Controstoria del Rinascimento in una prospettiva marxista

Presentazione del primo corso del nuovo anno accademico dell’Università popolare Antonio Gramsci, dedicato all’analisi, in un’ottica storia e filosofica, di due secoli decisivi per la formazione del mondo moderno. il Quattrocento e Cinquecento.


Controstoria del Rinascimento in una prospettiva marxista

Anche quest’anno i corsi dell’Università popolare Antonio Gramsci riprenderanno con un corso storico e filosofico che affronterà, in una prospettiva marxista, il quindicesimo e il sedicesimo secolo. Si tratta di due secoli particolarmente importanti perché segnano il passaggio dal mondo medievale al mondo moderno. In tal modo potremo tornare alle radici storiche e filosofiche dell’ideologia borghese oggi dominante a livello internazionale. 

Dal punto di vista della lotta per l’egemonia sulla società civile si tratta di un’epoca rivoluzionaria in quanto l’emergente classe borghese si dota di una visione del mondo radicalmente alternativa all’ideologia ancora dominante negli istituti di formazione non a caso definita scolastica. 

La cosa indubbiamente significativa è che, come abbiamo visto nel corso dello scorso anno, già nel secolo precedente, in cui diviene evidente che ormai il feudalesimo non ha più nulla da offrire, ma anzi diviene in modo sempre più evidente un freno per lo sviluppo delle forze produttive, nella stessa cultura medievale si sviluppa una tendenza di fatto sovversiva che rappresenta l’emergere delle masse popolari e della borghesia, anche se in una forma ancora sostanzialmente riformista, anche se volta a riforme di struttura.

Non a caso tale linea sovversiva, piegata alle esigenze della rivoluzione passiva, si sviluppa nei settori più avanzati degli ordini mendicanti prima dei domenicani e, in seguito, dei francescani. 

Tali tendenze corrispondevano al livello strutturale all’affermarsi della civiltà urbana dei comuni, che costituiva uno sviluppo potenzialmente dirompente, per quanto ancora interno alla società medievale. Tale civiltà, con il conseguente affermarsi della borghesia fino a entrare in modo molecolare nella stessa classe dominante, nasce come soluzione di compromesso all’inasprirsi del conflitto di classe fra gli sfruttatori grandi proprietari e la massa dei contadini senza terra (di proprietà) sfruttati.

Sono evidenti i motivi di interesse di queste vicende storiche, allora come oggi siamo dinanzi alla sempre più evidente crisi strutturale e irreversibile del modo di produzione a lungo dominante e alla conseguente rovina comune delle classi in lotta, dal momento che gli oppressi, non essendo in quanto contadini in grado di elaborare intellettuali organici, non avuto modo di sviluppare una società in grado di superare dialetticamente il feudalesimo. 

Così, mentre il vecchio muore il nuovo non appare in grado di affermarsi. In tale interregno si affermano delle soluzioni di sintesi fra le opposte classi in lotta. Una parte della classe subalterna si emancipa non attraverso lo sviluppo del conflitto sociale su di un piano rivoluzionario, ma entrando a far parte, in modo molecolare, della stessa classe dominante degli sfruttatori.

D’altra parte, il conflitto sociale per il potere all’interno della classe dominante, fra emergente grande borghesia, il popolo grasso, e feudatari inurbatisi lascia spazio all’emergere sul piano politico, fino a prendere coscienza di sé, di una classe media, costituita dalla piccola borghesia: il popolo minuto. Quest’ultima inizialmente disponibile a una alleanza in funzione subalterna con la grande borghesia, in funzione antifeudale, finisce in seguito per sviluppare una propria coscienza e a giocare una partita in modo autonomo. Così il popolo minuto dopo che il popolo grasso diviene oltre che classe dominante anche classe dirigente, è pronto ad allearsi anche agli sconfitti ceti feudali inurbati. 

Ciò porta i due partiti in cui è divisa la casa dominante e in parte anche la classe dirigente a unirsi per tagliare fuori i ceti intermedi, che a questo punto tendono a rivolgersi addirittura al ceto degli sfruttati, dei lavoratori salariati che, in tal modo, cominciano a sviluppare una coscienza di classe, al punto che nel contesto più avanzato di Firenze assistiamo al primo tentativo rivoluzionario dei lavoratori salariati, con la celebre rivolta dei Ciompi.

Tali dinamiche finiscono per spaventare a tal punto i partiti della classe dominante che questi ultimi finiscono per superare il loro scontro per il potere, al punto da abbandonare il regime democratico all’interno della classe dominante in nome di uno Stato autoritario. In tal modo sono costretti a chiedere il sostegno della piccola nobilità militare, che finisce in alcuni i casi per prendere addirittura il potere, come succederà in seguito con il fascismo.

Così dal regime democratico all’interno della classe dominante del comune si passa a un regime autoritario con a capo un feudatario inurbato, come i Visconti di Milano, o un grande borghese banchiere come i Medici, o un esponente della piccola nobiltà militare come gli Sforza a Milano.

