Il giovane Hegel e il dualismo kantiano

Nel complesso tentativo di trovare un accordo tra intelletto e sensibilità, che caratterizza in modo più o meno cosciente quasi tutti gli scritti del giovane Hegel sulla religione, è ravvisabile l’influenza di Schiller che, proprio allora, avviava un’elaborazione autonoma della filosofia critica, cercando di superare il dualismo fra ragione e sentimento, trascendentale e storico.


Il giovane Hegel e il dualismo kantiano

Il tentativo di fondere le ragioni del cuore con la morale kantiana porta il giovane Georg Wilhelm Friedrich Hegel a un’interpretazione non schematica del dualismo fra intelletto e sensibilità, alla ricerca di una possibile conciliazione [1]. Certo, osserva Hegel, “le idee della ragione vivificano bensì l’intero tessuto dei sentimenti dell’uomo, a cui per il loro influsso l’agire si mostra in una luce propria, ma esse stesse raramente si mostrano nella loro essenza, benché il loro effetto compenetri tutto come una sottile materia, dando ad ogni inclinazione ed impulso una sua propria coloritura” [2]. In questo complesso tentativo di trovare un accordo tra intelletto e sensibilità, che caratterizza in modo più o meno cosciente quasi tutti gli scritti del giovane Hegel sulla religione, è ravvisabile l’influenza di Friedrich Schiller che, proprio in questi anni, avviava un’elaborazione autonoma della filosofia critica, cercando di superare il dualismo fra ragione e sentimento, piano trascendentale e storico, che diversi pensatori del tempo avvertivano come il problema centrale della filosofia kantiana. Come il giovane Hegel, neanche Schiller intendeva entrare in rotta di collisione con lo spirito della filosofia kantiana; egli cercava piuttosto di chiarirne alcune formulazioni poco felici, da cui sarebbe stato facile ricavare l’impressione di una contrapposizione assoluta tra natura e spirito, ragione e sensibilità [3]. Come ha scritto Roberto Finelli: “Kant per primo con il suo «spirito sereno e libero» non poteva, secondo Schiller, che esser lontano da ogni rigida contrapposizione di ragione e affettività: solo che la lettera del suo testo, rigida e draconiana per motivi storico-culturali contingenti, aveva finito col sovrapporsi al senso, pregnante e ricco, del contenuto e del suo fecondissimo, e non costrittivo, messaggio di autonomia e di libertà” [4].

Certo, anche in questo caso, non disponiamo di documenti che ci consentano di indicare quali opere di Schiller Hegel abbia letto. È, tuttavia, indubbio che Schiller abbia svolto una funzione importante nel processo di superamento dialettico della filosofia critica da parte di diversi pensatori dell’epoca, fra cui certamente Hegel e Friedrich Hölderlin e, in misura minore, Friedrich Schelling. Hegel non mancherà di riconoscere alle riflessioni schilleriane tale funzione storica sia nell’introduzione alle Lezioni di estetica, sia nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche [5]. Il problema, nel nostro caso, consiste nel comprendere a che altezza dello sviluppo del giovane Hegel si collochi tale decisivo ruolo svolto da Schiller, senza pretendere di individuare un singolo momento, poiché tale processo deve essersi svolto in un arco temporale piuttosto ampio. Il primo riferimento diretto a Schiller si trova in un testo hegeliano del periodo bernese e il primo giudizio di Hegel su di un’opera schilleriana, contenuto in una celebre lettera a Schelling, riguarda le Lettere sull’educazione estetica dell’uomo. Inoltre, come si è già avuto modo di osservare, gli scritti di questi anni non consentono di dimostrare un reale superamento dialettico da parte di Hegel della filosofia kantiana. Non è, dunque, possibile asserire, come pure ha fatto la maggioranza degli interpreti, che le concezioni della filosofia critica siano considerate polemicamente dal giovane Hegel proprio sulla base dell’opera di Schiller, o che la filosofia kantiana gli giunga in questi anni mediata da questo autore; il che è, comunque, certamente più verosimile. È invece fortemente probabile che Hegel sia entrato in contatto con l’opera di Schiller attraverso la mediazione dell’amico Hölderlin, i cui scritti dell’epoca e i cui interessi sono in maniera ben più inequivocabile influenzati dalle concezioni schilleriane.

