Segue da numero precedente / Link al video della lezione su Gramsci
Gli anni giovanili
Antonio Gramsci nasce ad Ales – un paesino in una zona molto povera e arretrata della Sardegna centrale, in provincia di Cagliari – il 22 gennaio del 1891 in una famiglia della classe media. Ha una vita tragica sin dall’infanzia. Debole di costituzione, si suole far risalire la sua grave deformità fisica a una caduta dalle braccia di una bambinaia. Ha, dunque, sin dalla più tenera età un serio problema alla spina dorsale, un handicap fisico grave che si porterà dietro per tutta la vita. Anche dal punto di vista economico la situazione diviene ben presto tragica. La famiglia, già non particolarmente agiata, cade in disgrazia dopo che il padre, l'unico a lavorare, viene licenziato e incarcerato. Così, appena terminate le scuole elementari è costretto ad andare a lavorare per sostenere la famiglia. Nonostante sia obbligato a vivere con una grave menomazione fisica, in una delle zone più povere d’Italia, con la famiglia che rischia di precipitare nella miseria e con l’accusa infamante che ha colpito il padre, non si perde d’animo, anzi si impegna a tal punto nello studio che riesce a ottenere una delle pochissime borse di studio che erano disponibili per i sardi che intendevano proseguire gli studi all'università. L'università era nel continente, come i sardi chiamano la penisola italiana. Si iscrive alla facoltà di filologia moderna dell’università di Torino. Anche qui però, non potendo ricevere sostegno da casa, nemmeno dal punto di vista affettivo, con la misera borsa di studio che riceve non riesce a sopravvivere, se non continuando a lavorare, impartendo lezioni private e facendo degli sforzi incredibili per economizzare, rinunciando spesso a soddisfare gli stessi bisogni primari. Sono anni molto duri, in una misera stanzetta priva persino di riscaldamento nella fredda Torino. Tanto più che le misere condizioni economiche, la deformità fisica, la provenienza da una zona tanto arretrata della Sardegna non poteva che rendergli l'ambiente universitario particolarmente ostile. Al tempo, in effetti, avevano la possibilità di iscriversi all'università quasi esclusivamente i rampolli delle famiglie più abbienti, che avevano un’attitudine classista, se non apertamente razzista, nei confronti degli studenti poveri, immigrati dal meridione, tanto più se portatori di un grave ed evidente handicap come Gramsci. Tutto ciò porta il giovane a cadere in uno stato di depressione sempre più grave fino a precipitare in un esaurimento nervoso che gli impedisce oltre che di lavorare, di dare gli esami necessari a mantenere la borsa di studio che gli consente di rimanere iscritto all’università.
La scoperta della politica
Da questa situazione drammatica ne viene fuori, il primo luogo, grazie alla scoperta di una prospettiva da dare a una vita così presto segnata da eventi tanto tragici: l'impegno politico. In altri termini esce dalla depressione anche grazie alla maturazione di tale interesse per la politica, che gli consente di dare un senso alla propria vita, dandogli così la forza di andare avanti nonostante tutte le avversità. Così si iscrive nel 1915 al Partito Socialista, che era allora il partito del proletariato, il partito più radicale del tempo, che difendeva gli interessi dei subalterni, degli sfruttati. La passione per la politica prende presto il sopravvento e Gramsci abbandona per sempre l’accademia senza laurearsi, per dedicarsi a tempo pieno alla vita di partito. Tanto più che, nel frattempo, la partenza per la Grande guerra e l’arresto di molti dirigenti del partito, porta Gramsci ad assumere sin da subito incarichi dirigenziali. Il crescente impegno politico non lo porta, però, ad abbandonare gli interessi culturali, anzi in questi anni il giovane si impegna costantemente per aggiornare e far crescere il livello culturale dei membri del partito e, più in generale, del movimento operaio. Tanto più che il Partito socialista del tempo era composto quasi esclusivamente da proletari, da membri della classe operaia, generalmente semi-analfabeti. Il partito aveva, dunque, uno stringente bisogno di intellettuali che