Il salario sociale e le sue deformazioni ideologiche

In una determinata epoca storica – stabilito il rapporto di forza fra capitale e forza-lavoro – e a un certo grado sviluppo della civiltà in un luogo geografico specifico, il salario è tutt’altro che una variabile indipendente e il suo livello non ha in sé alcun legame con la produttività del lavoro.


Il salario sociale e le sue deformazioni ideologiche

L’ideologia dominante occulta la natura sociale del salario presentandolo come il reddito individuale del lavoro [1] che sarebbe desumibile dall’esperienza empirica della busta-paga. Al contrario il salario corrisponde all’ammontare di beni e servizi che l’intera classe dei capitalisti anticipa in funzione della conservazione e riproduzione, nell’arco dell’intera vita, dell’insieme dei lavoratori salariati (compresi i disoccupati, inoccupati, sottoccupati, studenti, anziani a riposo, casalinghe ecc.). Ne fanno dunque parte anche le quote differite, il presunto risparmio, la parte erogata in servizi (gratuiti, con tariffe pubbliche o a prezzi sociali), la parte che deriva indirettamente da normative regolatrici dei prezzi di merci di sussistenza (scala mobile, prezzi calmierati, equocanone), la quota invisibile equivalente alla riproduzione di tempo di consumo non retribuito della forza-lavoro. Da questo punto di vista, in una determinata epoca storica (stabilito il rapporto di forza fra capitale e forza-lavoro) e a un certo grado di sviluppo della civiltà in un luogo geografico specifico, il salario è tutt’altro che una variabile indipendente e il suo livello non ha in sé alcun legame con la produttività del lavoro [2]. Quale costo di riproduzione dell’intera classe dei salariati il salario, all’interno delle oscillazioni dovute al prevalere della domanda o dell’offerta e del livello dei rapporti di forza fra le classi, ha una misura determinata [3] dalla necessità di accrescere, sulla base della riproduzione allargata della produzione capitalista, la classe e di sostituire la forza-lavoro logorata [4]. Tale misura è il salario minimo che vale “non per il singolo individuo, ma per la specie. Singoli operai, milioni di operai non ricevono abbastanza per vivere e riprodursi” [5].

La divisione del salario (sociale) all’interno delle classi subalterne dipende oltre che da condizioni storico geografiche, dal differente valore di diverse forze-lavoro che richiedono per la loro produzione e conservazione quantità ineguali di lavoro [6]: “quanto meno tempo si richiede per apprendere un lavoro, tanto minori sono i costi di produzione dell’operaio, tanto più basso è il prezzo del suo lavoro, il suo salario” [7]. Perciò, come osserva Marx, “richiedere, sulla base del sistema salariale, una paga uguale o anche soltanto equa, è lo stesso che richiedere la libertà sulla base del sistema schiavistico” [8].

Dunque, ricapitolando, dal momento che nel modo di produzione capitalistico la forza-lavoro è ridotta ad una merce, come qualsiasi merce il suo valore dipende dal tempo necessario a produrla, ovvero dalla sommatoria delle diverse merci e servizi necessari a mantenere in vita e atta all’impiego la totalità della forza-lavoro e a reintegrarne l’usura come per qualsiasi strumento di lavoro consentendo di sostituire al momento opportuno ogni sua componente incapace di svolgere la propria funzione. In un arco temporale sufficientemente alto, che includa le diverse fasi del ciclo capitalistico (sviluppo, sovrapproduzione, ristagno, crisi) “se prendiamo la media di ciò che il lavoratore riceve in più o meno del minimo, troviamo che nell’insieme egli non ha ricevuto né più né meno che il minimo; o, in altre parole, che la classe operaia si è conservata come classe, dopo tanta miseria, tante sofferenze, e si è lasciata dietro tanti morti sul campo di battaglia dell’industria. Ma che importa? La classe esiste, e non solo esiste, ma si sarà anche ingrossata” [9]. Tale tendenziale ridursi al minimo del salario sociale è dovuto, in primo luogo, al fatto che la merce forza-lavoro è in quanto tale più deperibile delle altre merci, ovvero non può essere accumulata per condizionarne l’offerta, in quanto essa può accedere ai mezzi di sussistenza solo alienandosi al capitale [10].

Note:

[1] Tale reddito remunererebbe l’apporto dato dal lavoratore al prodotto finito e corrisponderebbe alla produttività, una misura non determinabile, se non in condizioni matematiche formalmente insignificanti e astratte, che non trovano nessuna corrispondenza reale all’interno del modo di produzione capitalistico. Tale astratta misura è, quindi, in modo surrettizio equiparata al salario, confuso con la busta paga individuale. Si comprende, quindi, bene la natura tutta ideologica della sedicente scienza economica (borghese) dominante.

