Videolezione: Socrate

Concludiamo la pubblicazione delle videolezioni del corso: “Controstoria della filosofia in una prospettiva marxista”. Primo ciclo: “La filosofia antica dai presocratici a Socrate”, tenuto dal professor Renato Caputo per l’Università popolare Antonio Gramsci con il video della ottava lezione dal titolo: “Socrate e la crisi della civiltà ellenica”.


La formazione di Socrate, il distacco da Anassagora e dai sofisti

Socrate si forma quando la civiltà greca ha raggiunto il suo apice, nella cerchia di Pericle. Ma non è soddisfatto dal sapere di Anassagora, in quanto non gli basta sapere come stanno le cose, ma vuole indagare come è giusto che siano. Ricercando i criteri per valutare la realtà si concentra sulla realtà sociale. Solo sull’agire umano è, infatti, possibile dare giudizi di valore. Si rivolge perciò ai sofisti, ma se ne distacca per il loro relativismo etico.

La crisi e la conseguente critica della democrazia

Socrate diviene maturo durante la guerra del Peloponneso con la crisi del mondo greco. La crisi rende Socrate consapevole dei limiti della democrazia e del sapere tecnico-naturalistico di stampo anassagoreo, ormai incapace di garantire quell’armonia e ordine sociale che avrebbero dovuto consentire un costante progresso. Ciò lo porta a criticare i limiti del principio maggioritario su cui si fonda la democrazia. La maggioranza dei cittadini non ha le necessarie competenze e diviene facile preda di demagoghi e sofisti. Socrate considera la politica un sapere determinato, che consiste nella guida della polis.

La necessità di elaborare una scienza politica che guidi la società

Dunque, a dirigere la cosa pubblica non deve esser posto chiunque come in democrazia, ma solo chi possiede questo sapere. Non quindi uomini esperti in altre arti, ma politici. La politica deve orientarsi a fini e valori universali, non a interessi particolari. Deve ricercare il bene collettivo. Occorre elaborare una tecnica politica che controlli e guidi l’azione sociale del mondo dei tecnici e degli artigiani. Da questo punto di vista la sua posizione è assimilabile a quella di sofisti come Protagora. Ma mentre per quest’ultimo tale tecnica coincide con la retorica, per Socrate essa ha alla sua base la confutazione della pretesa di validità incondizionata di ogni sapere. 

Dal sapere di non sapere alla necessità di definire i concetti

Nella ricerca dei criteri di valutazione, Socrate si rende innanzitutto conto della necessità di definire i concetti, che proprio perché noti, non sono conosciuti. Il sapere di non sapere diviene imprescindibile per la loro reale conoscenza. L’ignoranza socratica, indica la consapevolezza dei limiti del proprio sapere, la ricerca della verità e del bene non è mai finita, non sono nel possesso di una dottrina, ma nella pratica della ricerca. Perciò Socrate confuta ogni pretesa di possedere un sapere definitivo e autosufficiente.

La definizione universale e l’indagine razionale

La domanda di Socrate consiste nella richiesta di una definizione universale. Che cos’è il giusto? Gli interlocutori di Socrate non appaiono in grado di andare al di là dell’elencazione di una serie di cose giuste. La domanda di Socrate torna a vertere sul giusto in sé, al di là dei soggetti cui è riferito. Tale spostamento di attenzione dai soggetti, al predicato, fonda la possibilità di un’indagine razionale.

L’ironia socratica

Con il metodo dell’ironia Socrate smaschera i gravi limiti della classe dirigente e degli intellettuali cui il popolo aveva delegato il proprio criterio di valutazione. Tramite l’ironia denuncia l’inconsistenza dell’ideologia dominante, che nel confronto dialettico con Socrate finisce inevitabilmente in un’aporia, ossia in un vicolo cieco. 

