Losurdo e il rapporto fra Hegel e Marx

L’origine della dialettica e i suoi sviluppi scaturiscono dal confronto serrato con i contenuti storici e la contraddizione logica, che ne è l’anima, non è una costruzione arbitraria di Hegel, ma riflette il carattere contraddittorio della realtà storico-sociale, a cui egli si collega direttamente fin dagli anni giovanili.


Losurdo e il rapporto fra Hegel e Marx

Nel saggio Hegel, Marx e l’ontologia dell’essere sociale del 2010, Domenico Losurdo polemizza con la lettura di Hegel in chiave coscienzialista e panlogista che si è affermata soprattutto a partire dalla seconda metà del Novecento. Losurdo mostra infatti come sia la natura che il lavoro non siano affatto assenti dalla speculazione hegeliana e come nello stesso pensiero hegeliano ci siano aspetti che anticipano il materialismo storico

All’interno del marxismo, è stata soprattutto la scuola di Galvano Della Volpe a interpretare Hegel in modo coscienzialista e panlogista. Tuttavia, anche filosofi quali Ernst Bloch e György Lukács, che pur hanno riconosciuto l’importanza che Georg Wilhelm Friedrich Hegel dà, anticipando Karl Marx, ai temi del bisogno e del lavoro, ne hanno criticato comunque gli aspetti idealistici. In Soggetto e oggetto. Commento a Hegel del 1962, per esempio, Bloch sottolinea sì la centralità in Hegel del lavoro e dell’appagamento dei bisogni a partire dalla figura del servo che lavora nella Fenomenologia dello spirito, ma egli afferma anche “che la conquista dell’identità di soggetto-oggetto è da Hegel «intesa solo come la revoca completa delle esteriorizzazioni (gli oggetti in generale) nel soggetto»” [1]. Lo stesso Lukács, che pure ha riconosciuto, a partire da Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica del 1948, l’importanza che Hegel riserva ai “temi del bisogno e del lavoro”, “quattro anni prima della sua morte, […] non ha dubbi: «L’oggetto, la cosa in Hegel, esiste soltanto come alienazione dell’autocoscienza»” [2]. La scuola di Galvano Della Volpe e Lucio Colletti invece, diversamente da Lukács e Bloch, secondo Losurdo, legge Hegel in chiave “grottescamente coscienzialistica” [3]. 

Della Volpe infatti polemizzò con la tesi della continuità tra il pensiero di Hegel e quello di Marx, tra idealismo e materialismo. Per Della Volpe la svolta decisiva del pensiero di Marx è segnata già dalla Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico del 1843, dove Marx fa emergere l’apriorismo logico e il positivismo acritico della dialettica hegeliana [4].

In effetti, occorre evidenziare che la tesi di Della Volpe è decisamente opposta a quella di Lukács. Quest’ultimo, contrariamente al primo, a partire da Il giovane Hegel intende stabilire una sostanziale continuità tra Hegel e Marx, che passa attraverso l’eredità di quanto c’è di più progressivo e innovativo nella filosofia del primo e, segnatamente, della dialettica. Infatti, se la logica dialettica è frutto del pensiero speculativo e funge da schema presupposto entro il quale vengono volta per volta costretti i contenuti – secondo la sequenza triadica di posizione, negazione, negazione della negazione –, allora essa risulta inservibile per il materialismo storico, a causa del suo carattere mistico e aprioristico, come vuole Della Volpe. Tutto cambia, però, se la sua origine e i suoi sviluppi scaturiscono dal confronto serrato con i contenuti storici e se la contraddizione logica, che ne è l’anima, non è una costruzione arbitraria di Hegel, ma riflette il carattere contraddittorio della realtà storico-sociale, a cui egli si collega direttamente fin dagli anni giovanili: in questo caso non c’è chi non veda il suo valore inestimabile per la genesi del pensiero di Marx

La fecondità rivoluzionaria della dialettica hegeliana e la giustificazione della sua eredità in Marx possono essere rivendicate da Lukács soltanto a condizione di dimostrare la genesi storico-sociale delle categorie logiche, vale a dire che Hegel abbia penetrato a fondo nell’essenza della società borghese e ne abbia individuato, in maniera sempre più ampia e consapevole, le determinazioni concrete. Da qui la posizione di assoluta preminenza assegnata a Hegel nella comprensione della società capitalistica; infatti, per Lukács, egli è stato il primo e l’unico della sua generazione in Germania a occuparsi esplicitamente e direttamente dei problemi sorti con lo sviluppo capitalistico, svolgendoli filosoficamente sulla base delle grandi conquiste attuate dalla cultura tedesca nell’epoca di Goethe.

La tesi di Lukács è stata radicalmente contestata da Nicolao Merker, anch’egli esponente della scuola di Della Volpe, per il quale il rapporto di derivazione dei princìpi dialettici hegeliani dagli elementi storici e concreti, stabilita da Lukács, va piuttosto rovesciata, nel senso che sono questi ultimi a venire sussunti sotto la forma logica aprioristica della mediazione dialettica hegeliana, per essere con ciò negati nella loro specificità empirica [5].

Lukács individua però, già nello Hegel giovane, la presenza dell’intreccio, caratteristico del pensiero maturo di Hegel, di elementi altamente positivi e di lati deboli. Il primo aspetto è dovuto alla tendenza di Hegel a cogliere la genesi storica della positività: nel caso della religione, i suoi contenuti vengono desunti dalla dinamica storico-sociale. Ciò differenzia notevolmente Hegel sia dalle posizioni intellettualistiche dell’Illuminismo – la religione come inganno perpetrato ai danni del popolo – sia da Ludwig Feuerbach, il quale, non ponendosi minimamente la domanda sul perché il cristianesimo sia diventato la religione dominante dell’Occidente, lo deduce dall’essenza astratta dell’uomo in generale. Il lato debole, che in fondo si identifica coi limiti dell’impostazione idealistica, consiste nel ruolo predominante affidato alla religione nella storia, quasi che il fattore decisivo della trasformazione storica risieda nel mutamento delle religioni; da ciò consegue che le giuste tendenze volte a comprendere correttamente i nessi storici e sociali “vengono frustrate dal fatto che la concezione della positività si capovolge in una teoria dell’oggettività in generale” [6].

