Dall’etica di Aristotele alla retorica – videolezione

Concludiamo la pubblicazione delle videolezioni del corso: “Controstoria della filosofia in una prospettiva marxista”, secondo ciclo: “Dall’utopia comunista di Platone al realismo immanentistico di Aristotele” – tenute dal prof. Renato Caputo per l’Università popolare Antonio Gramsci – con il video della decima lezione.


1. Versione scritta della lezione:

Virtù dianoetiche e virtù etiche

Aristotele distingue tra due livelli di felicità, cui corrispondono differenti tipi di virtù. La massima realizzazione dell’uomo consiste nelle virtù dianoetiche, proprie della ragione e del pensiero (il termine greco dianoia equivale a pensiero, conoscenza razionale); il livello inferiore, invece, trova espressione nelle virtù etiche, che tutti possono raggiungere, legate al “costume” (ethos), ossia al controllo delle passioni mediante la ragione.

Le virtù etiche

Mentre Platone considera le passioni negative perché legate al corpo, Aristotele non le considera negative, purché siano disciplinate dalla ragione (questo perché per Aristotele corpo e anima sono un sinolo, mentre per Platone il corpo è la prigione dell’anima). Le passioni sono negative se si traducono in eccessi, il controllo della ragione garantisce la giusta misura, la medietà. La virtù è, dunque, considerata da Aristotele come il giusto mezzo tra due eccessi opposti, ad esempio la virtù del coraggio è il giusto mezzo tra la viltà e la temerarietà.

Il comportamento come habitus

La virtù non è comportamento, ma un modo di essere da acquisire; per Aristotele si diventa virtuosi mediante l’abitudine, ripetendo comportamenti virtuosi, fino a quando il comportamento non diviene un modo di essere, un habitus. Contro l’intellettualismo etico di Socrate e Platone, per Aristotele conoscere il bene non implica il farlo. Ma cosa spinge l’individuo a comportarsi in modo virtuoso? Qualcosa di esterno all’individuo stesso, ovvero l’educazione e il costume, i valori sociali o meglio della polis. Come in Platone, anche per Aristotele etica e politica sono strettamente connesse e Aristotele considera la prima un ambito della seconda. Il costume rappresenta tuttavia solo un punto d’avvio: per essere morali le norme devono essere interiorizzate e fatte proprie dall’individuo. Perché si possa parlare di virtù l’azione deve avvenire per libera scelta senza costrizioni esterne.

La giustizia distributiva e commutativa

La virtù etica per eccellenza è la giustizia (proprio per lo stretto legame tra individuo e polis, Aristotele ne tratta nell’Etica più che nella Politica), perché è la virtù maggiormente rivolta agli altri e più direttamente legata alla polis

Aristotele distingue tra giustizia distributiva e commutativa. La prima riguarda il rapporto tra la società e il cittadino e stabilisce i criteri mediante i quali devono essere distribuiti i beni comuni (come le ricchezze, gli onori, ecc.). Tale distribuzione dovrà avvenire secondo una proporzione geometrica in base al merito, cioè al contributo che ognuno dà al buon andamento della comunità. La giustizia commutativa riguarda invece i rapporti tra i privati, sia quelli volontari (ad esempio i contratti), sia quelli involontari (ad esempio il furto e la violenza). In questo caso la proporzione deve essere aritmetica, ovvero dovrà essere reso ciò che è stato dato, in modo da ristabilire l’uguaglianza (ad esempio: lo scambio attraverso l’equivalente in moneta, l’indennizzo per il danneggiato, la pena inflitta al reo).

L’Etica nicomachea

Aristotele dedica due libri su dieci dell’Etica nicomachea al tema dell’amicizia, che considera una virtù e comunque una cosa necessaria per vivere. Aristotele distingue tre tipi di amicizia: quella fondata sull’utilità reciproca, quella basata sul piacere e quella disinteressata che fa riferimento unicamente al bene e alla virtù. Le prime due sono destinate a durare fino a quando procurano utilità e piacere, solo l’ultima è vera amicizia, duratura e stabile, in questo caso si ama l’altro per se stesso, considerandolo un fine e non un mezzo.

Le virtù dianoetiche

Dato che l’uomo è caratterizzato dalla razionalità, la massima realizzazione della sua natura consiste nelle virtù che riguardano direttamente l’esercizio della ragione, ovvero le virtù dianoetiche. Esse sono:

- L’arte, ossia la capacità di produrre oggetti;

- La saggezza, ovvero la disposizione, accompagnata dal ragionamento, ad agire in vista del bene; 

- L’intelligenza, ossia la capacità di intuire i princìpi primi;

- La scienza, ovvero la capacità di sviluppare i princìpi primi mediante il ragionamento deduttivo;

- La sapienza, ossia la disposizione verso la conoscenza che include sia l’intuizione intellettiva sia la dimostrazione deduttiva.