Non è, inoltre, dubitabile che il giovane Hegel si sia posto sulla scia che avrebbe condotto negli stessi anni Hölderlin e Schiller e, in misura minore, Schelling e Wolfgang Goethe, a riflettere sul legame fra sensibilità e ragione e a ricercare nella Grecia classica il prototipo ideale di una possibile armonia fra uomo e natura [6]. Tuttavia, anche in questo caso, la riflessione di Hegel si richiama al principio di tolleranza di Gotthold Ephraim Lessing e all’opposizione rousseauiana tra stato di natura e fredde astrazioni razionalistiche della modernità illuminata [7]. Come osserva Hegel: “la religione ben poco guadagna con l’intelletto; le operazioni di questo, i suoi dubbi, possono anzi più raffreddare che riscaldare il cuore. E colui che ha trovato che i modi di pensare di altre nazioni, o dei pagani come si dice, contengono molte assurdità, e si rallegra dei suoi punti di vista superiori, del suo intelletto che egli spinge più in là di quanto lo spinsero i più grandi uomini, costui non conosce l’essenza della religione” [8]. Anzi, come ha a ragione osservato Edoardo Mirri, nella riflessione del giovane Hegel si potrebbe stabilire un’equazione per cui la religione naturale e razionale sta alla religione greca, come la religione cultuale alla cristiana. Da tale equazione se ne deduce la concezione tutta umanista della religione del giovane Hegel, ancora per molti aspetti di stampo illuministico.

Note:

[1] Su questa problematica ha osservato a ragione Dominique Janicaud: “si vede che, pur limitando la portata della religione oggettiva e ricollegando fondamentalmente la religione al cuore, Hegel situa al fondo stesso di questo cuore una razionalità universale, immersa il più delle volte nell’incoscienza, ma presente potenzialmente in tutti gli uomini” (Janicaud, Domenique, Hegel et le destin de la Grèce, Paris, Vrin 1975, pp. 38-9). Troppo netto appare, invece, il giudizio di Karl Rosenkranz: “questo trattato ci mostra da una parte lo studio della filosofia kantiana, dall’altra la lotta ingaggiata con essa e il tentativo di uscir fuori dal suo dualismo. Hegel comincia con l’osservare che nella natura umana la sensibilità e l’intelletto sono cresciuti così insieme da costituire un unico soggetto” (Rosenkranz, Karl, Georg Wilhelm Friedrich Hegels Leben, Berlino 1844, Neudr. Darmstadt 1963, tr. it. di Bodei R., La vita di Hegel, Vallecchi, Firenze 1966, p. 56).

[2] Hegel, G.W.F., Gesammelte Werke, In Verbindung mit der Deutschen Forschungsgemeinschaft, a cura della Rheinisch-Westfälischen Akademie der Wissenschaften, Hamburg, Meiner dal 1968, vol. I, p. 85, Id., Scritti giovanili I, tr. it. di Mirri, E., Guida, Napoli 1993, p. 171.

[3] Come giustamente ha osservato Carmelo Lacorte, mostrando la contiguità della riflessione hegeliana con quella schilleriana, a partire dalle opere composte nell’ultima fase di Tubinga: “per il periodo che direttamente ci interessa, questo orientamento nei confronti del nuovo idealismo – che Schiller svilupperà progressivamente e per esteso nelle sue Kleine prosaische Schriften fino al 1802 – non costituisce né per Schiller né per le Jugendschriften tubinghesi di Hegel materia di opposizione e di polemica diretta, bensì è presente e implicito nell’uso improprio di una terminologia che è kantiana solo a metà, e che è volta a rivendicare valori più integrali, complessi e concreti di quelli della blosse Vernunft” (Lacorte, Carmelo, Il primo Hegel, Firenze, Sansoni 1959, p. 255).