[2] Proprio al contrario, riguardo questo aspetto determinante, Marx considera a ragione il salario come un rapporto sociale, una grandezza riferita all’intera classe lavoratrice e non al singolo individuo. Perciò Marx intendeva codesta dipendenza del salario come massa, in quanto l’accumulazione del capitale comporta l’aumento del proletariato su scala mondiale. La variabile indipendente è il livello dell’accumulazione capitalistica che sviluppa o meno la massa della forza-lavoro sul mercato mondiale, da cui dipende la massa complessiva dei salari; i movimenti assoluti interni all’accumulazione del capitale si rispecchiano come movimenti relativi all’interno della massa della forza-lavoro sfruttabile e, quindi, sembrano dovuti al movimento proprio di quest’ultima.

[3] Il salario minimo è il valore necessario alla conservazione e alla riproduzione della forza-lavoro. Nei limiti delle oscillazioni dovute alla domanda e all’offerta o agli equilibri di volta in volta raggiunti nel conflitto sociale, il salario dell’intera classe dei lavoratori salariati è uguale a questo minimo. In effetti, il prezzo della forza-lavoro “sarà determinato dai costi di produzione, dal tempo di lavoro che si richiede per produrre questa merce”, la forza-lavoro. Ma quali sono i costi di produzione della forza-lavoro? Sono i costi necessari per conservare il lavoratore salariato come tale e per formarlo in tal guisa. Marx, Karl, Il salario, Laboratorio politico, Napoli 1995, p. 33.

[4] “Nei costi di produzione del semplice lavoro devono essere conteggiati i costi di riproduzione, per cui la razza degli operai viene posta in condizione di moltiplicarsi e di sostituire gli operai logorati dal lavoro con nuovi operai. Il logorio dell’operaio viene dunque conteggiato allo stesso modo del logorio della macchina.” Ivi, p. 34.

[5] Ibidem. Per comprendere, invece, come si viene determinando, attraverso anche qui continui squilibri, il tasso medio di profitto, Marx osserva “se il prezzo di una merce aumenta notevolmente in seguito alla scarsità della disponibilità o ad un aumento sproporzionato della domanda, necessariamente ribassa, in proporzione, il prezzo di qualsiasi altra merce; poiché in ultima analisi il prezzo di una merce esprime soltanto in denaro il rapporto in cui altre merci vengono date in cambio di essa. (…) Una massa di capitali si getterà nel ramo di industria fiorente, e questa immigrazione di capitali nel campo dell’industria favorita durerà fino a tanto che essa tornerà ai guadagni abituali, o, piuttosto, fino a tanto che il prezzo dei suoi prodotti cadrà, in seguito a sovrapproduzione, al di sotto dei costi di produzione.” Ivi, pp. 30-31. In realtà, in effetti, osserva ancora acutamente a tal proposito Marx “il prezzo di una merce è sempre al di sopra o al di sotto dei costi di produzione: ma il rialzo e il ribasso si integrano a vicenda, di modo che, entro un determinato limite di tempo, e tenuto conto degli alti e bassi dell’industria, le merci vengono scambiate l’una con l’altra a seconda dei loro costi di produzione; il loro prezzo, dunque, viene determinato dai loro costi di produzione. (…) Solo queste oscillazioni che, considerate più da vicino, portano con sé le più terribili devastazioni e scuotono la società borghese dalle fondamenta come terremoti, solo queste oscillazioni determinano nel loro corso il prezzo secondo i costi di produzione. Il movimento complessivo di questo disordine è il suo ordine. Nel corso di questa anarchia industriale, in questo movimento ciclico la concorrenza compensa, per così dire, una stravaganza con l’altra. (…) Naturalmente, ciò non vale per un singolo prodotto industriale determinato, ma soltanto per l’intero ramo dell’industria, allo stesso modo che non vale per il singolo industriale, ma soltanto per la classe degli industriali nel suo complesso”. Ivi, p. 32.

[6] Il concetto di salario deriva, dunque, dal valore (storico e geografico, ossia temporale e spaziale) della forza-lavoro, in condizioni di mancanza assoluta della proprietà delle condizioni oggettive della produzione. Dunque il reddito salariale può servire soltanto per acquistare i mezzi di sussistenza storicamente dati. Tranne che nei casi di redditi maggiormente elevati erogati a dirigenti, professionisti dipendenti, artisti, sportivi e membri della aristocrazia proletaria, la grande massa dei lavoratori non dispone di alcuna eccedenza; anzi, spesso, fa letteralmente la fame.

[7] Ivi, p. 33.

[8] Id., Salario prezzo e profitto, Laboratorio politico, Napoli 1992, p. 54. Dunque, “il valore della forza-lavoro è determinato dal valore degli oggetti d’uso corrente che sono necessari per produrla, svilupparla, conservarla e perpetuarla” ibidem. D’altra parte “diverse specie di forza-lavoro hanno un diverso valore, richiedono cioè diverse quantità di lavoro per la loro produzione, esse debbono avere un prezzo diverso sul mercato del lavoro”.

[9] Il salario, cit., p. 100.

[10] Del resto, come nota a ragione lo stesso Marx, la forza-lavoro “è per sua natura più deperibile delle altre merci: non può essere accumulata, non si può aumentare o diminuire l’offerta facilmente come per le altre merci” ivi, p. 68.

27/05/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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