La sapienza (sophia) e la saggezza (phronesis)

Interessante è la distinzione introdotta da Aristotele fra la sapienza (sophia) e la saggezza (phronesis), ossia tra la disposizione a conoscere e quella ad agire bene. Ancora Platone, in effetti, le aveva identificate. Secondo Platone il sapiente (il filosofo) è anche saggio, proprio per questo gli aveva affidato la guida dello Stato (il filosofo in effetti conosce anche le idee valori). Per Aristotele invece le essenze sono oggetto delle scienze teoretiche, legate alle sapienza, mentre i valori sono oggetto delle scienze pratiche. Quindi sapienza e saggezza costituiscono due ambiti separati ed è possibile avere una delle due virtù senza l’altra. Per questo il filosofo, che ha la sapienza, non necessariamente sarà un buon politico. Per continuare a leggere la versione scritta della lezione clicca qui.

2. Introduzione al corso:

La nostra cultura e civiltà è in buona parte fondata su due decisivi pensatori che, nei loro sistemi, hanno sintetizzato larga parte del precedente sviluppo filosofico e scientifico. Inoltre, essi costituiscono la base non solo della cultura ellenistica e cristiana tardo antica, ma della civiltà araba, medievale, umanistica e rinascimentale. Continueranno ad avere un'enorme influenza anche sulla successiva cultura moderna borghese, a partire dalla Rivoluzione scientifica e almeno fino al suo esponente più progressivo: G. W. F. Hegel. Attraverso quest’ultimo Platone e Aristotele hanno indirettamente influenzato la cultura contemporanea marxista, fino ai giorni nostri, si pensi a quanto sia direttamente e apertamente debitrice da Platone l’idea di comunismo di Alain Badiou, uno dei più affermati, a livello internazionali, pensatori comunisti viventi. Peraltro l’opera di Platone e Aristotele ha un’influenza così ampia e millenaria sul nostro modo di pensare, di esprimerci e di agire da non essere nemmeno avvertita dalla stragrande maggioranza degli uomini. Anche se essi – essendo tali pensieri così tanto e da così lungo tempo caratterizzanti parte significativa della cultura e civiltà umana – non ne sono consapevoli. 

Dunque, per divenire finalmente pienamente consapevoli di questi capisaldi della nostra cultura e civiltà – tanto che per secoli i pensatori si sono divisi in platonici e aristotelici – e per meglio intendere gli stessi grandi pensatori moderni e contemporanei che ne sono stati, in maniera diretta o indiretta, influenzati, ci pare necessario offrire all’inizio dell’anno accademico 2021-22 dell’Università popolare Antonio Gramsci un corso introduttivo alle concezioni del mondo elaborate da Platone e Aristotele. Questi incontri avranno un valore propedeutico allo sviluppo, negli anni successivi, del nostro corso di controstoria della filosofia in una prospettiva marxista. In effetti, non è possibile comprendere pienamente e padroneggiare gli sviluppi successivi del pensiero e del modo di agire degli uomini, del loro modo di organizzare la comunità umana, senza aver ben presenti queste due colonne portanti della cultura e civiltà umana.

Nello spirito dell’Università popolare, il corso sarà rivolto a tutti coloro che hanno interesse ad apprendere e a confrontarsi dialetticamente, nell’ampio dibattito che si svilupperà al termine di ogni lezione, riguardo a tali problematiche. Quindi il corso è pensato, in primo luogo, per i filosofi della prassi (nel senso letterale del termine), ovvero per coloro che amano accrescere, nel dialogo collettivo, la propria conoscenza del mondo, per poter contribuire a trasformarlo, possibilmente in modo radicale. 

In effetti, come vedremo, lo stesso spirito dell’utopia che anima i filosofi della prassi ha le sue origini e i propri fondamenti proprio nel pensiero di Platone, nel quale incontriamo peraltro la prima grande teorizzazione della società ideale, ovvero della società comunista. Un ideale che sarà ripreso e sviluppato in tutte le epoche successive, mantenendo un legame diretto con Platone almeno fino al diciassettesimo secolo, per poi cercare di superarlo in modo dialettico, in maniera più o meno consapevole. In Aristotele troveremo, al contrario, il padre nobile dell’altra grande corrente del pensiero politico e sociale, la corrente del realismo che confluirà, insieme all’utopismo platonico, nel marxismo, che li sintetizzerà, superandoli dialetticamente.

Più in generale Platone darà uno sviluppo decisivo al pensiero dialettico, talmente grande e influente da essere in qualche modo eguagliato solo da Hegel e Karl Marx. Mentre il pensiero di Aristotele ha offerto un apporto essenziale all’affermazione della moderna concezione filosofico-scientifica del mondo, di contro alla tradizionale visione mitologico-religiosa. Da questo punto di vista Aristotele è alla base di tutto il pensiero radicale immanentistico, che sarà elemento portante del marxismo scientifico a partire dai suoi padri nobili Marx e Friedrich Engels. Per continuare a leggere l’introduzione al corso clicca qui.

05/11/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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