In tal modo, la crisi economica si aggrava in quanto il modo di produzione feudale è in crisi, gli sfruttati non sono stati in grado di affermare un modo di produzione superiore e persino la classe media borghese, ai suoi vertici tende a divenire rentier esattamente come i feudatari inurbati.

La borghesia rischia così di dileguare in una sorta di eutanasia. Da qui nasce l’esigenza di portare avanti almeno la lotta per l’egemonia sulla società civile, in particolare in quelle realtà più avanzate in cui la borghesia gestisce il potere in modo relativamente progressista, con i governi repubblicani o in forme di cesarismo progressista, con tratti rivoluzionari, come quello di Cola di Rienzo. Nasce così con l’intellettuale organico al cesarismo a tratti rivoluzionari di Cola, Petrarca, l’Umanesimo, cioè la prima visione del mondo autonoma del ceto medio borghese.

Tale cultura si sviluppa poi con Coluccio Salutati, discepolo di Petrarca, e massimo dirigente della Repubblica fiorentina che rappresenta l’alternativa più progressista al reazionario suicidio dei comuni con il regresso alle signorie. Inizialmente si tratta di una cultura rivoluzionaria, che pone al centro l’uomo, relegando nelle periferie la divinità, che era stata il cuore della cultura medievale. Si tratta di una cultura che per la prima volta sostiene apertamente la prima emancipazione dell’individuo dalla precedente società patriarcale. In effetti l’umanesimo rivendica la centralità delle scienze umane, che sfidano in modo più aperto e rivoluzionario delle scienze naturali il feudalesimo, anche sul piano economico, sociale, filosofico e religioso. Infine, si sviluppa per la prima volta una visione pienamente immanentista e materialista del mondo, attraverso la riscoperta dell’epicureismo e uno storicismo integrale, che pone la dimensione storica quale fondamento della stessa scienza.

In tal modo l’umanesimo opera una radicale cesura anche nei confronti della ripresa in senso riformista del mondo antico portata avanti dalla cultura precedente, che aveva cercato con Tommaso d’Aquino di cristianizzare il pensiero di Aristotele. Quest’ultimo, per quanto avanzato in quanto portatore di una visione scientifica e quindi laica del mondo, aveva però il grande limite di sostenere una dimensione tutta contemplativa, neutrale e disinteressata della scienza.

Ora che si intende sostenere una scienza pratica, impegnata, politicizzata, si riscoprono quei classici con posizioni più rivoluzionarie che erano stati messi da parte dal riformismo peripatetico, come Platone per il mondo greco e gli intellettuali repubblicani e antimperialisti del mondo romano. Autori che, a partire da Platone, erano portatori di una concezione decisamente politicizzata del sapere.

Altro aspetto caratteristico rivoluzionario della nuova cultura è il suo svilupparsi al di fuori dell’istituzioni tradizionali demandate alla trasmissione dell’ideologia dominante. Con i circoli umanistici si ritorna così a quelle forme di organizzazione “dal basso” del sapere che erano state all’origine delle università, prima che la chiesa e la classe dominante non ne prendessero in qualche modo il controllo, istituzionalizzandole e normalizzandole. Non a caso una delle caratteristiche fondamentali della cultura umanista è lo spirito critico, l’acribia storica, la volontà di rifondare l’intero sapere su basi solide.

Le cose dovevano poi cambiare quando la borghesia, per sbarrare la strada alle classi sfruttate, accetterà il compromesso neoautoritario con i feudatari, da cui attraverso i podestà sorgeranno le signorie, finendo persino per consegnarsi ai protofascisti, cioè alla piccola nobiltà militare dei capitani di ventura (cesarismo regressivo). A livello europeo poi la cultura umanista tende a diffondersi, fino a divenire dominante in quest’ultima forma edulcorata, quale cultura di quella componente della borghesia (già popolo grasso) che è scesa a patti con i grandi proprietari terrieri per stroncare sul nascere la lotta potenzialmente rivoluzionaria per l’emancipazione della piccola borghesia e dei lavoratori salariati.

L’umanesimo diviene così una cultura elitaria, con tratti addirittura reazionari, per cui gli stessi Petrarca e Boccaccio che la fondano, poi finiscono con l’abbandonare il volgare, la lingua popolare dei propri capolavori, per scrivere opere di modesto interesse in una lingua che solo una ristretta minoranza di privilegiati era in grado di intendere.

Così sul piano europeo l’umanesimo diventerà la cultura riformista della componente progressista della classe dominante che dopo aver trovato un compromesso con l’aristocrazia ha dato vita alle monarchie feudali, che per certi aspetti anticipano le monarchie nazionali borghesi, ma per altri hanno una forma autoritaria assolutista, che rappresenta un deciso passo indietro in senso conservatore, rispetto allo spirito libertario che le classi dominanti avevano sperimentato con la civiltà comunale.

Saranno così le signorie italiane e le monarchie in transizione dalla forma feudale alla forma moderna ad appropriarsi della cultura umanistica anestetizzandola. Sarà la Riforma protestante che favorendo al sua diffusione fra le masse, farà riemergere alcuni aspetti rivoluzionari dell’umanesimo delle origini.

23/08/2025 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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