo del pensiero sociale di Choen in cui la dicotomia schiavo-padrone assume un ribaltamento di ruoli. Per cui sarà lo schiavo stesso a trionfare sulle tracotanze del capo che verrà a sua volta sottomesso e umiliato. Un messaggio di insolito ottimismo da Cohen e di grande valenza nelle lotte di classe di cui il nostro Faber era fautore.
La vita di Leonard, poeta “maudit” e menestrello triste
Canadese, di famiglia ebraica, debutta nel 1956 con una raccolta di poesie: Let Us Compare Mythologies. A cui seguono: Six Montreal poets e The Spice-Box of Earth. In Grecia, a Hydra, scriverà due romanzi: The favourite game e Beautiful losers. Nasce compositore con l’album Songs of Leonard Cohen. Era il periodo hippy, inizio anni ‘70. L’epoca della beat generation. Quel fenomeno inneggiava alla libertà assoluta con la rivoluzione sessuale e l’uso di stupefacenti “per allargare le coscienze” dicevano i seguaci di quel pensiero innovativo e di quelle nuove comunità. Not the war, Fate l’amore , non la guerra, Mettete dei fiori nei vostri cannoni, slogan allusivi alla guerra in Vietnam. La visione del mondo degli hippy veniva incarnata dai Beatles con All you need is love: Leonard, allora, era fuori gioco.
Troppa melanconia nei suoi testi inneggianti alla morte e al suicidio, in un’epoca in cui gli ideali dei giovani hippy inneggiavano ed esaltavano la vita e la vitalità, i diritti umani e la spensieratezza. Non finì lì, non finì dimenticato quel Song. Divenne anzi il manifesto di Cohen. In quei brani c’era la sua identità di poeta e di musicista. Assume l’aura che lo connoterà sempre, consacrandolo menestrello del pessimismo e della malinconia. Halleluja, la sua hit più famosa nasce a fine anni ‘70 con l’album Various positions. Il genere cambia, è un sound rock che non ottiene subito allori, né, le luci della ribalta. Contiene però il pezzo che lo consacrerà come miglior compositore in tutto il mondo. Halleluja è anche oggi la ballade musicale più famosa nel mondo della musica.
Leonard e la religione
La religione è sempre stata, nel corso della vita di Cohen, un elemento fondante e contraddittorio. Sono gli anni ottanta e, dopo I’m your man, opera in cui lascia la chitarra e adotta la tastiera, inizia per l’artista un periodo di profonda crisi mistica che lo porterà ad un lungo periodo di riflessione religiosa, ma anche di assenza di produzione da songwriter e dai live, in giro per il mondo. Esplora le religioni abbracciando prima “Scientology” e poi il buddhismo, ritirandosi in un monastero di Los Angeles. In quel periodo prenderà il nome di Jikan (il silenzioso). Lui di religione giudaica, con la Bibbia sempre in tasca, i cui richiami estendeva spesso nei suoi testi, si lega in quel periodo anche alla dottrina Zen affermando che i principi non si riferiscono alla religione, ma a una forma di meditazione in cui il dio delle dottrine religiose non è il richiamo fondamentale, anzi non esiste.
Un ateo-ebreo quindi, che secondo i suoi binomi dicotomici ci sta pure. Ne paga lo scotto vivendo questa nuova dimensione mistica in un conflitto ideologico che lo inquieta talmente tanto da dichiarare. “Se hai a che fare con questo materiale non ci puoi mettere Dio. Pensavo che potevo illuminare il mio mondo e quello della gente intorno a me e di potere prendere il cammino di Bodhisattva cioè il cammino dell'aiutare gli altri. Pensavo di poterlo fare, ma non ci sono riuscito. Questa è una strada dove persone molto più forti, generose e nobili di me si sono bruciate. Quando si comincia a trattare materiale sacro ci si lacera profondamente” (L.Cohen a L.A. Style nel 1988).
E Leonard, il cantore della tristezza è lacerato nell’animo. Ma in realtà, già lo era. Con questa angoscia del mal di vivere, un po’ alla Pavese, torna a produrre testi e esplode sulla scena musicale con The Future. Profezie apocalittiche sul futuro dell’umanità. Pessimismo all’ennesima potenza, ma è un successo mondiale. Closing time, contenuto nell’album viene considerata da molti critici la più bella canzone di tutti i tempi.
Leonard, la politica e l’impegno sociale
Cohen ha scritto e cantato l’impegno per la giustizia sociale. Nei suoi testi la ribellione verso i potenti e i prepotenti è spesso evidente. Chi lo ha conosciuto lo ha ritenuto uomo di sinistra. Più radical chic, che militante. Ma le lotte per i diritti e i movimenti contro i sistemi di potere neoliberisti non lo hanno mai visto politicamente schierato. Dalla politica ne ha preso le distanze, mai schierato per questo o quel partito. Prende però posizione oppositiva verso gli Usa e verso tutti i governi capitalisti occidentali, considerandoli poteri contro la democrazia. Il mezzo sono le sue canzoni e la sua poesia ove è chiaro il messaggio per perorare le cause umanitarie. Più che altro profeta della pace e dell’amore, come canta in The future, ove nonostante il pessimismo cosmico, lancia una ventata di ottimismo: “Ho visto Il luogo e le nazioni in autunno...ma l’amore è l’unico motore di sopravvivenza”. Bye bye, “Field Commander Cohen”. Addio Leonard, menestrello malinconico.
Fonti:
https://it.wikipedia.org/wiki/Leonard_Cohen
Addio a Leonard Cohen, uno scrittore prestato alla canzone - Il Sole ...
www.ilsole24ore.com/.../leonard-cohen-scrittore-prestato-canzone-1032.
www.ondarock.it › songwriter