Socrate perfeziona l’argomentazione razionale, con una serie di insidiose domande e obiezioni che smascherano l’inconsistenza scientifica del sapere del contraente, fino a confutare – ponendole in contraddizione – le false certezze dell’interlocutore. In particolare contesta il sapere di poeti, politici, sofisti, sacerdoti perché vacuo, riconoscendo a scienziati e tecnici il possesso di una competenza determinata, ma nega che sia sufficiente a risolvere i problemi della polis

L’arte della maieutica

Dopo aver confutato la presunzione di possedere una verità indubitabile del proprio interlocutore, Socrate non fornisce risposte conclusive, in quanto intende porre gli ateniesi dinanzi alla crisi della loro cultura tradizionale. 

In tale situazione di crisi i suoi concittadini avrebbero da soli dovuto produrre forme più elevate di coscienza, nei cui riguardi Socrate si limita a usare l’arte della levatrice, la maieutica.

Emanciparsi dall’ideologia dominante apprendendo a ragionare in modo corretto

Dalla dimostrazione che gli intellettuali più considerati e la classe dirigente non erano in grado di definire i concetti e, dunque, i valori etico-politici su cui si doveva reggere la città-Stato, Socrate non giunge alla semplicistica soluzione sofista per cui questi valori non esisterebbero. Si tratta, invece, di insegnare ai proprio concittadini a ragionare con la propria testa (maieutica) per emanciparsi dall’ideologia dominante. Ma per fare ciò vi è bisogno del filosofo che insegna al cittadino ad avere il coraggio di utilizzare la propria ragione in modo corretto.

La virtù come scienza che ha come fine il sommo bene

Lo scopo finale del dialogo socratico è quello di superare un sapere fittizio, astratto, nozionistico, sofistico e sviluppare un sapere pratico volto a formare un uomo virtuoso. La virtù non è l’ossequio alle norme tradizionali transitorie, ma è un sapere, è scienza. L’oggetto della scienza con cui la virtù s’identifica è il bene quale valore etico-politico per eccellenza. La virtù quale scienza del bene ha in Socrate la supremazia sulle altre forme di sapere, poiché solo essa conosce il fine verso cui ogni sapere e azione, prima fra tutte la politica, deve indirizzarsi: il sommo bene. Di esso Socrate non dà una definizione. Elabora tuttavia, a differenza dei sofisti, un criterio per discriminare il vero bene dai beni illusori. Contro le parvenze di bene, come i piaceri del corpo o l’apparente felicità degli ingiusti, il vero bene è nella ragione. L’uomo scoprirà il bene conoscendo se stesso.

Il sapere quale fondamento della virtù, ha quest’ultima come fine

In tal modo Socrate supera l’agire etico immediato dell’uomo greco e introduce la moderna riflessione morale, per cui non si agisce bene in modo naturale, ma in modo consapevole. In tal modo il sapere è il fondamento della virtù e al contempo ha quest’ultima come scopo ultimo. Sorge la morale dell’intenzionalità e il legame indissolubile fra agire in modo razionale ed essere virtuosi. Da questo punto di vista si può insegnare la virtù insegnando all’uomo a essere razionale. Socrate non definisce il bene, in quanto non è una norma data, ma è l’obiettivo di una ricerca che avviene nel dialogo interiore con la coscienza e con gli altri, una ricerca che non può concludersi in una soluzione definitiva, visto che le condizioni mutano costantemente. Non esistono formule, comandamenti o dottrine da seguire per essere virtuoso. Si tratta di un sapere pratico; l’uomo imparando a utilizzare correttamente la ragione saprà di volta in volta fare la cosa giusta. Al contrario chi agisce male, non comprende qual è la cosa giusta. 

Il male deriva da una carenza conoscitiva

Dato che ognuno vuole il proprio bene, nessuno si comporterebbe in modo ingiusto se sapesse veramente cosa è bene per lui. Il male deriva da una carenza conoscitiva che fa identificare in modo sbagliato il bene. Si crede che il bene consista nel potere, nel piacere e ci si comporta in modo ingiusto per procurarseli. Ma se si seguisse la virtù, come corretta valutazione scientifica del bene, si comprenderebbe che il bene riguarda la sola anima, e la felicità dell’anima non passa per il potere o il piacere, ma sta in un comportamento equilibrato e giusto.