Tale oscillazione si manterrà, nella ricostruzione di Lukács, per tutto l’arco dell’evoluzione filosofica di Hegel, quasi a costituire la cifra peculiare del suo sistema di pensiero. Lukács addossa ai limiti storici e sociali della Germania del tempo l’atteggiamento sempre più rassegnato e “conciliativo” di Hegel: l’arretratezza tedesca assurge così a criterio chiave di spiegazione dei tratti conservatori e dell’idealismo del pensiero di Hegel, nonché del carattere tragico delle sue scelte pratiche e teoretiche.

Nonostante la lettura lukacciana di Hegel e quella della scuola dellavolpiana siano molto diverse, Losurdo, pur evidenziando ciò e, sentendosi più vicino alla interpretazione di Lukács, sottolinea come nelle due letture sia, in un modo o nell’altro, presente un’interpretazione di Hegel che mira a metterne in luce gli aspetti idealistici

Questa interpretazione di Hegel è presente anche in Marx, in particolar modo negli scritti giovanili; scrive, a tal proposito, Losurdo: “nel capitolo conclusivo dei Manoscritti economico-filosofici, Marx così sintetizza il suo giudizio su Hegel: «La cosa principale è che l’oggetto della coscienza non è altro che autocoscienza, o che l’oggetto è soltanto l’autocoscienza oggettivata, l’autocoscienza come oggetto». Di conseguenza: «Il lavoro che Hegel soltanto conosce e riconosce è il lavoro spirituale astratto»” [7].

Anche se Marx, nel corso dell’evoluzione del suo pensiero, ha in parte modificato tale giudizio sulla filosofia hegeliana, è in questa interpretazione giovanile che è stato ripreso, secondo Losurdo, dagli autori e dalle “correnti più diverse della tradizione marxista” [8]. Se, però, questa lettura di Hegel in Marx e in generale nel marxismo si è imposta soprattutto con il fine di evidenziare “l’assoluta originalità della nuova visione del mondo e del nuovo movimento politico” [9], diversamente le cose stanno per le altre correnti di pensiero. A parere di Losurdo, infatti: “non solo il neoidealismo italiano, ma anche le più diverse correnti di pensiero si sono preoccupate, soprattutto negli anni della guerra fredda, di mettere al riparo Hegel da ogni contaminazione col «materialismo» comunista, che dileggiava e minacciava i valori ideali, spirituali e religiosi dell’Occidente” [10].

Secondo Losurdo questa interpretazione di Hegel coscienzialista e panlogista, che si è affermata per motivi opposti, va del tutto ripensata. Se infatti è possibile criticare Hegel, come fanno Marx ed Engels, perché egli ricade talvolta nell’idealismo, tale idealismo non è, però, sinonimo di coscienzialismo. L’obiettivo di Losurdo è quello di mettere Hegel al riparo da un’interpretazione del suo pensiero che egli considera sbagliata, proponendone, altresì, una nuova e originale lettura. In un certo senso, quindi, Losurdo percorre oggi il cammino intrapreso da Lukács nel 1948. Lo scopo della monografia sul giovane Hegel di Lukács era stato, infatti, quello di salvare la dialettica hegeliana dalle falsificazioni cui sarebbe stata sottoposta, soprattutto a partire dalla monografia di Wilhelm Dilthey: Storia della giovinezza di Hegel (1905) [11]. Ma, mentre Lukács metterà comunque in evidenza gli aspetti idealistici del pensiero di Hegel, al fine di accentuare la novità e l’avanzamento del pensiero di Marx, Losurdo, nella sua originale interpretazione di Hegel, tende a porre gli aspetti idealistici decisamente in secondo piano e ad accentuare il debito di Marx verso il grande pensatore dell’idealismo tedesco, approdando così a un profondo ripensamento del marxismo, che comporta, in un certo senso, un ritorno più a Hegel che a Marx.

 

Note:

[1] Domenico Losurdo, Hegel, Marx e l’ontologia dell’essere sociale, in «Critica Marxista», Settembre/ottobre, pp. 40-49, 2010, p. 40.

[2] Ibidem.

[3] Ivi, p. 41.

[4] Cfr. Galvano Della Volpe, Logica come scienza storica, Editori Riuniti, Roma 1969.

[5] Cfr. Nicolao Merker, Le origini della logica hegeliana. Hegel a Jena, Feltrinelli, Milano 1961, p. 78 e ss.

[6] Lukács, Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica, traduz. di R. Solmi, Torino, Einaudi 1975, p. 133.

[7] D. Losurdo, Hegel, Marx…, op. cit., p. 40.

[8] Ibidem.

[9] Ivi, p. 41.

[10] Ibidem.

[11] La monografia di Dilthey, insieme all’edizione degli Scritti teologici giovanili (1907) curata dal suo discepolo Herman Nohl, ha segnato una svolta negli studi hegeliani del Novecento, rilevando l’importanza del momento della formazione e della genesi per la comprensione del pensiero maturo di Hegel, ma avvalorando altresì la tesi di uno Hegel “romantico e mistico”, interpretato secondo i princìpi delle correnti vitalistiche diffuse all’inizio del secolo.

19/11/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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