fossero in grado di svolgere la funzione di direzione. Gramsci si sente finalmente riconosciuto e valorizzato e si impegna soprattutto nell’attività pubblicistica sui giornali del Partito. Tale stampa era molto semplice proprio perché era diretta alla formazione di lavoratori che sapevano a malapena leggere e scrivere. Diventato direttore di un piccolo settimanale di propaganda di partito, “Il grido del popolo”, lo trasforma in una rivista di cultura. Più in generale, in questo primo periodo si occupa principalmente di teatro, cultura e costume. Tale contributo culturale dipende dal fatto che Gramsci si rende ben presto conto che il marxismo, la teoria rivoluzionaria com'era stata conosciuta all'interno di quel partito, ovvero con le difficoltà che abbiamo detto, era una teoria molto semplificata, banalizzata. Proprio per questo i socialisti tendevano a subire l'egemonia di quella che era l'ideologia dominante: il positivismo. Tale ideologia era naturalmente quella allora maggiormente funzionale agli interessi delle classi dominanti, della borghesia, e perciò si era imposta a tutti i livelli nel mondo occidentale. Questa egemonia del positivismo sul marxismo faceva sì che molti socialisti ritenevano che si sarebbe arrivati al superamento del capitalismo, all’affermazione del socialismo in maniera quasi naturale. Sarebbero state, infatti, le contraddizioni interne e la crisi del capitalismo a portare da sole al crollo di tale modo di produzione e quindi, si sarebbe affermato necessariamente il socialismo. Ciò portava la maggioranza dei socialisti a non organizzarsi per rendere praticabile lo scopo finale, ovvero la rivoluzione, in quanto il gradualismo proprio del pensiero dominante positivista dava a intendere che lavorare per la rivoluzione prima che l’evoluzione storica non avesse prodotto il crollo del capitalismo avrebbe costituito una forzatura soggettivistica che avrebbe potuto rallentare il corso oggettivo del mondo che procedeva autonomamente verso il sol dell’avvenire.
La formazione culturale
In questi anni la formazione di Gramsci è influenzata, in primo luogo, dall’interpretazione filosofica del marxismo di Labriola, ma anche, in secondo luogo dal pensiero attivistico di Sorel e Gentile, dalle critiche alla cultura dominante positivista di Bergson e dalla confutazione crociana di ogni forma di determinismo, che portano Gramsci a rigettare l’interpretazione dominante del marxismo viziata di economicismo, sino ad accogliere in parte le critiche di Croce al determinismo della concezione economica de Il capitale di Marx. La passiva attesa, da parte della dirigenza del partito socialista, che le contraddizioni del capitalismo lo conducessero meccanicamente al crollo, aveva finito con l’ingabbiare la creatività dell’azione storica nelle pastoie di presunte leggi oggettive che determinerebbero il corso storico lungo un lento ma progressivo sviluppo che avrebbe inesorabilmente condotto alla maturazione delle contraddizioni del capitalismo e all’affermazione del socialismo. Tale impostazione aveva però già mostrato la propria pochezza politica non riuscendo ad opporsi in modo efficace al sorgere del nazionalismo sciovinista e imperialista, che aveva precipitato l’Europa nel primo conflitto mondiale. Perciò, di contro alla vulgata marxista dominante, Gramsci rivendica il ruolo creativo della soggettività rivoluzionaria, interpretando il marxismo quale filosofia della prassi sviluppando uno spunto di Gentile, che aveva colto nella centralità del nesso teoria-prassi il centro propulsore della filosofia marxiana. In altri termini, profondamente influenzato dalla cultura neoidealista che si stava affermando in Italia come principale antidoto all’imperante cultura positivista, e richiamandosi in particolare all’interpretazione gentiliana del marxismo quale filosofia della prassi, accolta favorevolmente dallo stesso Lenin, Gramsci sottolinea la funzione decisivo della soggettività rivoluzionaria in grado in determinate condizioni storiche, segnate dall’accumularsi delle contraddizioni oggettive del capitalismo, di consentire, con un salto qualitativo, la indispensabile rottura rivoluzionaria.