[4] Finelli, Roberto, Mito e critica delle forme. La giovinezza di Hegel (1770-1801), Roma, Editori Riuniti 1996, p. 68.

[5] Cfr. il paragrafo 55.

[6] Come ha osservato Giuseppe Cantillo: “l’ideale di una umanità nuova esige però per Hegel non solo l’affermazione dell’autonomia e della libertà dell’uomo come soggetto, ma ad un tempo una vivente comunità etica in cui soltanto la libertà può essere concreta e reale. Perciò in lui, come in Hölderlin, esso è legato intimamente con il mito della «bella vita pubblica» degli antichi greci (e romani), di un «popolo felice»” (Cantillo, Giuseppe, Le forme dell’umano. Studi su Hegel, Guida, Napoli 1996, p. 70). Così, ad esempio, il giovane Hegel osserva nel frammento 12: “romano e greco nella sua patria, Catone comprese pienamente la sua patria, e la patria riempì tutta la sua anima. Il cosmopolitismo vale solo per dei singoli” (Hegel, G.W.F., Gesammelte…, vol. I, p. 76; Scritti…, op. cit., pp. 161). A sottolineare come siano già presenti in nuce in questi anni le celebri concezioni dello Hegel della maturità sull’importanza dell’eticità e dello Stato, si rimanda a quanto ci testimonia il suo primo biografo Rosenkranz che osserva come il giovane abbia “mostrato come il miserabile stato delle arti e delle scienza fra i turchi non sia dovuto a mancanza di talento, ma mancanza di interesse per la formazione di esso da parte dello Stato” (Rosenkranz, Karl, Vita di…, op. cit., p. 41). A proposito del legame nel giovane Hegel fra il sostegno alla Rivoluzione francese e la passione per la Grecia, ha scritto Janicaud: “a Tübingen, il repubblicanesimo di Hegel non è separabile dal suo ellenismo. (…) Egli partecipa, in ogni caso, certamente a delle riunioni la cui ispirazione era allo stesso tempo rivoluzionaria ed ellenica, in una parola: schilleriana” (Janicaud, Dominique, Hegel…, op. cit., p. 36).

[7] Tale influenza è estendibile anche ad autori quali Schiller e Hölderlin. Come osserva Lacorte, “nelle loro opere, l’idealizzazione del mondo classico si ispira largamente al modello rousseauiano dell’uomo innocente e ne ritraspone i caratteri della semplicità e spontaneità; i loro [di Schiller e Hölderlin] inni alla libertà, alla fraternità, all’amore, cantano l’uomo che riconquista, in forza degli inalienabili principi della propria naturale dignità, la sua unità e l’armonia originaria, smarrite nel processo dissociante della cultura” (Lacorte, Carmelo, Il primo…, op. cit., p. 266). A proposito di Rousseau nota ancora Lacorte: “dalla diagnosi della crisi e dal rifiuto della tesi di Hobbes, per il quale l’uomo è cattivo per natura, scaturisce il carattere didascalico delle altre opere, La Nouvelle Héloise, il Contrat social e l’Émile, tutte volte a mostrare la figura dell’uomo rinnovato, o meglio a fornire la via per restaurare l’umanità vera” (ivi, p. 270).

[8] Hegel, G.W.F., Gesammelte…, vol. I, p. 92; Scritti…, op. cit., pp. 177-78. Rispetto alle critiche cristiane alla religione ellenica, osserva Hegel nel frammento 12: “volerli giudicare [gli antichi greci] con lo stesso metro, mentre la natura li volle così diversi. E non si allude semplicemente al fatto che si voglia ottenere che gli uomini abbiano doveri uguali, che il dovere sia dovere per tutti gli uomini, ma al fatto che si voglia sforzare anche la patologia dell’anima umana in un modello” (ivi, p. 77 e p. 161).

01/04/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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