La ricerca della felicità e la voce della coscienza

Ogni uomo mira alla felicità e, a tale scopo, deve riconoscere e ottenere ciò che è meglio per sé. La felicità prodotta da un’azione non virtuosa è solo apparente, perché si fonda su qualcosa di effimero, soggetto alla mutevolezza di desideri e accadimenti. La morale è interiore, è soggettiva, è la voce della coscienza e della ragione. Alla volontà di dèi e oracoli Socrate sostituisce la voce della coscienza che lo esorta a non agire in modo irrazionale.

La democrazia costretta sulla difensiva dalla crisi finisce per processare Socrate

Socrate sarà il terzo filosofo martire ad Atene, patria della democrazia, dopo Anassagora e Protagora. Alla sconfitta di Atene nel 404 a. C. con la guerra del Peloponneso e alla dittatura anacronistica dei 30 tiranni, risponde nuovamente il demos che restaura la democrazia, non però quella espansiva dei tempi di Pericle, anche a causa della debolezza militare. Per tutta la prima metà del IV secolo la democrazia è costretta ad amministrare una crisi sociale per la quale non vi sono più sbocchi all’estero. I democratici devono costringere la riluttante aristocrazia a sostenere il peso del pubblico mantenimento di un demos via via più numeroso e parassitario. Ciò spinge la democrazia ateniese sulla difensiva anche sul piano ideologico, come dimostra il processo a Socrate, con l’accusa di corruzione della gioventù ed empietà. L’accusa è sostenuta da un personaggio forte e moderato del nuovo regime: Anito.

La morale socratica rompeva con l’eticità immediata del mondo greco

La morale socratica andava contro la religione e allontanava i giovani da quest’ultima e dall’eticità naturale. Da parte sua, Socrate avrebbe potuto evitare la condanna a morte con un qualche compromesso, ossia dimostrando la propria sottomissione al potere costituito. La condanna di Socrate dipese dal fatto che la sua ricerca filosofica è entrata in contraddizione con i fondamenti etici dei costumi del tempo, ivi compresa la democrazia ateniese. Socrate non si difende per non scendere a compromessi con un tribunale che rappresenta la cultura democratica, peraltro in una crescente crisi. Socrate insiste nella critica al falso sapere, al venire meno dei valori morali nella politica della polis.

L’imperativo categorico porta Socrate a dire la ciò che pensa durante il processo, un pensiero anticonformista e antipopulista che lo porterà alla condanna a morte, cui Socrate non si sottrare proprio perché impedito dalla voce della coscienza. Non si può rispondere, infatti, a un’ingiustizia con un’altra ingiustizia. 

Da Socrate muove la filosofia seguente spartendosi l’eredità del maestro

Morto Socrate, il suo insegnamento si dimostra vincente, anche se si divide in due filoni, che se ne spartiscono gli elementi, tenuti insieme dal maestro. Da una parte sopravvive il richiamo ai diritti della coscienza individuale, lo scetticismo del saggio dinanzi ai valori della società in cui vive, il progressivo isolamento del filosofo dal sapere scientifico e dalla politica. Di tale filone si fanno interpreti i socratici minori: i cinici, i megarici e i cirenaici, su una linea filosofica che porterà in seguito allo sviluppo delle scuole stoica, scettica ed epicurea. In tal modo, però, viene meno il profondo legame fra Socrate e il mondo della polis, in quanto il lascito socratico viene innestato in un individualismo e cosmopolitismo in cui Socrate non si sarebbe riconosciuto. Inoltre tali concezioni tendono a trascurare il momento fondamentale, propriamente teorico dell’insegnamento di Socrate, ossia le virtù come sapere, la filosofia come ricerca metodica del bene e della verità.

Questi ultimi aspetti sono stati, al contrario, ripresi e sviluppati dalla seconda e maggiore corrente filosofica che si richiama a Socrate, ossia da Platone e Aristotele che sviluppano nella loro riflessione il metodo socratico. Tuttavia Platone e Aristotele sostituiscono presto la critica socratica, il sapere di non sapere, con edifici teorici complessi e potenti, con visioni etiche e progetti politici.

13/08/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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