La Rivoluzione contro “Il capitale”
La rivoluzione d’Ottobre, avvenuta contro ogni previsione dei marxisti dottrinari in un paese arretrato come la Russia, pare a Gramsci la migliore prova della necessità di battersi contro ogni lettura economicista e dogmatica del marxismo. Così nel 1917 scrive un articolo dal provocatorio titolo di “La rivoluzione contro il Capitale”, volto a indicare come essa sia diretta tanto contro il modo di produzione capitalistico, quanto contro i marxisti dottrinari che condannavano al fallimento il tentativo dei bolscevichi, perché in contrasto con le leggi storiche oggettive che avrebbe enunciato Marx in Il capitale, compiendo una forzatura soggettivista del corso del mondo.Operando in modo non deterministico i bolscevichi avevano interpretato nel modo più appropriato la volontà collettiva delle masse sfruttate russe che volevano la pace, la riforma agraria ed il controllo sulla produzione, cui non si poteva rispondere di pazientare sino a che in Russia, una volta sviluppatosi il capitalismo e poi le sue contraddizioni oggettive, si fossero create le condizioni necessarie per il passaggio al socialismo. Il pieno riconoscimento di Gramsci alla capacità di azione dei bolscevichi non si muta mai nel meccanicistico tentativo di imitazione di tali pratiche in un contesto storico, sociale e culturale differente. Gramsci cercherà di tradurre nel mondo occidentale lo spirito innovativo del leninismo e la sua capacità di contestualizzazione storica e concretizzazione nella prassi politica della teoria marxista. È, dunque, lo spirito e non la lettera della Rivoluzione di Ottobre che va tesaurizzato al fine di una rivoluzione in occidente. Come si chiarirà meglio ne Quaderni del carcere si tratta di rielaborare e rendere maggiormente concreti e, dunque, funzionali alla prassi nel contesto storico e sociale determinato in cui si agisce i concetti e gli strumenti di analisi offerti dal marxismo e validi in generale per interpretare le società capitalistiche.
Le contraddizioni del Partito Socialista italiano
Nel Partito Socialista italiano c'erano allora due correnti principali: una riformista e, quindi, gradualista, che sosteneva non ci fosse bisogno della rivoluzione e un'altra massimalista che era a parole rivoluzionaria, però nei fatti, proprio perché egemonizzata dalla condizione del mondo positivista, non traduceva le proprie parole d’ordine rivoluzionarie in una prassi, in un'organizzazione della rivoluzione. Proprio per questo quando nonostante la Rivoluzione in Russia e la situazione prerivoluzionaria che si viene a creare in Italia nel primo dopoguerra, il Partito Socialista Italiano non è in grado di sfruttare l'occasione. Nonostante l’occasione fosse molto propizia, in quanto, dopo la prima guerra imperialistica mondiale, lo Stato capitalista in Italia era estremamente debole sotto tutti i punti di vista. Inoltre, l'esempio della Rivoluzione in Russia era molto significativo e aveva suscitato nella classe operaia una notevolissima impressione, in quanto dimostrava che i lavoratori potevano sfruttare il precipitare della crisi della classe dominante per conquistare il potere. Quindi, sebbene si fossero venute a determinate quelle rare e, perciò, preziosissime condizioni oggettive per la riuscita della rivoluzione, il Partito Socialista, proprio per le carenze che abbiamo analizzato, non si dimostrò preparato a farla. Tanto che si trovò scavalcato dalle masse operaie e i lavoratori stessi sappero andare al di là delle loro presunte avanguardie.
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